Chi non ama i diversi non è cristiano
di EUGENIO SCALFARI *
Il fatto nuovo e rilevante di questi giorni è l’accordo tra il governo e la sua maggioranza, per una volta unanime, sul tema delle coppie di fatto. Dopo molti mesi durante i quali i problemi dell’economia e della fiscalità hanno interamente occupato la scena suscitando non piccola confusione ed eccitando egoismi corporativi che hanno messo a rischio ogni sentimento di solidarietà sociale e ogni visione di interesse generale, finalmente si sono cominciate ad affrontare questioni eticamente sensibili.
Sarò magari un laicista vituperando, di quelli contro i quali il Papa non cessa di lanciare ogni giorno il suo monotono anatema, ma a me pare che quell’accordo sulle coppie di fatto rappresenti una svolta positiva della quale si sentiva urgente bisogno. Tanto più positiva in quanto è stata voluta e sottoscritta anche da cattolici militanti di sicuri sentimenti democratici, che professano allo stesso tempo rispettosa attenzione ai valori della loro religione e a quelli altrettanto onorandi della Costituzione repubblicana, alla dignità della famiglia e ai diritti indiscutibili degli individui, al magistero della Chiesa e all’autonoma sovranità dello Stato.
L’accordo sulle coppie di fatto ha suscitato consensi e dissensi di vario tipo e colore. C’è chi l’ha giudicato un pericoloso arretramento dal punto di vista laico, chi una forzatura irritante e controproducente rispetto alla lenta evoluzione del costume e chi vi ha visto addirittura la mano del diavolo col suo puzzo di zolfo e le impronte del suo piede caprino.
Tralascio per il momento quest’ultimo tipo di reazione sul quale bisognerà tuttavia tornare perché coinvolge anche forze politiche di notevole rilievo. Prima conviene infatti esaminare il contenuto e il senso politico di quest’accordo e dell’ordine del giorno che lo contiene, votato all’unanimità dal gruppo senatoriale del centrosinistra e accolto all’unanimità dal governo nel quale siedono i rappresentanti di tutta l’Unione.
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L’accordo prevede che entro il 31 gennaio sia presentato un disegno di legge sulle coppie di fatto nel quale vengano riconosciuti i diritti degli individui che abbiano deciso di vivere insieme stabilmente ma al di fuori del vincolo matrimoniale. Questi diritti riguardano aspetti rilevanti della convivenza, dall’assistenza reciproca tra i conviventi alle decisioni da prendere in casi di malattie di uno di essi, alla successione ereditaria, alla reversibilità della pensione, al pagamento degli alimenti in caso di separazione, all’uso comune dell’abitazione, ai diritti e doveri verso i figli e la loro educazione. Insomma tutti gli aspetti che configurano i rapporti interpersonali di una convivenza duratura, quale che sia l’età la razza la religione e il sesso dei due conviventi.
Questi i principi e i temi sui quali dovrà applicarsi la normativa della legge; il termine tassativamente indicato è, come s’è detto, quello del 31 gennaio 2007; il ministro incaricato di redigere il testo è la Pollastrini di concerto con la Bindi, ministro della Famiglia. Il Consiglio dei ministri, entro quella data, dovrà discutere e approvare il testo trasmettendolo poi al Parlamento per la sua trasformazione in legge dello Stato. I gruppi parlamentari dell’Unione sono tenuti a votare quel testo sulle cui finalità hanno già dato unanime e favorevole parere.
A me pare, da vecchio e vituperato laicista, che si tratti di un ottimo accordo né mi sembra possa essere criticato lo stralcio d’un articolo della Finanziaria sulla fiscalità successoria che il governo ha ritirato per reinserirlo più coerentemente nel disegno di legge in questione.
Capisco che i laicisti "arrabbiati" temano che il disegno di legge sia stravolto nel suo iter parlamentare sicché le componenti cattoliche del centrosinistra abbiano sottoscritto l’accordo incrociando nascostamente le dita per tradire poi la parola data nel momento conclusivo. Li capisco perché i laici di analoghe delusioni ne hanno sofferte non poche. Penso però che in questo caso il gioco valga la candela. Per due motivi importanti: è stato deciso di presentare una legge sulle coppie di fatto e non di considerarle vincolate soltanto da un semplice contratto privato; si è deciso altresì all’unanimità che la legge e le sue norme regolino tutti i tipi di convivenza indipendentemente dal sesso dei conviventi, riguardino cioè eterosessuali e omosessuali.
L’unanimità raggiunta su questi due punti è essenziale. È chiaro che se qualcuna delle forze politiche si ritirasse dall’accordo già sottoscritto - obbedendo agli anatemi lanciati anche ieri dall’Osservatore Romano - ciò segnerebbe la fine dell’Unione e del governo che ne è l’espressione.
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Perché la Chiesa cattolica dovrebbe opporsi ad una legge ispirata a questi principi? Perché non dovrebbe considerarla anzi come parte integrante e conforme al messaggio che emana dalla predicazione evangelica? Non è la tutela dei diritti individuali uno dei cardini di quel messaggio? Non è il rispetto della persona e la sua dignità? Non è l’includere una finalità dell’amore del prossimo e l’escludere un vero e proprio peccato di egoismo e di superbia? Non fu Gesù di Nazareth a salvare la peccatrice, a riscattare gli schiavi, ad amare i diversi e i deboli? Non è l’amore del prossimo ad aver reso grande il Cristianesimo e affidabili i veri cristiani anche da parte di chi non ne condivide la fede?
