LA QUESTIONE MORALE
"Chi è sotto processo non sia candidato"
L’Antimafia vara un codice. E Di Pietro: via i condannati dal Parlamento. Indicazione all’unanimità in vista delle amministrative. Ora tocca ai partiti sottoscrivere l’impegno. Il leader dell’Idv: "Ho pensato a Previti, ma è anche una sana provocazione" Al Senato corsia d’urgenza al ddl
di LIANA MILELLA (la Repubblica, 04.04.2007)
ROMA - È solo una coincidenza. Ma nello stesso giorno, la commissione Antimafia, e per giunta all’unanimità, e Antonio Di Pietro con un gruppo trasversale di senatori, sfidano il mondo degli amministratori locali collusi con la criminalità e di quei parlamentari che, pur gravati da condanne definitive, continuano a star seduti in Parlamento. Il caso più clamoroso è quello del forzista Cesare Previti.
Il presidente dell’Antimafia Francesco Forgione lancia una sfida importante: alla vigilia delle elezioni amministrative (13 e 14 maggio in Sicilia, 27 e 28 nel resto del Paese), che coinvolgeranno quasi 12mila elettori per rinnovare otto consigli provinciali e un migliaio di comunali, la commissione bicamerale propone «ai partiti, alle formazioni politiche e alle liste civiche» di sottoscrivere «un codice di autoregolamentazione» per escludere non solo, com’è già previsto oggi grazie al testo unico sugli enti locali di sette anni fa, tutti i potenziali candidati che abbiano già subito condanne definitive, ma anche quelli rinviati a giudizio. A chi è finito davanti al giudice (non basta il solo intervento del pubblico ministero) per reati gravi come l’associazione mafiosa, l’estorsione, l’usura, il riciclaggio e l’impiego di denaro di provenienza illecita, il trasferimento fraudolento di valori, il traffico illecito di rifiuti, dovrà essere chiesto di farsi da parte e di non correre per un posto di amministratore locale.
La logica è ovvia: chi ha su di sé l’occhio di un giudice per questi crimini potrà portare la mafia all’interno delle istituzioni. La forza politica che, invece, vorrà comunque mettere in lista persone in odore di mafia dovrà spiegare pubblicamente la ragione della scelta e della mancata bocciatura. Il plauso è generale. Al voto unanime in Antimafia seguono dichiarazioni convergenti. Solo Forza Italia ci tiene a richiamare i magistrati (lo fanno Carlo Vizzini e Jole Santelli) al massimo del rigore e della equanimità investigativa, visto che con il codice «si affidano le candidature alla magistratura» (Nitto Palma).
Il primo partito a sottoscrivere il testo, per cui l’adesione è ovviamente volontaria, è l’Italia dei valori di Di Pietro. Che solo poche ore prima dell’Antimafia aveva lanciato al Senato la sua proposta legislativa: un disegno di legge sottoscritto dall’Idv per bloccare le candidature al Parlamento di quanti abbiano subito una condanna definitiva.
E qualora la pronuncia definitiva della Cassazione sia sopraggiunta ad elezione avvenuta dovrà seguirne l’immediata decadenza («Ho pensato proprio a Previti quando l’ho proposto, ma so anche che è una sana provocazione» ha chiosato Di Pietro). Ai quattro senatori dell’Idv (Nello Formisano, Franca Rame, Giuseppe Caforio, Fabio Giambrone) si aggiungono altre firme significative: ci sono Tommaso Barbato (Udeur), Fernando Rossi (ex Pdci), Franco Turigliatto (ex Rifondazione), Luigi Pallaro (Italiani all’Estero), e tre senatori a vita, il Nobel Rita Levi Montalcini, Emilio Colombo e pure Giulio Andreotti, noto per i suoi passati guai giudiziari a Palermo e a Perugia finiti però con un’assoluzione.
