Benedetto XVI non si ferma: beatificazione per 498 franchisti *
Come preannunciato e nonostante le polemiche, domenica la Chiesa Cattolica beatifica tutti insieme 498 martiri franchisti.
La cerimonia, che si terrà domenica in piazza San Pietro, farà salire a 977 i martiri spagnoli riconosciuti dalla Chiesa, dei quali 11 sono già santi. «Di altri 2 mila sono in corso i processi di beatificazione e altri se ne apriranno, perchè furono circa 10 mila i martiri della Spagna in quell’epoca», ha affermato padre Juan Antonio Martinez Camino, segretario dell’Episcopato spagnolo.
* l’Unità, Pubblicato il: 27.10.07, Modificato il: 27.10.07 alle ore 21.05
La chiesa spagnola ha nostalgia del fascismo, e il Vaticano le dà corda, accogliendo la decisione di beatificare quasi 500 fascisti spagnoli. Sono religiosi e laici che secondo i vescovi sono stati perseguitati durante la Repubblica e che vengono ora beatificati per rispondere ai tentativi del governo Zapatero di rifare i conti con il passato spagnolo. È una vera e propria battaglia a colpi di memoria, quella tra il Governo e la Chiesa spagnola. Da una lato, quindi, l’esecutivo guidato da Zapatero che si prepara a varare una legge in cui il franchismo venga finalmente condannato e in cui si dichiari l’illegittimità di ogni suo “strascico”, come ad esempio le sentenze emesse dai tribunali duranti il regime. Dall’altra invece la Chiesa spagnola che si prepara al 28 ottobre data in cui ha deciso di beatificare 498, tra religiosi e civili, «martiri della Repubblica». Racconta la vicenda El Pais, quotidiano progressista iberico.
Tra venti giorni, dunque, papa Benedetto XVI celebrerà la funzione in piazza San Pietro: mai prima d’ora si era verificata una beatificazione così numerosa, e il numero dei beati potrebbe anche salire. La Conferenza episcopale spagnola calcola che il numero di religiosi e laici, che sarebbero stati perseguitati e uccisi durante la guerra civile (1936-1939) che portò alla fine della Repubblica e all’avvento della dittatura del generale Francisco Franco, potrebbe oscillare tra i duemila e i diecimila. Numerosissimo anche il pubblico di pellegrini che la Chiesa prevede parteciperà alla funzione. «Piazza San Pietro - dicono dalla Cei iberica - non sembrerà vuota. Sarà una grande festa, perché grande è la pagina di storia che rappresenta». Non c’è dubbio.
«Nessuna megalomania» ribadiscono dal Vaticano, ma una risposta alla legge sulla Memoria Storica voluta dal governo. Il portavoce dei vescovi spagnoli, Martínez Camino, ci tiene a sottolineare la «persecuzione religiosa durante la Repubblica» subita dai futuri beati: «Non un caso isolato - insiste Camino - ma rientra nella grande persecuzione subita nel corso del XX secolo in Europa dai cristiani di tutte le confessioni». La cerimonia a Roma, conclude il portavoce «aiuterà l’opinione pubblica italiana conoscere una pagina incompresa della storia della Chiesa spagnola».
L’iniziativa dei vescovi iberici, è un nuovo capitolo della «memoria è rimasta in frigorifero» come l’ha definita su Le Monde Diplomatique lo scrittore Josè Manuel Fajardo: la democrazia spagnola rinata con la fine del franchismo «per evitare atti di violenza e di vendetta» avrebbe scartato «qualsiasi ipotesi di messa sotto accusa di coloro che avevano partecipato alla dittatura e ai suoi crimini». In questo senso, la legge sulla memoria servirà a «ridare dignità alle vittime tramite iniziative come la dichiarazione di nullità dei processi franchisti e l’esumazione dei cadaveri dei repubblicani sotterrati anonimamente in fosse comuni». Ma sta scatenando accese polemiche nella politica spagnola: per la sinistra è troppo timida, mentre la destra continua a boicottarla.
* l’Unità, Pubblicato il: 06.10.07, Modificato il: 08.10.07 alle ore 13.54
La morte rivoluzionaria dei martiri
di Juan Manuel de Prada *
"Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siete figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti". Questo mandato che Gesù ci trasmette nel Discorso della montagna forse è la più improba esigenza che si può far gravare sulle spalle di un essere umano. Come possiamo giungere ad amare fino a questo estremo? Il sacrificio del Golgota è la prova più evidente di questo amore universale che fa "piovere" su tutti gli uomini, anche su coloro che appesero Gesù a un legno, anche su di noi che ogni giorno continuiamo a farlo. Compiere il mandato di amore verso i nemici diviene pertanto la prova massima della imitatio Christi, la più sovversiva e radicale espressione della nostra fede.
I 498 martiri della guerra civile spagnola che saranno oggi beatificati morirono amando quanti strapparono loro la vita. Sono testimoni di questo amore estremo che Gesù ci ha richiesto, testimoni della scandalosa bellezza della fede che professavano. Vi è, in effetti, una sfida e qualcosa di rivoluzionario nella loro morte, qualcosa che interpella l’uomo contemporaneo in modo feroce. Quegli uomini e quelle donne morirono perdonando quanti li uccidevano, morirono amando quanti li uccidevano, sicuri che il loro sangue si sarebbe trasformato in fermento fecondo per quanti, un giorno, nel ricordare la loro morte, sarebbero riusciti a decifrare il loro commovente mistero. Quegli uomini e quelle donne morirono con la gioia di sapersi amati da Colui che stava per accoglierli nel suo grembo, morirono abbracciati allo stesso legno che noi uomini abbiamo innalzato e continuiamo a innalzare ogni giorno per crocifiggere Colui che ci ha redenti con il suo amore. Solo questa identificazione profonda e incrollabile con Gesù spiega il loro sacrificio, e, spiegandolo, lo trasforma in segno universale di generosità e riconciliazione del quale beneficiamo non solo noi cristiani, ma in generale qualsiasi persona che rivolga con occhi puri lo sguardo verso la bellezza profonda di quel gesto. Commemorare quei martiri significa celebrare la possibilità di un futuro di concordia e di perdono che ci includa tutti. Un futuro pasquale, poiché dal seme di quel sangue sparso per amore nasce ogni giorno un raccolto di uomini nuovi, capaci alla fine di esorcizzare l’odio.
Questa è la testimonianza dei martiri: sebbene siamo fatti di fango, una forza sovrumana ci esalta, sebbene attorno a noi la morte passeggi sulla terra, siamo messaggeri di vita. Come Bartolomé Blanco, un giovane cordobese di appena 21 anni, che fa parte di questi 498 martiri che saranno oggi beatificati. Poche ore prima di affrontare i proiettili, Bartolomé scrisse alla sua fidanzata una lettera commovente: "Maruja dell’anima mia, il tuo ricordo mi accompagnerà fino alla tomba e finché vi sarà un battito nel mio cuore, questo palpiterà di amore per te. Dio ha voluto sublimare questi affetti terreni, nobilitandoli quando li amiamo in Lui. Per questo, sebbene nei miei ultimi giorni Dio sia stato mia luce e mio anelito, ciò non toglie che il ricordo della persona più amata mi accompagni fino al momento della morte. Sono assistito da molti sacerdoti che, come balsamo benefico, stanno effondendo i tesori della Grazia nella mia anima, fortificandola; guardo la morte in faccia e in verità ti dico che non mi spaventa né la temo. (...) Ora che mi mancano poche ore per il definitivo riposo, voglio chiederti solo una cosa: che in ricordo dell’amore che abbiamo provato, e che in questo momento sta crescendo, ti prefigga come obiettivo principale la salvezza della tua anima, perché così riusciremo a riunirci per tutta l’eternità in cielo, dove nessuno ci separerà. A quel momento, allora, Maruja dell’anima mia! Non dimenticare che dal cielo ti guardo, e cerca di essere un modello di donna cristiana, poiché alla fine di tutto, a nulla servono i beni e i piaceri terreni, se non riusciamo a salvare l’anima. (...) Sii forte e ricostruisci la tua vita: sei giovane e buona, e avrai l’aiuto di Dio che implorerò dal suo Regno. All’eternità, allora, dove continueremo ad amarci per i secoli dei secoli!".
