Salari a picco: 1600 euro in meno in tre anni*
Quasi 1600 euro di stipendio in meno in tre anni. Una cifra non da poco per un lavoratore dipendente con uno stipendio medio di circa 24mila euro lordi all’anno (2mila euro lordi al mese). Soprattutto calcolato che, dei 1600 euro, mille se ne sono "andati" semplicemente per la perdita secca di potere d’acquisto accumulata in quattro anni di governo di centrodestra e 565 euro per la mancata restituzione del fiscal drag.
A fare i conti in tasca ai lavoratori italiani è il rapporto sui salari nel triennio 2002-2005 presentato dall’istituto Ires-Cgil e basato sulla rielaborazione di dati Istat e della Banca d’Italia. Lo studio punta il dito soprattutto sul divario fra inflazione reale e inflazione programmata. Ma anche su una politica fiscale che ha premiato i più ricchi e penalizzato i più svantaggiati.
Tra 2002 e 2003 - rileva l’Ires - l’inflazione programmata è stata infatti la metà di quella reale. E anche se dal 2004 i contratti rinnovati hanno recepito l’opzione sindacale di utilizzare l’inflazione attesa, nel quadriennio, per i salari di fatto emerge un bilancio in perdita dell’1%. Tradotto in entrate: -1.425 euro per le famiglie con capofamiglia operaio, - 1.434 euro per quelle con capofamiglia impiegato. Che diventano- 1.647 euro su uno stipendio medio lordo di 24.584 euro l’anno.
Ma non è tutto. A questa tendenza al ribasso si contrappone infatti una crescita del potere d’acquisto delle famiglie degli imprenditori e dei liberi professionisti: +9.053 euro. Tanto è che il rapporto Ires evidenzia anche un forte sbilanciamento nella distribuzione delle ricchezze: il 10% delle famiglie più ricche possiede il 45,1% dell’ammontare della ricchezza netta. «Con le manovre fiscali del Governo di centrodestra - commenta il presidente dell’Ires Agostino Megale - si è registrato un ulteriore allargamento della forbice a sfavore dei bassi redditi».
Secondo i dati della Banca d’Italia, presi a riferimento nel rapporto, sono circa 6,5 milioni i lavoratori che guadagnano meno di 1000 euro netti al mese e circa 10 milioni i pensionati che ne guadagnano meno di 800. L’Ires-Cgil punta l’accento sulle forti differenze emerse. Le lavoratrici dipendenti hanno infatti una retribuzione media annua lorda di 20.105 euro, circa il 18,2% in meno del dato nazionale, mentre i giovani guadagnano in media il 24,5% in meno (18.564 euro), i lavoratori del Mezzogiorno il 30,2% in meno (17.161 euro) e i lavoratori immigrati il 38,6% in meno (15.101 euro). «Ci sono troppe condizioni svantaggiate - ha sottolineato il segretario della Cgil Epifani -che penalizzano i giovani, le donne e il Mezzogiorno. È arrivato il momento «di mettere al centro la questione dello sviluppo e del sostegno a una diversa distribuzione della ricchezza prodotta».
Ma una buona notizia per i lavoratori c’è. Secondo l’Ires il famigerato decreto Bersani produrrà un risparmio annuo per le famiglie di circa 667 euro. I risparmi, secondo il rapporto, si quantificano così: 154 euro in meno per tasse e spese per le banche, 190 euro risparmiati in spesa per consumi, 105 euro sui costi per le libere professioni, 95 euro di indennizzo e costi delle assicurazioni, 40 euro per passaggi di proprietà dei veicoli, 85 euro in farmaci, 9 euro per spesa per trasporti (taxi). Che però diventano 120 per gli utenti abituali.