Il numero di firme, per il regolamento del Senato, dà una corsia d’urgenza al ddl. Commenta Di Pietro: «Entro il 28 maggio sapremo che intenzioni hanno gli altri partiti rispetto a quella che è diventata ormai una specie di guarentigia: chi è condannato resta in Parlamento, va ai talk show, diventa perfino un punto di riferimento».
Indiscutibilmente si tratta di «un segnale forte» come dice Forgione che, su una questione delicatissima, è riuscito a non far spaccare l’Antimafia. Il presidente ci tiene a sottolineare due aspetti. Innanzitutto l’eventuale esclusione sarà decisa sulla base di «un atto politico e non penale». E poi la garanzia di presentare liste pulite servirà per evitare i successivi scioglimenti dei consigli comunali che, oramai, dal 1991 assommano a ben 163 (alcuni azzerati anche quattro volte). Quindi quello della commissione è «uno sforzo di prevenzione politica e morale».
Che naturalmente viene accolto con assoluta soddisfazione dai magistrati dopo che lo stesso procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, nel lungo confronto avuto in via del Seminario, aveva sollecitato un passo avanti e una decisa presa di responsabilità della politica proprio in vista delle amministrative.
Dopo il voto unanime il sostituto Luigi De Ficchy parla di «un segnale bellissimo» che non deve «restare isolato», ma a questo punto deve «essere fatto proprio dai partiti».
IL CASO
Da Dell’Utri a Cantoni, nell’elenco del ministro deputati e senatori di entrambi i poli
Una ventina gli onorevoli a rischio ecco la lista nera dell’ex pm
Molti dei parlamentari sono passati attraverso le inchieste dei pm di Mani pulite *
ROMA - «Una ventina di nomi». Molti di centrodestra, qualcuno di centrosinistra. Una ventina tra deputati, senatori, europarlamentari. Tutti con condanne, di entità più o meno grave, ma tutte definitive. È questa la "lista" di Di Pietro. Quella che lo ha spinto a insistere per sfidare i partner della sua maggioranza sul terreno della «discontinuità» con il precedente governo.
Nella "lista" la parte del leone spetta a Forza Italia. Più di una dozzina di persone. A cominciare da Cesare Previti («Il problema non è lui, ma il Parlamento che non ha il coraggio di buttarlo fuori. C’è una responsabilità anche del presidente della Camera» dice Di Pietro) per finire con Marcello Dell’Utri, condannato a due anni per frode fiscale e false fatturazioni a Torino.
Molti dei citati sono vecchie conoscenze dell’ex pm di Mani pulite. C’è Massimo Maria Berruti, deputato, otto mesi per favoreggiamento nel processo per le tangenti alla Gdf. Poi Antonio Del Pennino, senatore, che ha patteggiato in due processi, due mesi e 20 giorni per l’accusa di finanziamento illecito per Enimont e un anno e otto mesi per lo stesso reato per la metropolitana milanese. Alla Camera è stato confermato il napoletano Alfredo Vito, due anni patteggiati e 5 miliardi restituiti per 22 episodi di corruzione. Al Senato Egidio Sterpa, condannato a sei mesi per la tangente Enimont e Giampiero Cantoni, ex presidente della Bnl in quota Psi, che aveva patteggiato due anni per corruzione e risarcito 800 milioni. Graziato dall’ex presidente Ciampi il senatore Lino Jannuzzi che aveva cumulato oltre due anni per diffamazione. È un ex deputato Gianstefano Frigerio, condannato a sei anni nei processi di Tangentopoli.
Nell’Udc il nome più noto è Calogero Mannino il cui processo per concorso esterno in associazione mafiosa è di nuovo in secondo grado dopo un annullamento della Cassazione e nonostante la legge Pecorella. Per Enimont sei mesi definitivi anche al repubblicano Giorgio La Malfa. Due citazioni a sinistra: il sottosegretario diessino Vincenzo Visco, condannato a dieci giorni per un abusivismo edilizio e il diellino Enzo Carra che per false dichiarazioni nel caso Enimont fu condannato a un anno e quattro mesi.