Con la sua morte, Bartolomé Blanco ha contribuito a far sì che noi uomini continuassimo ad amarci anche sulla terra. La beatificazione di questi testimoni dell’amore che, come Bartolomé, morirono perdonando quanti li uccidevano, coincide con la promulgazione in Spagna di una Legge della memoria storica che semina zizzania perché ha riaperto la ferita del rancore e fatto agitare i fantasmi fratricidi di una battaglia i cui echi continuano a infettare la convivenza degli spagnoli. Contro questi fantasmi s’innalza la testimonianza dei martiri che oggi saranno elevati agli onori degli altari; settant’anni dopo quell’immondo pandemonio di sangue, questi testimoni di Gesù esigono da noi che abbandoniamo il risentimento, esigono da noi che amiamo oltre misura, esigono da noi che portiamo il cielo sulla terra. È, in verità, un mandato sovversivo, una sfida; un mandato così sovversivo e una sfida tale da poter riempire un’intera vita. Volgiamo lo sguardo verso quei testimoni che osarono donare la propria vita per dimostrarci che non si tratta di un compito impossibile; e, nel farlo, scopriremo che il fantasma di Caino fugge umiliato e impaurito, senza un posto nel mondo, fugge per sempre dal nostro cuore, dove non vi sono più nemici.
(©L’Osservatore Romano - 28 Ottobre 2007)
SULL’ARGOMENTO - IN GENERALE, SUL SITO, SI CFR.:
VIVA LA SPAGNA, LA SPAGNA DEMOCRATICA. UOMINI E DONNE, CITTADINI E CITTADINE...
GUERNICA - PICASSO (Wikipedia))
IL CATTOLICESIMO CON LA CROCE UNCINATA
UOMO-DONNA: "I SOGGETTI SONO DUE, E TUTTO E’ DA RIPENSARE" (Laura Lilli, 1993)!!!
Francisco Franco (1892 -1975)
Potere e terrore del Caudillo
di Emilio Gentile (Il Sole-24 Ore, Domenica, 15.11.2015)
«Dio mio, quanto è duro morire», disse il generalissimo Francisco Franco, capo dello Stato spagnolo, poche settimane prima della morte, avvenuta il 20 novembre 1975. Avrebbe compiuto 83 anni il 4 dicembre. L’agonia fu lunga. Il suo corpo senza coscienza fu tenuto in vita da macchine. Era un espediente per preparare la successione all’uomo che aveva governato la Spagna con un regime autoritario per quasi quaranta anni, dopo aver vinto nel 1939 una feroce guerra civile, da lui stesso iniziata nel 1936 con altri generali contro il legittimo governo della repubblica instaurata nel 1931. Dagl’insorti Franco era stato proclamato capo dello Stato con pieni poteri:e tale rimase, con l’appellativo di «Caudillo (duce) per grazia di Dio», fino al giorno della morte.
La mattina del 20 novembre, alla televisione, il presidente del governo piangendo lesse il testamento di Franco al popolo spagnolo. Il Caudillo dichiarava di essere pronto a comparire davanti all’ «inappellabile giudizio di Dio», morendo come era vissuto da «figlio fedele della Chiesa». A tutti chiedeva perdono, come perdonava «quanti si erano dichiarati suoi nemici, pur non avendoli mai considerati tali», perché «non ho avuto altri nemici se non i nemici della Spagna»; ma avvertì gli spagnoli che «i nemici della Spagna e della civiltà cristiana sono sempre all’erta», e li esortò «a mantenere unita la terra di Spagna, esaltando la ricca molteplicità delle sue regioni come fonte di forza per l’unità della patria».
L’identificazione della sua persona col destino della Spagna, la guerra contro i suoi oppositori politici come nemici della nazione e della civiltà cristiana, l’inflessibile salvaguardia dell’unità statale contro il separatismo di baschi, catalani o galiziani: erano questi gli argomenti con i quali Franco impose il suo potere personale, paragonabile nella storia della Spagna solo alla monarchia assoluta di Filippo.
Intellettualmente mediocre ma molto ambizioso, astuto, opportunista, Franco si considerò sempre inviato da Dio per salvare la Spagna dal comunismo e dalla democrazia laica. Combatté la guerra civile come una crociata contro i nemici della nazione e della religione. La Chiesa fu un pilastro fondamentale del regime franchista e partecipò alla glorificazione del Caudillo come uomo della Provvidenza; in cambio, ottenne da Franco il controllo sull’istruzione e sulla moralità degli spagnoli. Il nazionalcattolicesimo reazionario fu l’ideologia del franchismo.
Franco aveva vinto la guerra civile con l’aiuto di Mussolini e di Hitler. Li univano l’odio per il comunismo, il disprezzo per la democrazia, la repressione terroristica delle opposizioni. Dopo la vittoria, furono migliaia le esecuzioni capitali inflitte ai difensori della repubblica, e oltre 250mila gli antifranchisti detenuti in carcere e in campo di concentramento.
Il regime di Franco si definì totalitario. Dal modello fascista prese il partito unico, lo stile paramilitare, i riti, la sacralizzazione del Capo con adunate oceaniche per adorarlo. Tuttavia, mentre il fascismo aveva un impulso rivoluzionario, il franchismo rimase conservatore e tradizionalista. Pur aspirando a conquiste imperiali, il Caudillo non partecipò alla Seconda guerra mondiale a fianco di Mussolini e Hitler: evitò così d’esser essere travolto nella loro fine.
La vittoria delle potenze antifasciste condannò la Spagna all’isolamento, ma Franco, dopo aver ripudiato il fascismo e cancellato “totalitario” dalla definizione del suo regime, approfittò abilmente della Guerra Fredda per offrirsi agli Stati Uniti come alleato contro il comunismo: nel 1953, gli accordi militari con gli americani e il Concordato con la Santa Sede posero fine all’ostracismo internazionale; nel 1955 la Spagna fu ammessa all’Onu. Pio XII conferì a Franco «nostro diletto figlio» il Supremo ordine di Cristo, la più alta onorificenza vaticana. Nel 1959 il Caudillo accolse a Madrid il presidente Eisenhower.
La fine dell’isolamento favorì in Spagna, fra il 1957 e il 1970, uno straordinario sviluppo economico. Dopo un ventennio di corporativismo autarchico, che aveva aggravato la povertà del Paese arretrato e sconvolto dalla guerra civile, il Caudillo accettò le riforme proposte da nuovi tecnocrati, che realizzarono l’industrializzazione con un miglioramento delle condizioni di vita. Franco, che voleva per gli spagnoli prosperità senza libertà, attribuì il “miracolo economico” alla Provvidenza che lo manteneva a capo della Spagna, e continuò a imporre il centralismo autoritario e il cattolicesimo tradizionalista, denunciando continuamente un complotto internazionale di comunisti, democratici e massoni per scatenare una nuova guerra civile.
Invece, il “miracolo economico” provocò profondi mutamenti sociali e la nascita di una società civile ribelle al franchismo. Studenti universitari e lavoratori si mobilitarono con agitazioni e scioperi, repressi con violenza. Anche la Chiesa del Concilio Vaticano II prese le distanze dal Caudillo e protestò contro la repressione. Al terrorismo di Stato, i nazionalisti baschi reagirono con il terrorismo dell’Eta, che nel dicembre 1973 uccise il presidente del governo Carrero Blanco, dimostrando che il regime era vulnerabile.
Quando iniziò l’agonia di Franco, l’invecchiamento e la decadenza mentale del Caudillo, le rivalità fra gli aspiranti alla successione e la fine del “miracolo economico” avevano già messo in crisi il regime, mentre le proteste internazionali per la pena capitale inflitta agli oppositori politici lo ricacciarono nell’isolamento. Tuttavia, mai Franco accettò di aprire alla democrazia, perché la odiava come il comunismo. Nel 1969 aveva nominato a succedergli Juan Carlos di Borbone, designato re con l’impegno di mantenere il regime autoritario. Invece, morto Franco, il re favorì la transizione alla democrazia. Dopo quaranta anni, il regime franchista fu smantellato pacificamente in due anni. Fu un nuovo “miracolo” nella Spagna contemporanea.
La Spagna delle fosse comuni
A 40 anni dalla morte di Franco sono ancora migliaia i morti della Guerra civile seppelliti in tombe di massa, che non hanno un nome
di Eliana Di Caro (Il Sole-24 Ore, Domenica, 15.11.2015)
Il biglietto costa nove euro, ma prima si sale per sei chilometri lungo una strada fitta di conifere, abeti e pini tipici della Sierra di Madrid, quasi a voler creare un’attesa nel visitatore. Si rimane effettivamente spiazzati dalla maestosità della Valle de Los Caídos, il monumento ai caduti voluto da Francisco Franco e inaugurato il 1° aprile del 1959, a 20 anni dalla fine della Guerra civile, con una croce alta 105 metri incombente su tutto e tutti.
Qui, il prossimo 20 novembre, si ricorderà il 40° anniversario della morte del Generalísimo - la cui tomba è sull’altare - e si raduneranno i nostalgici franchisti. Ma l’immensa e cupa basilica è anche il simbolo di una lacerazione mai ricomposta che il Paese si porta dietro, più o meno consapevolmente, da quasi mezzo secolo: scavata nella roccia dai prigionieri di guerra, contiene i resti delle vittime del conflitto, 33.833 si legge in una pagina web del Governo spagnolo, di cui 12.410 non identificati. Un immane, macabro ossario, ma non isolato. Sono infatti centinaia le fosse comuni sparse nel Paese, molte delle quali mai aperte.