Nel rapporto sui salari dal 2002 al 2005 una mappa dei nuovi poveri Indagine della Caritas: tra i ragazzi indigenti molti diplomati e laureati
Povertà, 16 milioni a rischio ed è allarme tra i giovani *
ROMA - La povertà colpisce sempre di più le famiglie italiane e in particolare le generazioni più giovani che vivono un nuovo disagio, quello di "voler stare dentro la società dei consumi ma senza averne i mezzi". E’ questo il dato che emerge dal rapporto Ires-Cgil "I salari dal 2002 al 2005". A rischio di impoverimento in Italia sono 16,5 milioni di cittadini e se si considera la soglia dei 1000 euro netti al mese: secondo i dati della Banca d’Italia, sono circa 6,5 milioni i lavoratori che ne guadagnano di meno e circa 10 milioni i pensionati che percepiscono una pensione che raggiunge al massimo gli 800 euro netti al mese. Ma le persone a rischio salgono a 20 milioni se si considera anche la fascia di lavoratori con un reddito inferiore alla soglia appena più alta di 1.350 euro netti mensili.
E riguardo alla situazione dei nuclei familiari il rapporto parla chiaro: negli ultimi anni si sono moltiplicate in maniera esponenziale le famiglie che, per arrivare a fine mese, sono costrette a rivolgersi alla rete di supporto sociale esterno, come ad esempio la Caritas. Ed è proprio quest’ultima ad andare a fondo del problema, con un’indagine che riguarda le nuove generazioni di poveri, diplomati e laureati con uno stipendio minimo o addirittura in attesa di un primo impiego: i più fortunati, ossia quelli con un lavoro, pur essendo qualificati percepiscono uno stipendio di circa 18 mila euro annue, con un contratto al di sotto dellle loro necessità.
Dal 2002, secondo il dossier, si è registrato uno sbilanciamento delle risorse in favore dei ceti medio-alti: i redditi dei capofamiglia operaio o impiegato si assesta intorno alle 1.434 euro mensili, in netta contrapposizione rispetto a quello degli imprenditori o dei liberi professionisti che arriva a 9.053 euro. Se nel 2000 il reddito delle famiglie di operai era circa la metà di quello delle famiglie con a capo un imprenditore, nel 2005 tale distanza si è amplificata: in Italia, il reddito netto di una famiglia con un imprenditore o un libero professionista come persona di riferimento. risulta quasi 3 volte superiore al reddito di una famiglia con capofamiglia operaio.
La situazione è grave anche per quanto riguarda le nuove generazioni. Una valida testimonianza arriva dalla ricerca "Extreme - sperimentazione di percorsi per soggetti in condizioni di disagio estremo", promossa dalla Caritas e che ha tra i suoi partner Cna e Cisl, con un occhio di riguardo rivolto ai giovani. L’indagine è stata condotta tra settembre e ottobre del 2005, su un campione di 193 persone, che volontariamente si sono rivolte ai centri Caritas. Cinque le realtà prese in esame: Iglesias, Terni, Arezzo, Torino e Cassino.
Ne emerge un quadro allarmante. Tra le persone con meno di 40 anni che hanno chiesto aiuto, la metà sono stranieri, ma soprattutto il 5% ha una laurea e quasi il 50% la licenza media. Spesso hanno competenze e abilità che non corrispondono ai lavori che svolgono, ma loro non lo sanno.
Il 52,8% che si rivolge alla Caritas è donna e ha dichiarato di essere disoccupato da 32 mesi, per gli uomini la media scende a 22. E’ per questo che i ricercatori parlano di "una tendenza alla femminilizzazione della povertà e all’esclusione sociale sempre più marcata di fasce di popolazione in piena età produttiva", nonostante le donne abbiano un livello di scolarizzazione mediamente superiore a quello degli uomini.
Chi sono i laureati che si rivolgono ai centri di ascolto Caritas? In prevalenza immigrati. Immigrati ai quali, pur se formalmente viene riconosciuto l’alto titolo di studi, di fatto non si dà loro la possibiltà di farlo fruttare. In questo 5% ci sono però anche Italiani, soprattutto al centro-sud. Italiani con marcati problemi di marginalità sociale e che non reggono la competizione del mondo del lavoro. (19 luglio 2006)
www.repubblica.it. 19.07.2006.