Ho letto ieri sulle pagine di Repubblica l’intervista di Ferzan Ozpetek, il regista di Fate ignoranti che pone, appunto, queste domande. Le condivido in pieno e penso che dovrebbero condividerle tutti i cristiani e tutti i cattolici. In particolare - e non si dica che è un paradosso - la gerarchia, i vescovi successori degli apostoli, il Papa vicario di Cristo. Dov’è l’amore? Dov’è l’inclusione? Dov’è la pietà?
I sacerdoti con cura di anime dovrebbero far sentire la loro voce su temi così coinvolgenti che arrivano nell’intimo della carne e dell’anima. Il laicato cattolico dovrebbe parlare e agire nella propria autonomia per il bene della Chiesa. Dov’è il coraggio cristiano per la difesa del prossimo?
S’invoca la famiglia, ma una legge equa sulla convivenza non mette a repentaglio alcuna famiglia. Io non credo che le famiglie in quanto tali si sentano in pericolo per la convivenza in quanto tale. Non credo che esista un problema di supremazia sociale tra famiglia e convivenza, tanto più di fronte ad una legge che non pretende di parificare quei due istituti. Non credo che i figli nati o comunque esistenti all’interno d’una convivenza debbano suscitare affetti e diritti minori dei figli nati all’interno d’una famiglia. E perciò pur non essendo cristiano ma apprezzando, rispettando e ammirando il messaggio evangelico, resto stupefatto e dolorosamente colpito dall’egoismo e dalla superbia e dalla sfrontata certezza con cui la gerarchia e coloro che ne seguono le prescrizioni si schierano in battaglia contro il riconoscimento d’un fatto che esiste, è un prodotto d’amore e che è ispirazione del diavolo voler cancellare, disconoscere, discriminare, punire.
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Benedetto XVI parlando ieri ai giuristi cattolici ha pronunciato parole e concetti in gran parte già noti, sui quali ormai ritorna con insistenza.
Ha detto che la religione non può più esser considerata un fatto privato ma ha diritto di esprimersi nello spazio pubblico. Nessun laico dotato di ragione ragionante contesta questa affermazione cui anche di recente il presidente della Repubblica italiana, dichiaratamente non credente, ha dato il suo autorevole avallo.
Ha detto che la religione in quanto Chiesa organizzata e corpo visibile, ha il diritto di propagandare la (sua) verità in tutti i domini dell’etica ed anche della politica laddove essa incrocia temi eticamente sensibili. Nessuno contesta questa sua affermazione. Noi, laicisti vituperati, non solo non impediamo (non lo potremmo e non lo vogliamo) ma anzi desideriamo che la Chiesa parli e i cattolici si esprimano. Ci stupiamo anzi del loro silenzio ostile e del silenzio altrettanto ostile della gerarchia e del clero che cura (dovrebbe curare) le anime per il silenzio e l’ostilità contro i conviventi. Contro i diversi. Non sono anch’essi da considerare figli dell’unico Dio? C’è un’inquietante e ottusa mancanza di amore in questa brutale crociata indetta dalla gerarchia, che mette in dubbio l’autenticità del messaggio cristiano e rischia di trasformarlo in un fondamentalismo della peggiore specie.
Di questo noi non credenti ci rammarichiamo; in questo, lo ripeto, vediamo un peccato mortale di superbia e di orgoglio, una lacuna d’amore, una ferita profonda di quel messaggio che Gesù lasciò come retaggio ai suoi discepoli.
Mi stupisce che questo messaggio così platealmente tradito venga fatto proprio da cattolici che dicono d’esser pervasi dalla fede ancorché l’abbiano a loro volta tradita nei comportamenti della loro vita privata. L’hanno tradita in nome dell’amore e non saremo certo noi laici a censurarli. Tutt’altro. Ma non comprendiamo perché l’amore che li ha ispirati sia da essi stessi negato a tutti gli altri simili a loro. Questo sì, resta incomprensibile a meno di non pensare che la convenienza politica li accechi e getti polvere nei loro occhi.
Così ho ascoltato con stupore l’anatema di Pier Ferdinando Casini contro ogni legge che si occupi delle coppie di fatto e in particolare contro le coppie di fatto omosessuali. Quasi che l’omosessuale sia un reietto, un individuo residuale, una fonte di male per definizione, un aborto biologico da isolare. E tutt’al più da curare e redimere biologicamente.
È questo il preteso leader dei moderati e anzi dei liberali moderati? Se non mi trattenesse la tolleranza che è propria molto più dei laici che non dei cattolici ossessionati, pensando a personaggi che fanno della lotta alla convivenza uno slogan per una vergognosa crociata reazionaria direi "libera nos a diabolo". Non è con questo tipo di fedeli che la religione entrerà in contatto con la modernità e arginerà la secolarizzazione. Non è odiando l’amore diverso che si possa diffondere amore, perché l’amore non sopporta aggettivi come non li sopporta la libertà. L’amore è uno, è un sentimento ineffabile, nasce come e dove nasce e va sempre rispettato. Così come la persona. Avete combattuto per secoli, voi cattolici, contro lo schematismo dei manichei. State dunque attenti a non resuscitarlo nella vostra stessa anima, della quale forse dovreste avere maggior cura.