La legge della «Memoria histórica», approvata alla fine del dicembre 2007 dal Governo Zapatero, ha cercato di rispondere a un popolo che vuole la restituzione dei propri morti, chiede di riconoscerli e piangerli. Un’esigenza sollecitata dalle tante associazioni costituite soprattutto dalle giovani generazioni, spinte dall’urgenza di conoscere la sorte dei loro nonni, familiari e dal bisogno di verità e comprensione del processo di transizione, dopo il ’75, basato sul patto dell’oblio.
José Álvarez Junco, professore emerito di Storia del pensiero e dei movimenti sociali all’Università Complutense di Madrid, spiega che in realtà non è corretto definirlo patto dell’oblio come comunemente si fa: «Della guerra, del franchismo, del disastro in cui tutto era culminato si parlò apertamente, si cercò una formula di amnistia proposta dalla sinistra.
L’accordo riguardò piuttosto la non utilizzazione politica della storia, si decise - per fare un esempio - di non chiamare reciprocamente assassini il ministro franchista Manuel Fraga che firmò la pena di morte di Julián Grimau nel ’63 (esponente del Pce, ndr) e il segretario comunista Santiago Carrillo che avrebbe potuto impedire la strage di Paracuellos compiuta dai repubblicani. Si stabilì che era più importante per entrambe le parti andare verso una Costituzione democratica, ma non ci fu né silenzio né oblio in questa scelta.
La destra non aveva un progetto né un leader, si assicurò che non ci sarebbero state epurazioni nella polizia, tra i militari e nella magistratura (motivo per cui abbiamo una classe di giudici conservatrice e inefficace); la sinistra, dinanzi a un regime franchista comunque ancora forte e strutturato e al rischio di una nuova guerra civile, ottenne l’amnistia e le elezioni democratiche».
Ma il sito internet dell’Associazione per il recupero della Memoria storica si apre con la foto dei firmatari della Costituzione del ’78, sulla quale campeggia una scritta eloquente: «Perché i Padri della Costituzione hanno lasciato mio nonno nella fossa?».
Spiega ancora Junco: «Il Governo non promuove le esumazioni, se c’è una iniziativa privata l’appoggia con aiuti economici e giuridici. Lo ha stabilito la legge che prevede anche la rimozione dei simboli franchisti più aggressivi e celebrativi, o la compensazione con simboli repubblicani: vuol dire che accanto a una croce o lapide o monumento franchista ce ne deve essere un’altra repubblicana».
Questo dà la misura di quanto le ferite siano ancora aperte, e il tema della Guerra civile e della dittatura resti in qualche modo irrisolto. «Per me la legge è troppo moderata. Io ho fatto parte della prima Commissione di stesura del provvedimento - prosegue Junco - che è stata in discussione più di un anno. Si è dibattuto della Valle de Los Caídos, a proposito di simboli celebrativi di Franco. Personalmente penso che non dovrebbe essere rimosso, ma visitato con consapevolezza: bisognerebbe spiegare che cos’è, cosa rappresenta, con delle fotografie dei prigionieri che lo hanno costruito, e accanto dovrebbe sorgere un centro sulle guerre civili. Insomma, Auschwitz non è stato distrutto ma tutti sanno. Questo mio progetto è stato messo da parte. La Guerra civile è un trauma per gli spagnoli, ricorda loro il tempo in cui erano poveri, violenti, li fa vergognare, mentre ora sono ricchi ed europei. I giovani non hanno il peso di tutto questo su di sé, stanno cambiando le cose, vogliono giustizia, sono più radicali».
Lo si capisce parlando con José Antonio Millán, 40 anni, lo sguardo fiero, che dal 2005 combatte la battaglia della memoria. È avvocato penalista e presidente dell’associazione di Ciudad Real, capitale della Mancha, 200 chilometri a sud di Madrid. Uno zio del padre, Ramón, sindacalista anarchico di 25 anni, dopo «il colpo di Stato di Franco del 18 luglio del ’36, perché ricordiamolo fu un colpo di Stato», fu arrestato con un centinaio di persone e fucilato il 6 ottobre del ’39, il suo corpo fu buttato in una fossa comune. Millán è riuscito a ricostruirne i movimenti e identificarne il corpo, e da allora è impegnato ad aiutare quanti «vogliono sapere, trovare i loro cari e non sanno nemmeno da che parte cominciare. Le fosse, questo è un dato governativo, sono oltre 2.050».
A Barcellona, che in questi giorni è in pieno braccio di ferro con la capitale per la risoluzione d’indipendenza della Catalogna sospesa dalla Corte Costituzionale, ha appena presentato il suo ultimo libro Los besos en el pan Almudena Grandes, scrittrice molto amata in Spagna (tradotta in Italia da Guanda) e sensibile alle questioni politiche. Quando le chiediamo una riflessione sull’evoluzione post bellica e sul tema della memoria, fa un distinguo interessante, partendo da sé e da quelli della sua generazione «del 1960, educati in un ambiente e con uno spirito che non aveva più nulla del regime. Però credo che la crisi che la democrazia spagnola sta vivendo sia legata alla transizione democratica che ha reso la Spagna un Paese fragile: non ci fu una rottura estesa ed efficace con la dittatura, le istituzioni conservano molto di quell’epoca. C’è dunque all’origine un problema sentimentale e morale, e il problema territoriale (della Catalogna ndr) è la manifestazione di un Paese che non si riconosce nei simboli nazionali spagnoli, perché non si è fatto un progetto rotondo e la transizione è stata ambigua».
Grandes, che ha scritto diversi romanzi ispirati alla Guerra civile (pensiamo a Inés e l’allegria o a Il ragazzo che leggeva Verne), non risparmia le critiche a chi governa: «Non c’è una politica pubblica della memoria. Il Governo Rajoy non ha cancellato la legge ma non ha mosso un dito. Ricordiamoci che abbiamo 150mila cadaveri senza un nome, con 1000 famiglie che non possono recuperare i corpi. C’è gente che pensa che sia una questione ideologica, e invece questa è una vicenda di diritti umani. La memoria non ha a che vedere con il passato ma con il presente e il futuro: è la nostra grande questione pendente».
Don Sturzo, la Chiesa e la guerra civile spagnola
di Fulvio Cammarano (il Messaggero, 22 gennaio 2013)
La guerra civile spagnola è ancora oggi considerata un conflitto strettamente associato all’idea di guerra di religione. E non può essere altrimenti dato che entrambi i fronti utilizzano la religione come simbolo delle loro ragioni.
Se la Chiesa è in quegli anni interessata ad accreditare l’idea di una guerra come reazione alla persecuzione religiosa dei repubblicani, è però vero che non poche, ma comunque minoritarie, voci del cattolicesimo politico si levarono per contestare tale prospettiva.
Di una delle più rilevanti di queste voci, quella di Luigi Sturzo, ci dà oggi conto Alfonso Botti raccogliendo (in un volume dell’opera omnia di Sturzo, Luigi Sturzo e gli amici spagnoli, 572 pagine, 40 euro a cura dell’Istituto Luigi Sturzo i carteggi tra il sacerdote siciliano e 37 corrispondenti spagnoli.
Si tratta di un lavoro importante non solo perché mette un punto fermo su un tema quasi ignorato dalla storiografia, ma anche perché fornisce una plausibile interpretazione dell’atteggiamento condiscendente della Santa Sede nei confronti dei ribelli franchisti.
Per Botti, non fu il timore delle persecuzioni antireligiose repubblicane a trattenere la Chiesa dal ricoprire un ruolo di pacificatore, ma «furono la benevola e fiduciosa valutazione del fascismo e il modus vivendi trovato (e comunque, anche nei momenti di attrito, auspicato) con esso a orientare la Santa Sede verso la sopravvalutazione dell’interpretazione del conflitto spagnolo come guerra di religione. Che, quindi, fu allo stesso tempo interpretazione e alibi».
FUORI DAL CORO
Sturzo, «voce fuori dal coro», contesta apertamente questa deriva e s’impegna, negli anni della Seconda Repubblica, per evitare l’identificazione tra cattolici e destre e poi, negli anni della guerra civile, opera concretamente a favore di una pace negoziata. Pur consapevole degli errori del governo repubblicano che «rende difficile anche ai più favorevoli» difenderlo dall’accusa di persecuzione religiosa, Sturzo conferma che il suo obiettivo rimane, come scrive nell’ottobre 1936, «quello di disimpegnare la Chiesa cattolica come tale, dalla solidarietà con gli insorti. Tale accusa ripetuta dai giornali di Sinistra, è diffusa per colpa dei giornali di destra, nazionali, clericali e fascisti che vogliono confondere la causa degl’insorti con quella della Chiesa» (p.48).