* la Repubblica, 04.04.2007
Il giorno dopo è polemica sul successo della manifestazione di Grillo
Incertezza sulle frasi ingiuriose al giuslavorista. Mancuso le ha sentite in un clip
V-Day, Casini attacca: "Vergogna su Biagi"
Sott’accusa un video sui lavoratori
Bossi: "Un’esagerazione. Io, ad esempio, condannato per un reato di poca importanza"
Bindi, Violante, Monaco: in quella piazza anche cose giuste. Guai a mettere la testa sotto la sabbia *
di CLAUDIA FUSANI *
ROMA - E il giorno dopo, che succede dei 50 mila di Bologna, dei 300 mila che hanno firmato la proposta di legge, e dei "vaffa" strillati in più di duecento piazze italiane e in una trentina di capitali straniere?
Una faccenda politicamente "ingombrante" questa di Grillo e del suo evento - il V-day - organizzato solo sul web, successo molto poco virtuale e assai fisico. Una faccenda che imbarazza la maggioranza a cui - anche - è destinato il messaggio delle piazze dell’antipolitica. E poi due ministri, Di Pietro e Pecoraro Scanio, hanno aderito mentre gli altri sono stati pubblicamente sbeffeggiati dal comico-blogger. Una faccenda in cui l’opposizione può sguazzare a piacimento. E attaccare.
"Attaccato Marco Biagi" - Il primo è Pier Ferdinando Casini, che definisce il V-day "la più grande delle mistificazioni", una manifestazione "di cui dovremmo tutti vergognarci". Per il presidente dell’Udc, in realtà, il motivo della vergogna non è tanto il rischio del populismo e di una deriva qualunquista quanto un fatto accaduto a Bologna che ha ancora contorni poco chiari e che riguardarebbe il giuslavorista ucciso dalle Br Marco Biagi. "E’ stato attaccato Biagi che invece andrebbe santificato" dice Casini. Che aggiunge: "Dovrebbero vergognarsi i politici che pur di stare sull’onda del consenso popolare hanno mandato messaggi di adesione a Grillo".
Ora, l’assenza di dirette tv e radiofoniche - ad esclusione di Ecotv e Radio Radicale - e probabilmente la portata di un evento che ha superato la copertura di cronaca, ha fatto sì che in realtà non è ben chiaro in che modo e quando sia stato evocato Biagi. E’ certo che l’assessore Libero Mancuso, ex giudice ed ex presidente della Corte d’Assise che ha condannato gli assassini di Biagi, a un certo punto del pomeriggio ha lasciato la piazza Maggiore per colpa di una frase ingiuriosa contro Biagi. Grillo, dal palco, ha invocato l’abolizione delle leggi Treu e Biagi. "La frase è comparsa in un video" ha spiegato Mancuso.
Un video su "Il precariato nell’Italia delle meraviglie" - Il giallo si snebbia intorno all’ora di pranzo quando sul sito di Grillo i simpatizzanti del V-day mettono a disposizione i video con cui è possibile ricostruire la giornata in piazza Maggiore. E’ accertato che Grillo dal palco, a voce, ha fatto solo un riferimento alla legge Biagi e alle nuove forme di precariato. Lo sdegno di Mancuso nascerebbe invece da un video che è stato trasmesso sui maxi schermo della piazza nell’attesa tra un intervento e l’altro. Il video, curato da Grillo, s’intitola: "Il precario nell’Italia delle meraviglie", è accompagnato da una struggente colonna sonora e animato con due piccole scimmiette. Più che di un filmato si tratta di una video-story che racconta come "la legge Biagi ha introdotto in Italia il precariato, moderna peste bubbonica che colpisce i lavoratori soprattutto in giovane età (...) Tutto è diventato progetto per poter applicare la legge Biagi e creare i nuovi schiavi moderni (...). Questo libro è la storia collettiva di una generazione senza niente, neppure la dignità, neppure la speranza, che sta pagando tutti i debiti delle generazioni precedenti, tutti gli errori, tutte le mafie, tutti gli scandali (...)".