Post scriptum
Il ministro Livia Turco visiterà nei prossimi giorni Welby che invoca la morte dalla gabbia di dolore in cui da anni è rinchiuso. L’iniziativa del ministro è apprezzabile.
La Turco ha chiesto all’Istituto di Sanità di sapere se la situazione di Welby rientra nella fattispecie dell’accanimento terapeutico o in quella dell’eutanasia. Conoscere prima di decidere. Anche questo è apprezzabile. Ma il ministro Livia Turco ha detto che quando il responso del Consiglio superiore di sanità sarà dato e risultasse conforme ai desideri del paziente Welby, vedrà se sia il caso di proporre al Parlamento una legge in proposito.
Questo, onorevole ministro, non è affatto apprezzabile. È un atteggiamento da Ponzio Pilato. È furbesco, è ipocrita. Non è degno della sua integrità e onestà morale. È un tradimento della politica nel senso alto del termine. Se questo è il suo pensiero si risparmi quella visita al letto di un ammalato ingabbiato e torturato. Sarebbe solo un’esibizione umiliante per lei e una nuova pena per la vittima.
* la Repubblica, 10 dicembre 2006
L’AMACA
di Michele Serra (la Repubblica, 10/12/2006, p.28)
Poveri cattolici conservatori, terrorizzati dall’idea che qualche timida concessione statale alle coppie irregolari e alle coppie gay (regolarissime, in genere) possa mettere a repentaglio la loro Sacra Famiglia Tradizionale. Devono avere ben poca fiducia nei loro sacramenti, nel loro dio, nel loro amore, nei loro mariti e nelle loro mogli, per reagire con tanta piccineria e iracondia al bisogno di legge e di rispetto di chi non è come loro, non vive come loro, non ama come loro.
Il rispetto degli altri è sempre direttamente proporzionale alla fiducia in se stessi. Evidentemente non hanno molte certezze sulla propria morale, questi tremebondi tutori della tradizione. Se non odiano gli omosessuali come i giovinastri rapati che ululano contro i "culattoni" inalberando le loro croci celtiche, e al riparo delle piazze "liberali" che li ospitano, è solo perché trovano più socialmente conveniente provare pena, e oggettivo disprezzo.
Ma è la loro, non quella dei fascisti, la discriminazione più pesante e più violenta. È quella dei conformisti spaventati, insicuri dei loro sentimenti, sgomenti di fronte all’eros che scompagina la vita, chiusi a riccio attorno a un disamore che nessun dio vorrebbe mai ospitare nella propria casa, che è senza porte e senza inferriate.
I CATTOLICI NON SONO CRISTIANI
È una domanda: quanti cattolici italiani conoscono il cristianesimo?
di Mario Pancera *
I cattolici italiani sono cristiani? La domanda si può porre in maniera più morbida anche così: quanti italiani che si dicono cattolici sanno che cos’è il cristianesimo? Molti cattolici si ritengono cattolici perché sanno di essere stati battezzati e poi non sanno nient’altro, non conoscono nemmeno il più esile filo di storia della loro religione: rientrano nel numero, sono elementi di statistica.
Da qui scende un’altra domanda: chi non conosce una religione come può professarla? E con più precisione: si può avere fede nel dio del cristianesimo, se non si conosce il cristianesimo? Non sono un teologo, né un filosofo, né uno studioso di storia delle religioni, ma leggo e ascolto e, da quel che capisco attraverso l’una e l’altra attività, sono abbastanza sicuro di questo: gran parte degli uomini pubblici italiani che si definiscono cattolici (politici, scrittori, giornalisti o intellettuali nel senso più ampio del termine) non conoscono il cristianesimo, seguono alcuni riti, ma non hanno la fede.
Va da sé che non hanno una fede altri milioni di italiani che sono nelle loro stesse condizioni di ignoranza religiosa, pur non essendo personalità di rilievo, intellettuali, politici e via dicendo. In definitiva, ci sono in Italia milioni di cattolici - uomini e donne - che in realtà non sono cattolici, non sono niente.
Riconosco che mentre si dibatte sui Pacs, si discute sul discorso di Ratisbona e sulla necessità commerciale di eliminare il presepio per Natale, mentre si discute sulla esigenza di dotare di manganelli gli ex vigili urbani oggi poliziotti locali per combattere (sic) la violenza nelle strade e allontanare i «venditori abusivi» extracomunitari dai negozi autorizzati (gli «abusivi» vendono a un euro quello che gli autorizzati vendono a cento), mentre si litiga sullo «scalone» e sul bollo dell’auto, riconosco - dicevo - che in questi frangenti parlare di religione significa imboccare una strada inconsueta. Sembra d’essere fuori tempo. Tutti a Kakania parlano d’altro. Sarebbe meglio far finta di niente, e seguire l’onda del neoqualunquismo.