Ma perché la Chiesa è in quegli anni avversata da così tanti nemici? Anche in questo caso Sturzo rifiuta la consolatoria e radicata versione del clero come vittima passiva e, con pochi altri, ne attribuisce le responsabilità al rifiuto della gerarchia iberica «alla maturazione di un laicato cattolico autonomo e sensibile alla questione sociale.
In altre parole al distacco della Chiesa dal mondo popolare» (p. CXX), una colpa questa che la trasforma da vittima a corresponsabile di quella tragedia che anticipò, da ogni punto di vista, gli orrori della II Guerra mondiale
“È una crociata della classe ricca c’è troppo odio”
di Luigi Sturzo (la Repubblica, 30 gennaio 2013)
Londra, 18 febbraio 1937 [...] Come sono afflitto per la tragedia della cara Spagna, che io ho amato fin da bambino [...]. Io non credo che la vittoria di una parte o dell’altra potrà portare la pace e far superare la crisi attuale. Troppe miserie, troppi disordini, troppe divisioni e troppi odi.
La Chiesa di Spagna, che avrebbe potuto fare opera di pace, si è schierata in maggioranza con una parte quasi dichiarando una Crociata o Guerra Santa.
Dalla stessa parte stanno i latifondi, industriali, classe ricca, che hanno le maggiori responsabilità dell’abbandono della classe operaia in mano ai sovversivi, per avere avversato ogni riforma sociale, portata in nome del Cristianesimo, degl’insegnamenti di Leone XIII e del movimento della democrazia cristiana.
Il fondo della guerra civile e sociale non religioso: lo spagnuolo è a suo modo cattolico anche quando brucia le chiese, in una guisa di protesta come fa il carrettiere bestemmiatore prendendosela con Dio perché il suo cavallo ricalcitra.
Quando, alla fine della guerra, vi saranno a centinaia di migliaia i morti delle due parti, crederà forse il vincitore di poter dominare il vinto, senza un compromesso, una composizione spirituale, prima che economico-sociale?
A mio modo di vedere, solo i cattolici e i cleri rimasti fuori del conflitto, potranno fare opera di pacificazione.
Per questo io sono assai dolente nel vedere che molti giornali e stampa cattolici esteri si sono così benevolmente impegnati per Franco, senza pensare che danno così nuovi motivi agli avversari per credere che tutta la chiesa cattolica compreso il papato sia nemica del popolo operaio spagnuolo, nemica degli stessi baschi, che difendono la loro personalità e autonomia
[...]. Purtroppo i nostri desideri non valgono contro la realtà; e questa è la tragedia [...].
Per Botti, non fu il timore delle persecuzioni antireligiose repubblicane a trattenere la Chiesa dal ricoprire un ruolo di pacificatore, ma «furono la benevola e fiduciosa valutazione del fascismo e il modus vivendi trovato (e comunque, anche nei momenti di attrito, auspicato) con esso a orientare la Santa Sede verso la sopravvalutazione dell’interpretazione del conflitto spagnolo come guerra di religione. Che, quindi, fu allo stesso tempo interpretazione e alibi».
La persecuzione religiosa in Spagna non inizia nel 1936 con il "levantamiento" di Franco, ma ha le sue radici in un anticlericalismo datato che non trova pari in altre realtà europee. Dal 1931, ed ancora prima, in Spagna si assiste a forme di persecuzione nei confronti della Chiesa. L’apertura dell’Archivio segreto del Vaticano apporta utili elementi per inquadrare l’atteggiamento del Vaticano nei confronti di Franco. Pio XI ed il suo segretario di Stato, il futuro Pio XII, non rimasero inerti di fronte alla guerra fratricida spagnola. È nota la ritrosia che i due rappresentanti della Chiesa provavano nei confronti del regime di Franco.
La Spagna oltre il patto dell’oblio
Definita impropriamente «della memoria storica», la legge approvata ieri non rappresenta una rivincita sul ’39, ma la fine di una lunga fase di transizione
di Alfonso Botti (il manifesto, 01.11.2007)
Ci sono semplificazioni che aiutano a capire. Altre che fanno velo e allontanano dalla realtà delle cose. La legge che il Congresso dei deputati spagnoli ha approvato ieri si chiama «Legge attraverso la quale si riconoscono e ampliano i diritti e si stabiliscono misure in favore di coloro i quali soffrirono persecuzione o violenza durante la guerra civile e la dittatura». Non «Legge sulla memoria storica», dunque, come ci si è ostinati a chiamarla dall’avvio del suo iter parlamentare, il 28 luglio 2006.
Non è la stessa cosa: una legge sulla memoria storica rinvia a uno Stato non solo legislatore, ma storiografo, che oltre a istituzionalizzare il ricordo, a trasformare la memoria collettiva in memoria pubblica, elabora e produce interpretazioni facendone norma.
Uno Stato che dice ai suoi cittadini non solo che debbono ricordare, ma perché e come. E questo non è il caso della legge spagnola, inviata ora al Senato (che non dovrebbe apporvi modifiche), per poi essere sottoposta al voto definitivo dei deputati, tra qualche giorno. L’opposizione popolare, che non l’ha votata (salvo alcuni passi), ha usato il tema della memoria come una clava per colpire il governo socialista, reo a suo giudizio di aver tradito la concordia, il consenso e la riconciliazione degli anni della transizione, di aver voluto riaprire antiche ferite. Ma il vero responsabile della rottura di quel clima si chiama Aznar, che lo infranse quando nel 2003 schierò la Spagna a fianco di Bush nella guerra contro l’Iraq, senza un voto del parlamento e contro la volontà di oltre il novanta per cento degli spagnoli. Da allora il Partido popular si è incamponito nel sostenere l’esistenza di un legame tra terroristi islamisti ed Eta negli attentati dell’11 marzo 2004, nesso definitivamente negato dalla sentenza pronunciata proprio ieri contro i colpevoli (altri sono morti suicidi) degli attentati di Atocha. Pur avendo votato il 20 novembre 2002 (con Aznar al governo) una mozione che condannava la sollevazione militare e la dittatura, il Pp ha nelle sue fila non solo vecchi arnesi del passato regime, come l’inossidabile Fraga Iribarne, ma anche politici in servizio permanente effettivo come Jaime Mayor Oreja, già ministro degli interni, poi candidato alla presidenza della Comunità autonoma dei Paesi Baschi, che non più tardi del 15 ottobre scorso ha affermato in una intervista di non essere disposto a condannare il franchismo dal momento che «molte famiglie lo vissero con normalità e naturalezza».
La legge è stata attaccata anche da posizioni di opposto segno politico. Non l’ha votata Esquerra Republicana de Catalunya, che l’ha giudicata troppo blanda. La sezione spagnola di Amnesty International l’ha polemicamente paragonata all’assolutoria Ley de punto final del presidente argentino Raúl Alfonsín (1986), salvo considerare migliorata l’ultima stesura. Altri accostamenti sono stati fatti con le dittature sud americane. Tutto si può comparare se serve a capire meglio, ma in questo caso comparazione e confusione sono state assai più che una rima.
Per varie ragioni il caso spagnolo ha poco a che vedere con altri, tirati impropriamente in ballo. In primo luogo, il periodo al quale si riferisce la legge comprende i tre anni della guerra civile (1936-39) e i trentotto di franchismo (’39-77), ai quali sono seguiti trent’anni di democrazia: uno spesso diaframma da quel passato. Va poi notato che alla costruzione della democrazia, nella transizione, diedero il loro apporto uomini che avevano combattuto con Franco durante la guerra e che erano stati franchisti fino a quando non avevano maturato posizioni democratiche, uomini il cui ruolo decisivo non può essere misconosciuto. E anche proprio per l’apporto di tale componente, oltre che per il timore di un altro intervento militare, la transizione avvenne mettendo da parte le divisioni e controversie del passato per guardare avanti. Se «patto dell’oblio» vi fu, esso ebbe circoscritte caratteristiche e nobili motivazioni, ma relative entrambe a quel preciso contesto. Da allora in avanti tutti i governi che si sono succeduti (compresi quelli a guida popolare) hanno cercato di recuperare la lacunosa modalità della costruzione della democrazia varando norme e leggi tese a riequilibrare le ingiustizie che gli sconfitti del 1939 avevano subito nei tre anni precedenti e nei decenni successivi: l’elenco dei provvedimenti in tal senso occuperebbe varie colonne e va dalla legge di amnistia del 15 ottobre 1977 alla mozione di condanna della sollevazione militare votata, anche dal Pp, nel 2002.