Bossi: "Che esagerazione" - Il nome del senatùr è stato scandito sul palco dal comico genovese come uno dei 25 deputati condannati che dovrebbero lasciare il posto in Parlamento perchè sia più "pulito". "E’ un’esagerazione - dice Bossi - io sono stato condannato ma cosa vuol dire?". In fondo il suo era un reato (vilipendio alla bandiera) "non troppo grave e non troppo vicino al cuore della gente". Attenzione, avvisa il fondatore della Lega, "se esageriamo viene avanti l’antipolitica". Severo anche il giudizio di Giulio Tremonti: "Non condivido nè Grillo nè i tanti grilli ben vestiti che sono in giro. Certamente il comico genovese è più simpatico di tanti moralisti" taglia corto il presidente di Forza Italia.
A sinistra cautela e imbarazzo - E dire che una volta, anni fa, Grillo era un figlio della sinistra più illuminata e dissacrante. Il giorno dopo nella maggioranza, pur prendendo le distanze dai modi populisti e qualunquisti, si riflette sul fatto che a quella piazza va data una risposta. E che con quella gente va cercato un dialogo prima di perderla del tutto. Rosy Bindi dice che va "rilanciata la dignità della politica". Il ministro Bersani ammette che "in effetti c’era tanta gente. E però non è che ogni volta che c’è la febbre la colpa è del termometro che è rotto". Il prodiano Monaco mette in guardia i colleghi: "Attenzione, non nascondiamo la testa sotto la sabbia". Guai a liquidare tutto con la storia dell’antipolitica, "a questo malessere va data una risposta". Luciano Violante ammette che nel V-day "ci sono tante componenti e, oltre all’insoddisfazione per la politica, anche cose giuste".
Mentre la politica riflette sul dà farsi, il popolo di Grillo impazza sul web e sul blog del comico. Chiedono "una replica dell’8 settembre". Chiedono di "insistere". Di "continuare la raccolta delle firme". Non ci stanno a passare per qualunquisti o per l’incarnazione dell’antipolitica. E’ solo che vogliono "un’altra politica".
Previti, l’incapacità di decidere
di CARLO FEDERICO GROSSO (La Stampa, 05.07.2007)
Ieri La Stampa ha pubblicato, in un breve trafiletto, una notizia di cronaca apparentemente marginale, sulla quale è invece opportuno riflettere con attenzione. Qualche giorno fa il comico Beppe Grillo aveva accusato (sul suo blog) il presidente della Camera di non fare nulla per espellere dalla Camera l’on. Previti, nei cui confronti è stata pronunciata una sentenza definitiva di condanna penale che comporta, per la sua tipologia e la sua gravità, l’interdizione dai pubblici uffici e pertanto la decadenza dal mandato parlamentare.
Bertinotti ha risposto che «la Camera dei Deputati non è organizzata come una monarchia assoluta ma secondo il modello dello stato di diritto» e che «la questione dell’ineleggibilità e della decadenza è regolata dalla legge, e non è il presidente a decidere», ed ha soggiunto che «nei confronti di Previti è, comunque, aperto un procedimento, e sarà l’aula a decidere».
Questa risposta, formalmente, è ineccepibile. Peccato, però, che eluda i termini reali della questione che Grillo intendeva, evidentemente, sollevare con la sua accusa un po’ provocatoria di inerzia presidenziale. Perché è vero che il presidente della Camera poco o nulla può fare, specificamente, contro le lungaggini della Commissione parlamentare che sta occupandosi del caso Previti. Ma è altrettanto vero che, stato di diritto alla mano, se le regole devono essere rispettate, devono essere rispettate a trecentosessanta gradi.