Ma mi sembra che sia troppo poco parlare di Pacs, unioni omosex, eutanasia, pedofilia, preti sposati o no, pace, dialogo, sapendo che l’opinione pubblica non conosce se non, forse, solo per sentito dire, le basi da cui nascono questi problemi. Sono problemi individuali e sociali così importanti che fa impressione vederli ridotti a scenette televisive, a invettive, a perorazioni che hanno per protagonisti veri ignoranti.
Da come parlano, scrivono e si muovono, lettori e ascoltatori comprendono subito che le maschere alla ribalta non sanno niente di Gesù. Sono attori prezzolati di fronte a noi, recitano una parte a pagamento. Di sicuro, qualcuno di loro ha studiato qualche frase, qualche episodio, qualche parabola (ma già qui, sulle parabole, il terreno si fa pericoloso), e li racconta con abili frasi e sorrisi accattivanti come se si trattasse di aneddoti.
Questi personaggi pubblici che si definiscono cattolici sono il peggiore esempio della religione, rappresentano la negazione della fede. Sono l’esempio meno opportuno in questo difficile momento. Il loro modello è nefasto perché si diffonde nei giorni e negli anni disgregando lentamente la comunità. Bisogna parlarne per non essere complici. Quanti sono dunque i «cattolici» italiani che conoscono Gesù? E se gli italiani non conoscono la religione cristiana come possono riconoscere e vivere la morale che ne segue? Si avvicina il Natale, il ricordo della nascita di Gesù, il figlio di Dio: ma chi ha fede in questo Figlio di Dio se non sa nemmeno chi è?
Mario Pancera
* Il Dialogo, Lunedì, 11 dicembre 2006
Così cambieranno i diritti e i doveri per l’esercito dei conviventi. Per l’Istat sono più di mezzo milione, per Grillini (Ds) 2 milioni
Dalla casa alle pensioni ecco i Pacs all’italiana
Previsto il diritto-dovere di assistenza in ospedale e in carcere. Anche il sì alle successioni come nell’emendamento cancellato *
ROMA - Diritto-dovere di assistenza in carcere o in ospedale per il convivente. Accesso ai bandi di edilizia. Reversibilità della pensione. Permesso di soggiorno al partner extracomunitario. In gergo giuridico, questi sono i diritti che consentono alla coppia di fatto di "farsi valere verso terzi". E c’è anche l’omologazione nelle successioni: l’emendamento del governo alla Finanziaria (ieri cancellato) prevedeva di allargare alcune franchigie anche ai conviventi. Questione che sarà accolta nella legge sulle unioni civili. Sono questi i cardini su cui dovrebbe muoversi il governo Prodi nel riconoscimento delle coppie di fatto, compresi i gay.
La discussione è aperta ma una cosa il Professore ha escluso (e il programma dell’Unione non prevede) che ci siano anche in Italia veri e proprio Pacs. Le coppie di fatto sono una schiera che va sempre più ampliandosi. Sono l’unione tra due persone che vivono insieme, spesso eterosessuali, talvolta omosessuali. In Italia dovrebbero essere un milione e mezzo. Non c’è però una stima ufficiale. L’Istat qualche anno fa ne certificò 550 mila, ma non aveva censito le coppie omosessuali. Franco Grillini, presidente onorario dell’Arcigay, e deputato ds, ne chiese conto e ragione. Secondo i suoi calcoli, di coppie conviventi ce ne sarebbero almeno due milioni. Per dire che la questione anche numericamente non può essere ignorata. Quasi unici in Europa, i conviventi italiani non sono affatto riconosciuti. Nulla che li tuteli né sulle questioni più serie - come l’assistenza, la pensione, la casa - e neppure per i problemi banali e quotidiani.
La battaglia per i Pacs è cominciata da lungo tempo. Nel 2002 poi, un disegno di legge aveva raccolto le firme di tutto il centrosinistra e i Ds con Grillini avevano impegnato l’allora maggioranza della Casa delle libertà ad affrontare la discussione in Parlamento. Naufragò nel solito braccio di ferro tra cattolici e laici. L’Unione li ha inseriti nel programma con cui si è presentata agli elettori. Però con una avvertenza, che la Margherita di Rutelli ha voluto fermamente: nel nostro paese niente Pacs, solo riconoscimento dei diritti individuali di chi vive in una coppia di fatto. Non si vuole incorrere in confusioni ed equiparazioni tra il matrimonio, così come la Costituzione lo individua, e le unioni civili. Lo scontro con la sinistra radicale resta aperto.
Gli altri paesi europei sono spesso presi ad esempio per sollecitare i Pacs. Non solo il governo socialista di Zapatero che ha dato il via libera all’equiparazione tra matrimoni gay e etero; ma anche la Francia che sette anni fa promulgò la legge sui Pacs, i patti civili di solidarietà. Dopo l’ordine del giorno di ieri in Senato, con cui il governo Prodi s’impegna a proporre una legge entro fine gennaio, spetta al ministro delle Pari opportunità, Barbara Pollastrini avanzare le prime proposte di concerto con Rosy Bindi, responsabile della Famiglia. Sarà il tavolo interministeriale coordinato da Giuliano Amato il luogo preposto a sciogliere nodi e contrasti nell’esecutivo.