Non può essere infine dimenticata la scoperta, nel 2000, dei resti di varie vittime della repressione franchista in alcune fosse comuni e il movimento civico che ne è nato con l’Associazione per il recupero della memoria storica, un movimento che con varie iniziative ha esercito pressioni sul governo socialista, il quale ne ha recepito le istanze come provenienti da importanti settori della società civile. Scopo di queste istanze non è la rivincita sul ’39, quanto la volontà di affermare e riconoscere valori e principi, onorare caduti e riparare ingiustizie, come non era stato possibile fare nella transizione. Solo inserita nel suo contesto, si intende il motivo per cui la legge, se pure segna un momento di svolta, rappresenta contemporaneamente il culmine di un processo da tempo avviato e il compimento della transizione alla democrazia.
Certo, la legge è il frutto di troppi compromessi per soddisfare tutti. Ribadisce le condanne del franchismo del 2002 e 2006; onora tutte le vittime per motivi ideologici, politici e per le credenze religiose della guerra civile, dell’esilio, dei campi di concentramento, della lotta armata contro Franco e della repressione franchista fin dopo la morte del dittatore (prevedendo anzi un indennizzo per i familiari di chi perse la vita per difendere la democrazia tra il 1° gennaio 1968 al 6 ottobre 1977); dichiara illegali tutti i tribunali istituiti vulnerando le più elementari garanzie del diritto a un giusto processo (quindi anche i tribunali popolari che agirono nella cosiddetta zona rossa) e le sentenze che in spregio di tali diritti vennero emesse, anche durante la dittatura; introduce misure atte a facilitare l’individuazione di fosse comuni e il riconoscimento delle spoglie; stabilisce le modalità attraverso le quali procedere alla rimozione delle vestigia della dittatura; vieta che il Valle de los Caídos continui a essere il luogo della memoria per eccellenza dei nostalgici e istituisce a Salamanca un Centro di Documentazione sulla Memoria Storica. Molto, quindi, e tutto nella giusta direzione.
Non pare, invece, che il Psoe abbia fatto tutto il possibile per coinvolgere il Pp nell’elaborazione e votazione della legge. Da parte sua, il Pp ne ha intralciato in ogni modo l’approvazione, ribadendo così la propria intenzione di non perdere la rappresentanza dei settori più nostalgici. Non ha fatto bene il primo e ha fatto malissimo il secondo. Il Psoe ne potrà trarre un certo vantaggio sul piano elettorale, ma non ha interesse a che il Pp si radicalizzi su posizioni di destra. Il Pp ha confermato di aver perso da tempo la capacità di distinguere tra ciò che conviene al partito e ciò che va nell’interesse del paese e dopo aver camminato per anni verso il centro, si ritrova da esso alla stessa distanza da cui era partito.
Accuse di "cristofobia". Anche il Vaticano attacca
I socialisti propongono: estendere la rimozione in tutta la Spagna
Veto del crocifisso a Valladolid
La guerra dei vescovi contro Zapatero
di ALESSANDRO OPPES *
MADRID - "A volte è necessario saper dimenticare". Parla con tono pacato, il cardinale Antonio Maria Rouco Varela, ma le sue parole sono taglienti come lame. Dimenticare la Guerra Civile, dimenticare la dittatura, è il nuovo obiettivo proclamato dal presidente della Conferenza episcopale, per evitare di "dar adito a scontri che potrebbero finire per essere violenti".
L’accusa non è neanche tanto velata, e nel mirino, ancora una volta, c’è il governo socialista di José Luis Rodríguez Zapatero. Colpevole, per il cardinale ultra-conservatore di Madrid, di alimentare lo scontro sociale, di ostacolare la "riconciliazione" nazionale per il fatto di aver promosso una legge, quella sulla "Memoria storica", che ha l’obiettivo di restituire dignità alle vittime del franchismo.
Rouco si presenta con questa nuova sfida davanti all’assemblea plenaria dei vescovi, ancora scossi per la decisione presa giorni fa da un giudice di Valladolid di far rimuovere tutti i crocifissi dalle pareti di una scuola pubblica. "La nostra società è malata", aveva tuonato poche ore prima il cardinale primate di Spagna, Antonio Carizares, parlando di "cristofobia". E il malumore espresso a gran voce da alcuni prelati rischia già di trasformarsi in un coro di protesta dell’intera Chiesa cattolica spagnola.
Anche dal Vaticano l’Osservatore Romano ha commentato la sentenza di Valladolid: "Che si consideri un crocifisso offensivo in occidente è sintomo di amnesia e necrosi culturale" scrive nel suo editoriale il quotidiano del Vaticano. "E in Spagna questo impulso autodistruttivo assume espressioni violente".
Nessuna reazione a caldo dal palazzo della Moncloa, sede del governo, ma a parlare senza peli sulla lingua - esprimendo quella che è con ogni probabilità l’opinione dello stesso premier Zapatero - è il numero due del Psoe, José Blanco: "Mi sorprende che chi sta promuovendo canonizzazioni in relazione a persone di quell’epoca, ora faccia appello all’oblio e al perdono. Non si può cancellare la memoria del nostro paese e alcuni soffrono di amnesia in funzione del fatto che gli convenga o meno". I socialisti si schierano poi anche a favore della rimozione dei crocifissi dalle scuole pubbliche perché, dice Blanco, ricordando di essere "credente", "bisogna rispettare il credo religioso di tutti".
Lo scontro si profila durissimo, e i vescovi sembrano decisi ad affrontare a muso duro la svolta "laicista" del governo Zapatero. In linea con le posizioni espresse in questi anni in Parlamento dal Partito popolare, contrario a "riaprire vecchie ferite", il cardinale Rouco Varela vede una soluzione nel ritorno allo "spirito di riconciliazione, sacrificato e generoso" degli anni della transizione alla democrazia. Anni in cui, in base a un patto non scritto, la società spagnola scelse di evitare di fare i conti con il passato per favorire il consolidamento delle istituzioni democratiche.
Ma, arrivato al potere nel 2004, Zapatero aveva giudicato maturi i tempi per ridare spazio alla memoria, promuovendo un risarcimento morale delle vittime e favorendo la ricerca dei resti delle migliaia di desaparecidos. Ma il presidente della Conferenza episcopale la pensa in maniera completamente opposta. "Dimenticare" è la nuova parola d’ordine, per ottenere "un’autentica e sana purificazione della memoria" che liberi i giovani "dagli ostacoli del passato, senza gravarli dei vecchi litigi e rancori".
Reazioni anche Italia alla sentenza del giudice di Valladolid. "La laicità dello Stato è un principio troppo serio per essere ridicolizzato, come è avvenuto in Spagna", ha detto il leader dell’Udc Pierferdinando Casini. Per Roberto Calderoli, ministro per la Semplificazione Normativa, "il crocifisso non è solo un simbolo religioso, ma è il simbolo della nostra civiltà".
* la Repubblica, 25 novembre 2008
Un Santo ... torturatore
di don Franco Barbero *
A proposito della beatificazione dei 498 franchisti di domenica 28 ottobre 2007*
Per mettere qualche dubbio sull’intera operazione di questa beatificazione sommaria, ospito nel mio blog questa documentazione che mi arriva da don Sandro Artioli, confratello di altissima cultura e spiritualità. **
Uno dei martiri della Guerra Civile che il Papa convertirà in santo è stato un torturatore: è uno dei 498 che saranno beatificati da Benedetto XVI il 28 ottobre nell’anniversario della marcia su Roma.
Gabino Olaso torturò un sacerdote filippino. Gabino Olaso Zabala è stato padre dell’ordine degli agostini. Come gli altri 497 futuri santi della chiesa cattolica, fu assassinato nella guerra civile per mano di un repubblicano. Però allo stesso tempo egli martirizzò un altro sacerdote.
La sua vittima fu Mariano Dacanay, un sacerdote filippino accusato di simpatizzare con un movimento che impediva l’ingresso degli spagnoli nella colonia asiatica.
Proprio Dacanay raccontò del suo martirio attraverso i suoi scritti. “La vittima è costretta in ginocchio. Si pone un sottile bastone di bambù sotto le ginocchia e polsi legati a esso con una corda. In questa posizione, la vittima è solo una palla e se si tenta di spostare, rotola sul pavimento. In questa posizione umiliante e dolorosa, le guardie mi colpirono mentre mi insultavano ogni volta che dicevo cose che non volevano sentire lasciando che il mio corpo restasse infiammato e martoriato. "
Dacanay ha anche descritto il ruolo degli agostini durante questa tortura, compreso Olaso. “Erano presenti durante il terribile spettacolo il torturatore, il priore e superiori del seminario, invece di provare compassione per la mia sofferenza che mi veniva dalla crudele tortura, essi contemplavano il mio martirio con segni visibili di piacere. Hanno chiesto alle guardie di trattarmi in modo più crudele, come fece il padre Gabino Olaso, per esempio. E quando i colpi si sono ridotti a causa di shock e affaticamento, perchè rotolavo sul pavimento, loro contribuirono alla mia sofferenza dandomi pedate come si danno calci ad un pallone. Quando sono caduto, mi hanno sbattuto la testa contro uno spigolo, ferendomi. In un’altra occasione rotolavo fino al padre Gabino, che stava tranquillamente contemplando la scena, e lui mi ha dato una grande pedata sulla testa che mi ha lasciato completamente privo di sensi."