Non si comprende infatti per quale ragione, ad oltre un anno di distanza dalla pronuncia giudiziale che ha sancito l’interdizione dalla funzione pubblica, il Parlamento non si sia ancora pronunciato sulla decadenza. Consentendo che un parlamentare, che secondo le regole stabilite dalla legge penale avrebbe già dovuto abbandonare da tempo il suo incarico, continui invece, imperterrito, a ricoprirlo. Capisco quanto il caso Previti sia complesso, quanto le garanzie difensive debbano essere salvaguardate e quanto la competente Commissione parlamentare, presieduta da un deputato di Forza Italia, possa avere trovato intoppi nel procedere con speditezza nel suo lavoro. Sono d’altronde convinto che più d’un parlamentare, regolamenti alla mano, a questo punto mi spiegherà che la trattazione della pratica è comunque proceduta nel rispetto della legalità e dell’efficienza. Per carità, avrà senz’altro ragione. Ciò non toglie che a noi cittadini comuni riesca un po’ difficile apprezzare che una questione così delicata, ma nello stesso tempo così urgente, come la decadenza di un parlamentare condannato, impieghi tanto tempo ad essere risolta. Se esiste una norma penale che stabilisce l’interdizione dai pubblici uffici per chi è condannato per determinati reati, logica vorrebbe che si decidesse in fretta, evitando la protrazione abnorme di una situazione d’incertezza sulla condizione soggettiva del parlamentare sottoposto a procedura di decadenza.
E’ pertanto comprensibile che Grillo non sia stato soddisfatto dalla risposta un po’ pilatesca di Bertinotti ed abbia reagito a muso duro, scrivendo nel suo blog che, se nessuna autorità è in grado d’impedire che chi non ne ha più diritto continui ad essere deputato, «allora, caro Fausto, le istituzioni hanno fallito». Si potrebbe soggiungere: ma allora, caro presidente, perché, per il rispetto sostanziale di quel principio di legalità al quale lei stesso fa riferimento nella sua risposta a Grillo, invece di limitarsi a menzionare le regole esistenti non si attiva per modificare i regolamenti e le prassi che consentono indebite lungaggini nell’istruttoria di pratiche come quella che concerne il condannato Previti? Se lo facesse, rafforzerebbe lo stato di diritto ed eviterebbe incomprensioni della gente nei confronti del lavoro del Parlamento e del funzionamento delle istituzioni.
Nella storia repubblicana del nostro Paese vi sono stati, sicuramente, periodi più difficili di quello che stiamo vivendo. Guerra fredda, terrorismo, servizi deviati, depistaggi, stragi, spionaggi, corruzione. Oggi c’è tuttavia un tarlo che corrode. La perdita di fiducia diffusa della gente nei confronti della politica e delle istituzioni. Il rifiuto. Il distacco. La noia per le solite facce, i soliti riti, i soliti discorsi. La rabbia nei confronti della casta e dei suoi privilegi veri o presunti. L’irrisione per l’incapacità di decidere. L’antipolitica che avanza. Se non si disinnesca la rabbia, se non si supera il rifiuto, se non si colma il distacco, le conseguenze potrebbero essere a loro volta esiziali.
Ecco perché, nel piccolo episodio di cronaca dal quale si è tratto spunto per queste brevi riflessioni, la politica, ancora una volta, sembra mostrare di non essersi accorta di ciò che sta accadendo. Grillo, ideologicamente impegnato, intelligente e giustamente irridente come si conviene ai comici, facendo riferimento ad un’ipotesi emblematica di ritardo peloso nell’espletamento di un’incombenza parlamentare chiede al presidente della Camera: ma che cosa aspetti ad intervenire? Il presidente, eludendo il problema, risponde: rispetto le regole date dello stato di diritto. Molta gente, ho l’impressione, a questo punto continuerà a pensare che la politica costituisce davvero una casa separata e avrà un po’ di fiducia in meno nell’istituzione parlamentare.