* la Repubblica, 8 dicembre 2006
IL FANTASMA DELLA RELIGIONE (Il Manifesto - redazione, 10/12/2006)
Il fatto è noto, non è la prima volta e non sarà l’ultima. Ma a parte alcune registrazioni obiettive, Corsera e Repubblica, è stata una vera ira di dio. Le accuse di «terrorismo civile» si sprecano. Udc e Udeur si lasciano andare agli attacchi più assurdi e anche contraddittori. Una nota dell’Udeur recita: «Che c’entra il Pontefice con una questione che, non da oggi, divide il mondo politico italiano?» Come dire che il Papa non c’entra niente, ma aggiungendo subito dopo «evidentemente questi paladini della democrazia a senso unico vorrebbero che su un tema così delicato la Chiesa stesse zitta e rinunciasse al suo magistero». Ma se è così il papa, in un paese come il nostro, c’entra moltissimo e dunque qualche obiezione e anche qualche manifestino lo dovrebbe sopportare con tolleranza e senza troppa fatica.
La verità è che questo lancio di volantini, dalle finestre del manifesto, ha scoperto che nella pancia di questo nostro paese ci sono tutte le pulsioni di uno scontro «religioso». E’ bastata una libera e ironica manifestazione di opinione per scatenare un putiferio, per rivelare che cosa in questi anni sia maturato in Italia, nel riaffacciarsi di un integralismo cattolico che sembrava superato.
E poi francamente questo papa un po’ esagera. Adesso ha avuto la trovata della «sana laicità». La «sana laicità» quella che vorrebbe imporre ai laici il diritto della sua Chiesa di intervenire dappertutto e senza che nessuno osi obiettare. La sana laicità comporta l’intervento della Chiesa nella vita della Repubblica senza limitazioni, che offenderebbero il papa e anche dio. Perché, a tre secoli dall’illuminismo e da Kant, il papa può criticare «la visione a-religiosa della vita», ma dovrebbe consentire che si possa anche criticare la «visione religiosa della vita» e consentire con chi vuole porre alcuni limiti all’ingerenza della religione (o meglio della gerarchia cattolica) nella vita pubblica.
A questo papa viene da chiedere perché oltre alla «sana laicità» (che dovrebbe essere affar nostro) non medita sulla «sana religiosità», che dovrebbe essere cura del suo pontificato. Sulla questione dei Pacs, per fare solo un esempio non sarebbe prova di «sana religiosità» almeno uno sforzo di comprensione delle donne e degli uomini? Insomma almeno un po’ di dolcezza, di sforzo di comprensione. O, se è incapace d’altro, della tanto richiamata carità cristiana.
LE PAROLE DEL PAPA
È giusto pretendere «la legittima autonomia delle realtà terrene», perché è una richiesta non solo «postulata dagli uomini del nostro tempo ma anche conforme al volere del Creatore»
«La laicità non vuole cancellare Dio»
Benedetto XVI: il laicismo invece è ostile alla rilevanza politica e culturale della religione
(M.Mu.); Benedetto Xvi *
Sana laicità dello Stato non significa «considerare la religione come un semplice sentimento individuale», da «confinare al solo ambito privato». Essa, invece, «va riconosciuta come presenza comunitaria pubblica». Perciò non è da considerarsi laicità, ma «laicismo» (che è una «sua degenerazione») «l’ostilità a ogni forma di rilevanza politica culturale della religione» (compresa l’esclusione dei simboli religiosi dai luoghi pubblici). Oppure negare alla comunità cristiana il «diritto di pronunciarsi sui problemi morali che oggi interpellano la coscienza di tutti gli esseri umani».
Lo ha ricordato ieri il Papa nel discorso (che pubblichiamo integralmente) rivolto ai giuristi cattolici ricevuti in udienza. L’Associazione presieduta dal professor Francesco D’Agostino (che ha rivolto al Pontefice il saluto dei partecipanti) sta, infatti, celebrando in questi giorni il proprio convegno nazionale sul tema «La laicità e "le" laicità». Un tema che Benedetto XVI ha definito «di grande interesse» e di estrema attualità, dato che «ci sono molteplici maniere di intendere e di vivere la laicità, maniere talora opposte e persino contraddittorie tra di loro».
Per questo il Papa ha riproposto la lezione del Concilio Vaticano II sulla materia e ha invitato «tutti i credenti, in particolare i credenti in Cristo», a dare il proprio contributi per «elaborare un concetto di laicità che, da una parte, riconosca a Dio e alla sua legge morale, a Cristo e alla sua Chiesa il posto che ad essi spetta nella vita umana, individuale e sociale». Ciò non significa, ha aggiunto Papa Ratzinger, che non si debba affermare e rispettare «la legittima autonomia delle realtà terrene».
Ma la «sana laicità» implica che in questo concetto non sia inclusa l’autonomia dall’ordine morale, ma solo dalla sfera ecclesiastica. Con un esempio comprensibile a tutti il Pontefice ha ricordato che «non può essere la Chiesa a indicare quale ordinamento politico e sociale sia da preferirsi, ma è il popolo che deve decid ere liberamente i modi migliori e più adatti di organizzare la vita politica». In caso contrario, questa sì sarebbe un’ingerenza. Non lo è, invece, quando la Chiesa stessa afferma e difende «i grandi valori che danno senso alla vita della persona e salvaguardano la dignità». Valori, ha ricordato Benedetto XVI che prima ancora di essere cristiani sono umani.