La chiesa non si è pronunciata. Nonostante questa testimonianza, infatti, la biografia di Olaso Zabala che circola tra le pagine del materiale cattolico non fa nessun commento su questo.
Secondo il rapporto, “è stato ordinato sacerdote nel 1893. L’anno successivo è stato inviato nelle Filippine come missionario e professore presso il Seminario di Vigam Conciliare. Egli è tornato in Spagna nel 1900."
Scoprire che un martire tiene un morto dentro l’armadio non mette quindi in discussione il valore del suo sacrificio.
don Franco Barbero
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http://donfrancobarbero.blogspot.com/2007/11/un-santo-torturatore.html
Beati a San Pietro
Nel segno del pentimento e del perdono il Vaticano tenta di «riconciliare»
di Mimmo de Cillis (il manifesto, 28.10.2007)
Parola d’ordine: riconciliazione. La chiesa spagnola non vuole alzare i toni e infiammare il dibattito politico né inasprire i rapporti col governo Zapatero in un evento che, si afferma, ha un significato puramente religioso. Indicazioni in tal senso sono giunte anche dalla Santa sede: il Vaticano non vuole che il caso dei 498 beati della guerra civile spagnola possa prestarsi a strumentalizzazioni di sorta o sia vissuto con un senso di rivalsa. Significherebbe, infatti, immettersi in un vicolo cieco che acuisce il conflitto con il governo socialista di Madrid. Dunque la linea prescelta è un’altra: bisogna dare una grande prova di fede e di testimonianza, occorre una grande affluenza di fedeli, una grande manifestazione per dire che la comunità cattolica spagnola è viva e forte, e costituisce una parte importante della società. Dai martiri resi beati, si dirà nella celebrazione odierna, la chiesa iberica vuole imparare l’umiltà, la mansuetudine, la sottomissione, l’atteggiamento di perdono verso i persecutori.
Ma il dibattito a Madrid è più vivo che mai: la tensione fra stato e chiesa resta alta anche per la quasi coincidente approvazione parlamentare della «Legge sulla Memoria storica» che condanna il franchismo e viene accusata di riaprire «vecchie ferite». A rinfocolare le polemiche e a gelare ulteriormente le relazioni catto-socialiste sono state le voci di una possibile revisione, in senso laicista, degli accordi che regolano i rapporti fra chiesa e stato. E, nonostante la smentita ufficiale del governo, il polverone ha fatto infuriare più di qualche alto prelato. In questo clima rovente è intervenuto l’ambasciatore spagnolo presso la Santa Sede, Francisco Vazquez Vazquez, uomo di provata fede socialista e cattolica, per parlare di «riconciliazione nazionale». «Bisogna chiedere perdono alla Chiesa per le persecuzioni che ha subito durante gli anni della guerra civile spagnola, ma anche la chiesa deve chiedere perdono per gli errori che ha commesso in quel periodo e soprattutto negli anni successivi alla fine del conflitto, cioè durante il franchismo», ha scritto l’ambasciatore due giorni fa sul quotidiano El Mundo. Ma saprà l’orgoglio cattolico iberico perseguire questa strada? Saprà una comunità dove germogliano semi di integralismo (i due movimenti ecclesiali più in vista sono i Neocatecumenali e l’Opus Dei) imboccare la via - tutta wojtyliana - del pentimento e della richiesta di perdono? Se la chiesa oggi celebra i suoi martiri, sarà in grado anche di prendere le distanze da un regime come quello franchista?
Una indagine mancata sulle ragioni dell’odio
Dagli anni ’30 ecclesiastici e franchisti stilarono le liste delle vittime da beatificare. Un’operazione che cementò l’alleanza tra altare e dittatura Le atroci violenze anticlericali del 1936 vanno analizzate sotto una luce nuova, che rifletta il ruolo del clero spagnolo e i silenzi repubblicani. Ma le beatificazioni di oggi non avvicinano alla verità storica
di Alfonso Botti (il manifesto, 28.10.2007)
Le 498 vittime della violenza anticlericale durante la guerra civile di Spagna che oggi papa Ratzinger beatificherà solennemente a San Pietro si aggiungono ai 479 beati e agli 11 santi spagnoli proclamati per analoghi motivi dal suo predecessore. Alcuni hanno voluto vedere in queste beatificazioni una risposta alla legge impropriamente chiamata «della memoria storica» che le Cortes voteranno mercoledì prossimo. Altri hanno sottolineato la coincidenza della data prescelta con il venticinquesimo anniversario della vittoria elettorale di Felipe González nel 1982. Ma avendo le proprie feste, la Chiesa non rovina quelle altrui, né ossequia i ritmi della politica minuta. Le beatificazioni odierne vanno dunque messe in relazione con fatti più lontani nel tempo e con una resistenza tenace che giunge, questa sì, fino al presente.
Alleanze strategiche
Già dalla guerra civile ecclesiastici e franchisti, con perfetta unità d’intenti, cominciarono a raccogliere le prove del martirio e a stilare elenchi delle vittime da portare sugli altari: un’operazione soprattutto politico-propagandistica che diede i suoi frutti nei trenta anni successivi, cementando una alleanza strategica tra altare e dittatura, che solo il Concilio Vaticano II avrebbe incrinato. Inoltre, come sostiene anche lo studioso cui si devono i contributi migliori sulla condotta ecclesiastica durante la guerra civile, il monaco benedettino del monastero di Montserrat, Hilari Raguer, tenace è stata la resistenza della Chiesa nell’evitare l’indagine delle ragioni che motivarono l’odio verso il clero spagnolo negli anni ’30. Alla luce del tempo trascorso, degli studi pubblicati e della nuova documentazione proveniente dall’Archivio Segreto Vaticano, il barbaro assassinio di quasi settemila ecclesiastici, la distruzione di decine di chiese e conventi, la furia iconoclasta che si abbatté sul patrimonio artistico possono cominciare a essere interpretate sotto una luce nuova, che al tempo stesso fa emergere le responsabilità delle autorità repubblicane nella mancata condanna di quelle brutalità.
La violenza anticlericale si manifestò in modo generalmente spontaneo e diffuso dopo la sollevazione militare del 18 luglio 1936 e come risposta ad essa, in alcune città e regioni (Barcellona e la Catalogna, l’Aragona, il Levante valenziano e Madrid), risparmiandone quasi del tutto altre (Paesi baschi), e si sviluppò soprattutto nell’estate del ’36, diminuendo considerevolmente nei mesi successivi. Alcuni storici in abito talare hanno insistito in particolare su tre aspetti: la relazione causa-effetto tra misure secolarizzatrici della legislazione repubblicana (quasi tutte del periodo 1931-32) e successive manifestazioni anticlericali; la continuità tra queste manifestazioni negli anni della Repubblica e le violenze successive il 18 luglio; e infine il carattere non spontaneo di queste violenze, ritenute conseguenza di un progetto elaborato da anarchici e partiti di sinistra e, quindi, di ordini provenienti dall’alto. A questo proposito, però, non esiste nessuna prova, a parte alcuni articoli e discorsi di esponenti anarchici, trotskisti o socialisti: troppo poco per alimentare la tesi dell’esistenza di un piano per estirpare la presenza del cristianesimo dalla Spagna.
D’altro canto, studiosi di diverso orientamento hanno fatto riferimento all’enorme potere della Chiesa, al suo tradizionale ruolo e significato simbolico, e al fatto che chiese e monasteri rappresentavano bersagli appetibili perché indifesi e facili da colpire. Occorre al tempo stesso riconoscere che nell’immaginario collettivo del mondo popolare spagnolo degli anni ’30 la Chiesa era identificata con il potere, la ricchezza, le classi benestanti, le destre e la monarchia, tanto che molti sforzi era costato alla Santa Sede e al nunzio Tedeschini convincere nel 1931 vescovi e fedeli ad accettare la Repubblica. E senza riuscirci del tutto.
