PIANETA TERRA. Sulla strada della nonviolenza ...

"L’ANTIBARBARIE. La concezione etico-politica di Gandhi e il XXI secolo". Un lavoro di Giuliano PONTARA, presentato da Enrico Peyretti - in allegato: "Gandhi", un saggio di Franco Toscani - a c. di Federico La Sala

lunedì 16 ottobre 2006.
 

Recensione

Giuliano Pontara ha presentato a Venezia L’Antibarbarie (7 ottobre 2006)

di Enrico Peyretti *

Nell’ambito del 6° Salone dell’editoria della pace, a Venezia, Giuliano Pontara (docente emerito di Filosofia Pratica nell’Università di Stoccolma) ha presentato il suo libro L’Antibarbarie, che esce in novembre presso le edizioni Gruppo Abele di Torino, col sottotitolo La concezione etico-politica di Gandhi e il XXI secolo. È un ampio studio che mostra nel lascito di Gandhi, nel suo pensiero e nella sua azione, un antidoto profondo alla violenza profondamente intrinseca al sistema mondiale attuale.

Giovane studente a Stoccolma, Pontara ebbe tra i suoi maestri Harald Ofstad, autore di un libro del 1971, mai tradotto in italiano, Our Contempt for Weakness (Il nostro disprezzo per la debolezza). Ofstad riconosceva alcune tendenze naziste presenti in noi, nei nostri modi di vivere, precedenti e seguenti il nazismo storico. Da quel lontano spunto, oggi Pontara individua, riassuntivamente, otto componenti di questa vecchia e nuova “barbarie”:

1. la visione del mondo come teatro di una spietata lotta per la supremazia; 2. il diritto assoluto del più forte; 3. lo svincolamento da ogni limite morale; 4. l’elitismo (diritto di dominio che una élite si attribuisce in quanto “superiore”); 5. il disprezzo per il debole; 6. la glorificazione della violenza; 7. il dovere assoluto di obbedienza; 8. il dogmatismo fanatico.

Le nuove violenze del XXI secolo sono espressione di queste tendenze. La globalizzazione della violenza e la nazificazione del mondo hanno chiuso il XX secolo. Si sono costruite follemente una quantità di armi di distruzione di massa, da parte di molti, e anzitutto dagli Stati Uniti, che prevedono di nuovo nei documenti pubblici della loro strategia l’impiego di armi termo-nucleari. La paura è alimentata e utilizzata per il dominio. La democrazia è sempre più corrosa. È impressionante pensare che la democrazia di Pericle, ad Atene, durò circa novant’anni, poi distrutta appunto da tendenze “naziste”, e che le nostre democrazie attuali hanno circa novant’anni, e sono minacciate dalle stesse tendenze.

Gandhi ha dato un contributo alla trasformazione dei conflitti, ha promosso metodi incruenti di resistenza alla barbarie, metodi il più possibile liberi dall’imitazione della violenza. Egli sapeva di indicare una via difficile, ma praticabile a livello di massa, a certe condizioni empiricamente verificabili. Egli vide il nesso storico tra la globalizzazione violenta armata e il processo di occidentalizzazione del mondo da cinque secoli in qua (scoperte geografiche ed espansione europea), grazie alla potenza militare, economica, mediatica. Gandhi definiva «tortura prolungata» la violenza strutturale.

Le due guerre mondiali del Novecento sono state causate dalla «brama di spartizione del mondo da parte delle potenze occidentali». Nel 1942 Gandhi scrive: «Usa e Gran Bretagna non hanno diritto di parlare di democrazia e civiltà fino a quando il cancro della supremazia dei bianchi non sarà distrutto». Ricordiamo che Gandhi nel 1940 scriveva che «la democrazia occidentale, nelle sue attuali caratteristiche, è una forma diluita di nazismo o di fascismo»: un giudizio severo, ma che neppure oggi possiamo liquidare in fretta.

Kant diceva: «Rimarrà sempre sconcertante il fatto che le generazioni precedenti portino il fardello per le successive, e che queste abitino nell’edificio completato da quelle». Oggi pare proprio il contrario: i posteri pagheranno per le distruzioni che una parte crescente dell’umanità attuale sta compiendo.

Gandhi opponeva un duro rifiuto al macchinismo, allo sfruttamento, ai consumi sfrenati: «un sistema che denuda il mondo al modo delle locuste». «Nel mondo ci sono risorse sufficienti per i bisogni di tutti, non per l’avidità di alcuni». Egli propugnava un socialismo nonviolento, su base di solidarietà, di risparmio e non di spreco, di scambi commerciali equi e non un mercato senza regole, di controlli democratici su tutte le decisioni collettive, anche economiche. Proponeva all’India una socializzazione democratica, secondo l’idea e il metodo sarvodaya, benessere di tutti, bene sociale, interesse pubblico. Concepiva la proprietà come «amministrazione fiduciaria», gestita nell’interesse di tutti. Le risorse del pianeta sono un bene comune, usabili a patto che ne rimangano a sufficienza e in misura altrettanto buona per le generazioni successive.

Oggi questa concezione guida i movimenti gandhiani, la vera risorsa umana e politica per resistere e opporsi alla violenza strutturale, al grande apartheid globale, che tiene divisa l’umanità sotto un unico impero. Nonostante le tendenze naziste, nel mondo di oggi sono in corso importanti lotte nonviolente, anche senza conoscenza di Gandhi: lotte di indigeni in America Latina, lotta anti-nucleare in Italia.

Contro la violenza culturale, il fanatismo, contro i fondamentalismi non solo religiosi ma anche laici (il mito assoluto del mercato; l’ideologia neo-cons), da Gandhi viene un saggio fallibilismo: quello che ora, con buone ragioni, ci pare vero, può non essere vero. Perciò Gandhi definì la propria vita come «storia dei suoi esperimenti con la verità».

In lui il fallibilismo sta insieme alla «fermezza nella verità» (satyagraha), che tuttavia è sempre correggibile. Poiché siamo fallibili, dobbiamo sempre essere aperti a dialogo, tolleranza, perdono, e fare continua ricerca sui fatti. Poiché possiamo sbagliare, non possiamo mai imporre con la violenza le nostre visioni e interessi. È la violenza culturale, e poi fisica, che assolutizza la mia convinzione. Contro la logica imperiale che tutto assorbe, dobbiamo assumere l’atteggiamento ecumenico, il dialogo interculturale.

Gandhi riconobbe dolorosamente, nel 1948, che nel conflitto indo-musulmano la nonviolenza era fallita, con le stragi, con la divisione tra India e Pakistan. Già nel 1921 diceva: osservare la dottrina nonviolenta in un mondo di passioni e violenze è difficile. Ma rimase sempre «prigioniero della speranza» (titolo del libro di J. M. Brown, Il Mulino, 1995), speranza che le tendenze naziste non portino alla distruzione dell’umanità.

Gandhi fondava questa speranza sull’idea religiosa dell’unità di tutto il reale, per cui le forze del bene come del male sono in tutti noi, anche in Hitler. Perciò possiamo sviluppare e usare le risorse positive che fanno appello a uguali risorse presenti nell’avversario. Così Gandhi fece tanto bene agli inglesi quanto agli indiani.

Questo libro di Giuliano Pontara, che ho potuto leggere in anteprima, è uno dei più importanti e approfonditi nella interessante serie di libri di e su Gandhi che la cultura e l’editoria più attenta sta producendo in questo periodo.

Enrico Peyretti (14 ottobre 2006)


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www.ildialogo.org, Lunedì, 16 ottobre 2006


GANDHI di Franco Toscani
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