Pubblichiamo il testo integrale del discorso rivolto ieri da Papa Benedetto XVI al convegno nazionale dei Giuristi Cattolici
Cari fratelli e sorelle,
benvenuti a quest’incontro che ha luogo nel contesto del vostro congresso nazionale di studio dedicato al tema: "La laicità e le laicità". Rivolgo a ciascuno di Voi il mio cordiale saluto, a cominciare dal presidente della vostra benemerita Associazione, il professor Francesco D’Agostino. A lui sono grato anche per essersi fatto interprete dei vostri comuni sentimenti e per avermi brevemente illustrato le finalità della vostra azione sociale ed apostolica. Il convegno affronta un tema, quello della laicità, che è di grande interesse, perché mette in rilievo come nel mondo di oggi la laicità sia intesa in varie maniere: non c’è una sola laicità, ma diverse, o, meglio, ci sono molteplici maniere di intendere e di vivere la laicità, maniere talora opposte e persino contraddittorie tra loro. L’aver dedicato questi giorni allo studio della laicità e dei modi differenti di intenderla e di attuarla, vi ha portato nel vivo del dibattito in corso, un dibattito che risulta quanto mai utile per i cultori del diritto.
Per comprendere l’autentico significato della laicità e spiegarne le odierne accezioni, occorre tener conto dello sviluppo storico che il concetto ha avuto. La laicità, nata come indicazione della condizione del semplice fedele cristiano, non appartenente né al clero né allo stato religioso, durante il Medioevo ha rivestito il significato di opposizione tra i poteri civili e le gerarchie ecclesiastiche, e nei tempi moderni ha assunto quello di esc lusione della religione e dei suoi simboli dalla vita pubblica mediante il loro confinamento nell’ambito del privato e della coscienza individuale. È avvenuto così che al termine di laicità sia stata attribuita un’accezione ideologica opposta a quella che aveva all’origine.
In realtà, oggi la laicità viene comunemente intesa come esclusione della religione dai vari ambiti della società e come suo confino nell’ambito della coscienza individuale. La laicità si esprimerebbe nella totale separazione tra lo Stato e la Chiesa, non avendo quest’ultima titolo alcuno ad intervenire su tematiche relative alla vita e al comportamento dei cittadini; la laicità comporterebbe addirittura l’esclusione dei simboli religiosi dai luoghi pubblici destinati allo svolgimento delle funzioni proprie della comunità politica: da uffici, scuole, tribunali, ospedali, carceri, ecc. In base a queste molteplici maniere di concepire la laicità si parla oggi di pensiero laico, di morale laica, di scienza laica, di politica laica. In effetti, alla base di tale concezione c’è una visione a-religiosa della vita, del pensiero e della morale: una visione, cioè, in cui non c’è posto per Dio, per un Mistero che trascenda la pura ragione, per una legge morale di valore assoluto, vigente in ogni tempo e in ogni situazione. Soltanto se ci si rende conto di ciò, sì può misurare il peso dei problemi sottesi a un termine come laicità, che sembra essere diventato quasi l’emblema qualificante della post-modernità, in particolare della moderna democrazia.
È compito, allora, di tutti i credenti, in particolare dei credenti in Cristo, contribuire ad elaborare un concetto di laicità che, da una parte, riconosca a Dio e alla sua legge morale, a Cristo e alla sua Chiesa il posto che ad essi spetta nella vita umana, individuale e sociale, e, dall’altra, affermi e rispetti la "legittima autonomia delle realtà terrene", intendendo con tale espressione, come ribadisce il Concilio Vaticano II, che "le cose create e l e stesse società hanno leggi e valori propri, che l’uomo gradatamente deve scoprire, usare e ordinare" (Gaudium et spes, 36). Tale autonomia è un’"esigenza legittima, che non solo è postulata dagli uomini del nostro tempo, ma anche è conforme al volere del Creatore. Infatti, è dalla stessa loro condizione di creature che le cose tutte ricevono la propria consistenza, verità, bontà, le loro leggi proprie e il loro ordine; e tutto ciò l’uomo è tenuto a rispettare, riconoscendo le esigenze di metodo proprie di ogni singola scienza o arte" (ibid.). Se, invece, con l’espressione "autonomia delle realtà temporali" si volesse intendere che "le cose create non dipendono da Dio, e che l’uomo può disporne senza riferirle al Creatore", allora la falsità di tale opinione non potrebbe sfuggire a chiunque creda in Dio e alla sua trascendente presenza nel mondo creato (cfr ibid.).