In un rapporto del 9 luglio 1936, redatto da un ecclesiastico spagnolo, si legge che era «norma generale avere una povera opinione del clero, giudicato di cattivi costumi, piuttosto incolto e privo di qualità e del necessario zelo nello svolgere il proprio elevato ministero». Non solo: il clero spagnolo apparteneva a una tradizione di ardore guerriero (dai frati al comando delle bande che si erano battute contro Napoleone fino ai sacerdoti che combatterono con i carlisti nelle due guerre civili dell’Ottocento) e faceva capo a una Chiesa pigra, che aveva perso ogni relazione con il mondo del lavoro, specie operaio (anche in questo caso sono fonti ecclesiastiche spagnole ad autorizzare il giudizio), con vescovi per lo più nominati durante la dittatura di Primo de Rivera (1923-30) tramite il privilegio della presentazione e quindi prevalentemente integralisti, percepiti come ostili al progresso.
Una «orribile guerra fratricida»
La Chiesa tuttavia non partecipò ai preparativi della sollevazione militare. Vi furono coinvolti, solo in Navarra, alcuni preti, la cui attività fu probabilmente percepita nel campo repubblicano come condivisa da gran parte, se non da tutto, il clero. Va dunque riconosciuto che se alcuni ecclesiastici di seconda fila auspicarono una ribellione e se la Chiesa era nella sua immensa maggioranza situata a destra, essa non fu però coinvolta nell’Alzamiento. Anzi, l’incaricato d’affari della Santa Sede a Madrid, monsignor Silvio Sericano, il 21 giugno espresse il «veemente desiderio che la normalità (fosse) ristabilita al più presto, affinché non s’interrompesse il progressivo sviluppo civilizzatore» della Nazione spagnola e ancora l’8 ottobre del 1936 in una lettera a Pacelli, lo stesso Sericano si riferiva al conflitto spagnolo non come a una crociata, ma come a una «orribile guerra fratricida». La scelta di militare a fianco dei franchisti, con l’invenzione e la benedizione della crociata, venne dunque dopo il 18 luglio, a causa delle violenze anticlericali.
Né i governanti repubblicani furono esenti da gravi responsabilità. A parte la politica troppo punitiva nei riguardi della Chiesa varata nel ’31-33, a parte la sottovalutazione della capacità di mobilitazione del mondo cattolico, a parte l’inutile provocazione dal punto di vista politico della famosa frase pronunciata da Azaña nell’ottobre del ’31 sulla Spagna che aveva cessato di essere cattolica, altre furono le responsabilità della classe politica repubblicana. La prima fu quella di non approfittare della favorevole congiuntura, dovuta alla presenza di ecclesiastici disponibili al dialogo (il cardinale catalano Vidal i Barraquer, il capo del cattolicesimo politico del periodo, �?ngel Herrera, il nunzio Tedeschini), par giungere a un accordo con la Chiesa. La Repubblica ebbe l’opportunità di dividere il mondo ecclesiastico e affondare definitivamente le componenti integraliste, ma non seppe (o non volle) distinguere tra un cattolicesimo e un altro, favorendo in questo modo il ricompattamento dell’avversario.
La seconda responsabilità fu di non condannare pubblicamente le violenze anticlericali prima e soprattutto dopo il 18 luglio. Lo chiese Sericano il 21 luglio 1936 al ministro degli esteri spagnolo Barcia. Lo chiese la Segreteria di Stato vaticana con note di protesta formali il 31 luglio e il 21 agosto ’36 all’ambasciatore spagnolo presso la Santa Sede, Luis de Zulueta, il quale informò il 7 agosto il proprio governo che l’atteggiamento del Vaticano, «riservato e prudente all’inizio della ribellione militare», era ora «in termini gravi per gli interessi della Repubblica», a causa dei «racconti di numerosi ecclesiastici che giungevano a Roma fuggendo dalla Catalogna» (grazie all’aiuto delle autorità repubblicane, occorre aggiungere). Lo chiese l’«Osservatore romano» il 10-11 agosto, alludendo alle precedenti note di protesta che in questo modo vennero a conoscenza dell’opinione pubblica internazionale. Lo tornò a chiedere Sericano nell’incontro che ebbe con il ministro �?lvarez del Vayo il 6 settembre 1936. Lo chiese don Luigi Sturzo, dal suo esilio londinese in una lettera a �?ngel Ossorio (all’epoca delegato della Repubblica presso la Società delle Nazioni di Ginevra) ancora il 22 settembre 1936. Il Governo della Repubblica non rispose. La nomina a ministro del cattolico nazionalista basco Manuel de Irujo fu tardiva e il suo proposito di ristabilire il culto pubblico incontrò resistenze tra i suoi colleghi oltre che in alcuni settori ecclesiastici, a quel punto timorosi che se ne sarebbe avvantaggiata propagandisticamente la Repubblica. Alla domanda sulle ragioni di tale condotta si potrebbe rispondere che influì molto l’idea allora diffusa nel ceto politico repubblicano che, la religione in quanto frutto della superstizione era in definitiva qualcosa di residuale che il processo storico avrebbe comunque cancellato per sempre.
Icone incendiarie
I silenzi e i ritardi pregiudicarono la Repubblica e il Fronte popolare per quanto concerne l’esito della guerra. Il conflitto del ’36-39 fu anche uno scontro di interpretazioni e di simboli. E silenzi e ritardi della Repubblica permisero che trionfasse l’interpretazione ecclesiastica della stessa come crociata; permisero che sulla stampa internazionale si diffondessero come icone della guerra le immagini dei miliziani che compivano atti sacrileghi e del fumo che si sprigionava dalle chiese date alle fiamme.
Si sarebbe dovuto non perdere l’occasione per una riflessione serena su quegli avvenimenti. Non solo per reiterare la condanna di tutte le efferate violenze perpetrate durante la guerra civile, ma anche, da un lato, per riconoscere i limiti della politica delle forze repubblicane. Dall’altro per capire che tipo di Chiesa fu quella colpita dalle violenze del ’36-39 e quanto di quella Chiesa è sopravissuta nella Spagna di oggi, dopo le discontinuità degli anni del Concilio, dell’assemblea ecclesiale del settembre del 1971 (con la richiesta di perdono per la condotta del clero durante il conflitto civile), degli anni della Transizione e del cardinale Tarancón. E le beatificazioni di oggi non ci avvicinano alla verità storica di quegli anni.
Il concordato è anticostituzionale.
Intervista a Sergio Lariccia. *
Il governo socialista di Josè Luis Zapatero, dopo aver eliminato molti privilegi fiscali alla Chiesa e i finanziamenti alle scuole cattoliche, studia una revisione del concordato del 1979, nell’ipotesi che si tratti di un accordo incostituzionale. E in Italia? «Sarebbe l’ora di discutere anche da noi l’incostituzionalità del concordato». E’ l’opinione di uno dei massimi esperti di diritto ecclesiastico, il professor Sergio Lariccia.
La costituzione italiana, a differenza della francese, non cita espressamente la laicità come valore supremo.
«E’ vero. Ciò non toglie che la laicità dello Stato sia un requisito fondamentale della democrazia, come ha stabilito una sentenza della Consulta nel 1989. Un ordinamento o è laico o non è democratico. Io non penso sia attuabile in Italia un regime separatista come in Francia, ma pretendo che si rispetti la libertà religiosa, pilastro della democrazia».
In Italia non c’è libertà religiosa?
«No. Non è garantito il principio di laicità delle istituzioni. Non è garantita l’eguale libertà delle confessioni davanti alla legge perché la cattolica è più eguale delle altre. Uno stato di privilegio che viola non soltanto la nostra Costituzione ma perfino il Concilio Vaticano II e la costituzione conciliare Gaudium et Spes. Con la revisione dell’84 che ha accolto in gran parte il Concordato fascista del ‘29 non sono garantite le libertà di religione e verso la religione di moltissimi italiani, credenti e non...».
Tutto deriva dal Concordato?
«Noi continuamo a parlare di rapporto fra stato e chiesa e non "chiese", ora di religione e non "di religioni". Siamo l’ultimo stato confessionale fra le democrazie». (c.m.)
* la Repubblica, 24/10/07.
Alla cerimonia in San Pietro ha partecipato anche una delegazione del governo di Madrid
Il cardinale Saraiva ammonisce: "Non accontentiamoci di un cristianesimo vissuto timidamente"
Beatificati 498 martiri spagnoli
"Difendiamo la nostra identità"
I nuovi beati sono stati uccisi tra il 1934 e il ’37. Il Papa: "Il loro numero dimostra
che la suprema testimonianza del sangue non è un’eccezione riservata soltanto ad alcuni" *
CITTA’ DEL VATICANO - Circa 40.000 persone hanno seguito in piazza San Pietro la cerimonia per la beatificazione di 498 martiri spagnoli uccisi negli anni 1934, ’36 e ’37. A presiedere il rito il cardinale Josè Saraiva Martins, delegato dal Papa, che ha celebrato in spagnolo. In Piazza San Pietro anche una delegazione del governo guidata dal ministro degli Esteri Miguel Angel Moratinos accompagnato dall’ambasciatore di Madrid presso la Santa Sede, Francisco Vazquez e dal direttore generale degli Affari religiosi, Mercedes Rico.
Ancora, tra i presenti i rappresentati di alcuni governi autonomi della Spagna in base alla provenienza dei martiri, tra gli altri quello di Catalogna: 146 dei martiri infatti sono stati uccisi nell’arcidiocesi di Barcellona.
I martiri caduti durante la Guerra civile spagnola dal 1934 al 1937, ha detto il cardinale Saraiva, si sono "comportati da buoni cristiani e hanno offerto la loro vita gridando: viva Cristo re". Tra i martiri elevati oggi alla gloria degli altari ci sono persone che vanno dai 16 ai 78 anni; si tratta di preti, monache e religiose ma anche di laici. "Tutti - ha ricordato il Prefetto della Congregazione per le cause dei santi - sono chiamati alla santità, tutti senza eccezioni come ha dichiarato il Concilio Vaticano II".
Ma il cardinale ha anche fatto qualche riferimento all’attualità spiegando che "non possiamo accontentarci di un cristianesimo vissuto timidamente". Nel discorso, il cardinale ha citato più volte l’insegnamento di Benedetto XVI e in particolare ha ricordato che "essere cristiani coerenti impone di non inibirsi di fronte al dovere di dare il proprio contributo mal bene comune e di modellare la società sempre secondo giustizia, difendendo, in un dialogo forgiato dalla carità, le nostre convinzioni sulla dignità della persona, sulla vita, dal concepimento fino alla morte naturale, sulla famiglia fondata sull’unione matrimoniale unice e indissolubile tra un uomo e una donna e sul dovere primario dei genitori all’educazione dei figli".
I nuovi beati spagnoli sono stati ricordati successivamente anche dal Papa durante la celebrazione dell’Angelus: "I 498 martiri uccisi in Spagna negli anni ’30 del secolo scorso sono uomini e donne diversi per età vocazione e condizione sociale, che hanno pagato con la vita la loro fedeltà a Cristo e alla sua Chiesa", ha detto Benedetto XVI.
"La contemporanea iscrizione nell’albo dei beati di un così gran numero di martiri - ha affermato ancora il Pontefice - dimostra che la suprema testimonianza del sangue non è un’eccezione riservata soltanto ad alcuni individui, ma un’eventualità realistica per l’intero Popolo cristiano".
* la Repubblica, 28 ottobre 2007.
BEATIFICAZIONE DI 498 MARTIRI SPAGNOLI, AGGRESSIONE A ROMA *
CITTA’ DEL VATICANO - Non ci sono solo i martiri che spargono il proprio sangue, ma anche coloro che nella "vita ordinaria" testimoniano "silenziosamente" ed "eroicamente" il Vangelo.
Lo ha detto il Papa, rimarcando che "questo martirio della vita ordinaria è una testimonianza quanto mai importante nelle società secolarizzate del nostro tempo". Benedetto XVI, prima dell’Angelus recitato davanti a circa 40.mila persone che avevano partecipato alla beatificazione di 498 martiri spagnoli, ha parlato di un "’martirio’ incruento, che non è meno significativo, come quello - ha detto - di Celina Chludzinska Borzzka, sposa, madre di famiglia, vedova e religiosa, beatificata ieri a Roma".
"E’ la testimonianza eroica e silenziosa - ha rimarcato Benedetto XVI - di tanti cristiani che vivono il Vangelo senza compromessi, compiendo il loro dovere e dedicandosi generosamente al servizio dei poveri" e mostrando la "pacifica battaglia dell’amore che ogni cristiano, come Paolo, deve instancabilmente combattere: la corsa per diffondere il Vangelo che ci impegna fino alla morte".
BEATIFICAZIONE DI 498 MARTIRI SPAGNOLI - Uno stuolo di celebranti in abiti liturgici purpurei, presieduti dal cardinale José Saraiva Martins ha preso parte in piazza San Pietro alla cerimonia per la beatificazione di 498 martiri spagnoli uccisi negli anni 1934, ’36 e ’37. Inni sacri in spagnolo si sono levati dalla piazza mentre i celebranti prendevano posto. Il card. Saraiva, delegato dal Papa a questo rito, celebra in spagnolo. In piazza sono presenti circa 40mila persone.
CARD.SARAIVA, MARTIRI NON SONO PER UN SOLO PAESE - "I martiri non sono patrimonio esclusivo di una diocesi di una nazione" ma al contrario "appartengono al mondo intero, alla Chiesa universale". Lo ha sottolineato il cardinale José Saraiva Martins nell’omelia per la beatificazione dei 498 martiri" di Spagna e non spagnoli", sia perché la Spagna è il luogo del loro martirio ma non per tutti della nascita, sia appunto per l’universalità del loro messaggio. "La santità - ha rimarcato a questo proposito il porporato - non consiste nella riaffermazione di valori comuni a tutti, ma nella personale adesione a Cristo salvatore del cosmo e della storia" e "il martirio è il paradigma di questa verità".
Le parole del cardinale aiuteranno il tentativo di Spagna e Chiesa spagnola di attenuare le polemiche reciproche su questa beatificazione, tentativo sostenuto dal fatto che il governo spagnolo ha inviato alla cerimonia il ministro degli Esteri Angel Moratinos, e che i vescovi spagnoli vanno ripetendo da giorni ripetendo che la maxi-cerimonia di beatificazione di 498 martiri della Guerra Civile "non è contro nessuno, e tanto meno contro Zapatero". Quella di oggi è la più numerosa cerimonia di beatificazione nella storia della Chiesa.
E il card. Saraiva lo ha rilevato parlando di "rilievo storico per il numero davvero ingente dei beati". I beati provengono da 23 diverse cause, 11 delle quali avviate prima del 1960, la più vecchia nel 1948. Tra i 498 nuovi beati, ci sono due vescovi (di Cuenca e Ciudad Real), 24 sacerdoti diocesani, 462 religiosi (frati e suore), un diacono, un sottodiacono, un seminarista e sette laici. Cinque sono i nati fuori dalla Spagna: due in Francia, due in Messico e uno a Cuba.
Tra i futuri beati, 145 al momento della morte avevano tra i 20 e i 30 anni, 107 tra i 40 e i 50 anni, 97 fra i 30 e i 40, 72 tra i 50 e i 60 anni. Ce ne sono anche 18 che avevano tra i 16 e i 19 anni, 41 tra i 60 e i 70 anni, 15 tra i 70 e i 78 anni (dei restanti tre non si conosce l’esatta data di nascita). Nel numeroso gruppo, ci sono due martiri "della persecuzione religiosa che ebbe luogo nell’ottobre del 1934", 489 vennero uccisi nel 1936, sette nel 1937.
PROTESTA CENTRI SOCIALI FINISCE IN RISSA CON OPUS DEI - Una protesta di un gruppo di aderenti ai centri sociali davanti a una chiesa frequentata da fedeli dell’Opus Dei a Roma e’ finita in rissa all’uscita della messa.
Sei persone sono state fermate e identificate dai carabinieri, mentre un furgone e materiale fotografico e video sono stati sequestrati dalla polizia. Alle 11,45 aderenti al collettivo ’Militant’’ e del collettivo ’’Facciamo breccia’’, appartenenti alla rete dei centri sociali romani, hanno esposto uno striscione davanti alla chiesa Sant’Eugenio in piazza delle Belle Arti con scritto: ’’Chi ha ucciso, torturato e sfruttato non puo’ essere beato’’. Insieme allo striscione e’ stata esposta una riproduzione su un pannello di due metri per cinque della Guernica di Picasso. La protesta nasce perche’ stamani il Papa ha beatificato 498 martiri uccisi in Spagna negli anni Trenta del secolo scorso. Quando i fedeli cattolici sono usciti dalla chiesa, al termine della funzione religiosa, la protesta ha provocato la loro ira. Una trentina di fedeli ha urlato e strappato lo striscione e fatto a pezzi la riproduzione del celebre dipinto.
Secondo quanto riferito da aderenti ai collettivi, i cattolici avrebbero ’’aggredito anche fisicamente i giovani e inneggiato a Franco’’. A quel punto la rissa e’ stata sedata dall’intervento delle forze dell’ordine. I carabinieri, precisamente l’Ottavo Battaglione Lazio che stava andando a prendere servizio allo Stadio Olimpico, ha fermato e identificato le sei persone mentre la polizia ha bloccato il furgone dei collettivi in via Bruno Buozzi: all’interno del mezzo vi era una scala, una telecamera e una macchina fotografica con cui gli aderenti ai collettivi avevano ripreso l’intera rissa.
* Ansa» 2007-10-28 14:05