Questa affermazione conciliare costituisce la base dottrinale di quella "sana laicità" che implica l’effettiva autonomia delle realtà terrene, non certo dall’ordine morale, ma dalla sfera ecclesiastica. Non può essere pertanto la Chiesa a indicare quale ordinamento politico e sociale sia da preferirsi, ma è il popolo che deve decidere liberamente i modi migliori e più adatti di organizzare la vita politica. Ogni intervento diretto della Chiesa in tale campo sarebbe un’indebita ingerenza. D’altra parte, la "sana laicità" comporta che lo Stato non consideri la religione come un semplice sentimento individuale, che si potrebbe confinare al solo ambito privato. Al contrario, la religione, essendo anche organizzata in strutture visibili, come avviene per la Chiesa, va riconosciuta come presenza comunitaria pubblica. Questo comporta inoltre che a ogni Confessione religiosa (purché non in contrasto con l’ordine morale e non pericolosa per l’ordine pubblico) sia garantito il libero esercizio delle attività di culto - spirituali, culturali, educative e caritative - della comunità dei credenti. Alla luce di ques te considerazioni, non è certo espressione di laicità, ma sua degenerazione in laicismo, l’ostilità a ogni forma di rilevanza politica e culturale della religione; alla presenza, in particolare, di ogni simbolo religioso nelle istituzioni pubbliche. Come pure non è segno di sana laicità il rifiuto alla comunità cristiana, e a coloro che legittimamente la rappresentano, del diritto di pronunziarsi sui problemi morali che oggi interpellano la coscienza di tutti gli esseri umani, in particolare dei legislatori e dei giuristi. Non si tratta, infatti, di indebita ingerenza della Chiesa nell’attività legislativa, propria ed esclusiva dello Stato, ma dell’affermazione e della difesa dei grandi valori che danno senso alla vita della persona e ne salvaguardano la dignità. Questi valori, prima di essere cristiani, sono umani, tali perciò da non lasciare indifferente e silenziosa la Chiesa, la quale ha il dovere di proclamare con fermezza la verità sull’uomo e sul suo destino.
Cari giuristi, viviamo in un periodo storico esaltante per i progressi che l’umanità ha compiuto in molti campi del diritto, della cultura, della comunicazione, della scienza e della tecnologia. In questo stesso tempo, però, da parte di alcuni c’è il tentativo di escludere Dio da ogni ambito della vita, presentandolo come antagonista dell’uomo. Sta a noi cristiani mostrare che Dio invece è amore e vuole il bene e la felicità di tutti gli uomini. È nostro compito far comprendere che la legge morale da Lui dataci, e che si manifesta a noi con la voce della coscienza, ha lo scopo, non di opprimerci, ma di liberarci dal male e di renderci felici. Si tratta di mostrare che senza Dio l’uomo è perduto e che l’esclusione della religione dalla vita sociale, in particolare la marginalizzazione del cristianesimo, mina le basi stesse della convivenza umana. Prima di essere di ordine sociale e politico, queste basi infatti sono di ordine morale.
Nel ringraziarvi ancora una volta, cari amici, per l’odierna vostra visita, invoco la materna protezione di Maria su Voi e sulla vostra Associazione. Con tali sentimenti, a tutti imparto di cuore una speciale Benedizione Apostolica, che volentieri estendo alle vostre famiglie e alle persone a Voi care.
* Avvenire, 10.12.2006
Bertinotti replica al Vaticano: rispetto per le coppie di fatto *
«Mi dispiace che si usino da pulpiti così autorevoli delle frasi di scherno che toccano la condizione di vita di tante persone, una condizione spesso sofferente e deprivata di diritti». Il presidente della Camera, Fausto Bertinotti non lascia passare inosservate le parole dll cardinale Alfonso Lopez Trujillo, il presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia che aveva bollato l’annunciato disegno di legge dell’Unione sulle coppie di fatto, definendole «un capriccio». Bertinotti difende il programma con cui il centrosinistra ha vinto le elezioni: «Mi sembra un compromesso intelligente, rispettoso di tutte le culture del paese».
Il Vaticano, però, non accenna a frenare la sua offensiva contro il governo Prodi. L’agenzia dei vescovi Sir difende l’oltranzismo d’Oltretevere affermando che «non è accettabile che, invocando casi limite o situazioni singole, che possono essere tutelate nell’ambito del diritto privato, o interessi di questo o quel gruppo di pressione, si intacchino le architravi della società e ci si privi di quello slancio e di quella apertura al futuro che sola può venire dalle salde radici dei principi e dell’identità».
C’è voglia di addolcire le tensioni, ma anche disappunto, nella replica del vicepremier Massimo D’Alema : «L’allarme del Vaticano non è fondato. Riconoscere diritti negati a centinaia di migliaia di nostri connazionali non mette affatto in discussione la famiglia». Altro che attacco alla società, si tratta «i diritti di italiani, donne e uomini, che vivono insieme e hanno dei figli e che devono vedere riconosciuti i loro diritti anche se non intendono unirsi in matrimonio».
Esplicita è invece l’intenzione di smorzare le polemiche nelle parole del ministro per la famiglia Rosy Bindi: «Questa mia dichiarazione può rassicurare il Vaticano e i cattolici di questo paese. Non abbiamo nessuna intenzione di scardinare la famiglia», annuncia. Bindi spiega che il provvedimento che si sta preparando «riconosce i diritti delle persone e non le unioni civili. È il riconoscimento del primato della Costituzione sulla famiglia». No secco alla possibilità di adozione per le coppie gay.
Tutta politica la preoccupazione di Clemente Mastella: «Dopo lo stress della finanziaria il governo non può avere un altro stress per i Pacs, altrimenti assisteremmo alla lacerazione della maggioranza. Pertanto sui Pacs consiglio al governo di non esser protagonista di una vicenda che è tipicamente parlamentare».
* l’Unità, Pubblicato il: 11.12.06 Modificato il: 11.12.06 alle ore 18.45
Messaggio del Pontefice letto in Vaticano. "La corsa al nucleare getta ombre minacciose sull’umanità". Appello a tutti i cristiani: "Siate strenui difensori della dignità della persona e dei diritti umani"
Il Papa: "Eutanasia e aborto sono attentati alla pace"
CITTA’ DEL VATICANO - Benedetto XVI denuncia "lo scempio" che nella nostra società si fa del "diritto alla vita". Nel messaggio per la Giornata mondiale della Pace, che si celebra il primo gennaio 2007, Papa Ratzinger parla con dolore delle morti silenziose "provocate dalla fame, dall’aborto, dalla sperimentazione sugli embrioni e dall’eutanasia". E si chiede: "Come non vedere in tutto questo un attentato alla pace?"
Il testo, letto questa mattina in Vaticano dal cardinal Raffaele Martino e da monsignor Giampaolo Crepaldi, presidente e segretario del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, affronta diversi temi. Pensando in modo speciale ai bambini vittime di soprusi e violenze da parte di adulti senza scrupoli, il messaggio è stato titolato ’’La persona umana, cuore della pace’’.
I pericoli per la pace, dalle diseguaglianze sociali al terrorismo. "Se si pone la persona umana al centro del sistema sociale e dei rapporti culturali e religiosi si riesce più facilmente a garantire la pace che ora nel mondo è sottoposta a numerosi pericoli e sfide costituite dalla violazione dei diritti umani, dalle disuguaglianze sociali e di genere, dal terrorismo, dal pericolo nucleare, dagli attentati alla vita con la fame, l’aborto, l’eutanasia, la sperimentazione sugli embrioni, il degrado ecologico", scrive Benedetto XVI.
Libano, violato il diritto internazionale. Durante il recente conflitto che ha scosso il Libano del sud non è stato osservato l’obbligo di proteggere la popolazione civile e dunque è stato violato il diritto internazionale umanitario, denuncia il Papa nel suo messaggio, ricordando la necessità per gli stati di rispettare anche in caso di guerra il diritto internazionale umanitario.
Corsa al nucleare, ombre minacciose sull’umanità. "Purtroppo ombre minacciose continuano ad addensarsi all’orizzonte dell’umanità", dice ancora Benedetto XVI. Non cita mai apertamente l’Iran o la Corea del Nord ma le sue parole non possono che essere lette in questo contesto quando parla della corsa al nucleare da parte di alcune nazioni: "Suscita grande inquietudine" la "volontà, manifestata di recente da alcuni Stati, di dotarsi di armi nucleari". "Ne è risultato ulteriormente accentuato - si legge nel messaggio - il diffuso clima di incertezza e di paura per una possibile catastrofe atomica. Ciò riporta gli animi indietro nel tempo, alle ansie logoranti del periodo della cosiddetta guerra fredda".
Rispetto e intesa fra religioni e culture. Benedetto XVI propone poi il rispetto ’’della grammatica scritta nel cuore dell’uomo dal divino suo Creatore’’ in base alla quale è possibile trovare una base comune di intesa tra religioni e culture. Infatti, sostiene il Papa, ’’il riconoscimento e il rispetto della legge naturale costituiscono anche oggi la grande base per il dialogo tra i credenti delle diverse religioni e tra i credenti e gli stessi non credenti. E’ questo un grande punto di incontro e, quindi, un fondamentale presupposto per un’autentica pace’’.
E’ importante - rileva inoltre papa Ratzinger - questo convenire di culture, religioni e non credenti sul riconoscimento della legge naturale anche nei riguardi della persona umana, dal momento che persistono nel mondo concezioni riduttive dell’uomo che mettono in serio pericolo i suoi diritti fondamentali, non negoziabili e, quindi, la pace stessa.
Appello ai cristiani: difendete i diritti umani. Ogni cristiano sia "un infaticabile operatore di pace" oltre che uno "strenuo difensore della dignità della persona umana e dei suoi inalienabili diritti". Papa Ratzinger conclude il messaggio con un "pressante appello" al popolo di Dio. "Non venga quindi mai meno il contributo di ogni credente - scrive - alla promozione di un vero umanesimo integrale, secondo gli insegnamenti delle Lettere encicliche ’Populorum progressio’ e ’Sollicitudo rei socialis’, delle quali ci apprestiamo a celebrare proprio quest’anno il 40esimo e il 20esimo anniversario".
Come ogni anno, il testo e’ stato inviato a tutti i vescovi del mondo e sara’ recapitato dai nunzi a tutti i capi di Stato e di governo, accreditati presso il Vaticano, ma attraverso opportuni canali sarà fatto pervenire pure a quei paesi che non hanno relazioni diplomatiche con la S.Sede.
Distribuito in italiano, inglese, francese, spagnolo, portoghese, tedesco, il messaggio sarà tradotto in altre lingue dalle rispettive conferenze episcopali, e anche in arabo.
(la Repubblica, 12 dicembre 2006)