Ansa» 2008-08-14 21:16
OSSERVATORE ROMANO, TEX WILLER IN PRIMA
CITTA’ DEL VATICANO - Con un nuovo colpo a sorpresa del suo direttore Gian Maria Vian, l’Osservatore Romano é oggi tornato a stupire i suoi lettori, dedicando due pagine ai sessant’anni di Tex Willer, l’eroe dei fumetti inventato da Gian Luigi Bonelli.
In prima, il giornale del Papa pubblica addirittura la riproduzione della copertina dell’albo speciale di settembre che raffigura il famoso cow boy abbracciato ad una giovane donna indiana. E sottolinea che Tex "conserva forte attualità nella sua veste di perenne difensore della giustizia, tra uomini diversi per razza, cultura e costumi".
In un ampio articolo dedicato alla figura del ranger texano con la camicia gialla, protagonista ormai di oltre 600 avventure, il giornalista Roberto Genovesi ricostruisce la nascita del personaggio a fumetti, arrivato nelle edicole dopo la fine della seconda guerra mondiale, quando un popolo italiano "stremato da un conflitto devastante dal punto di vista del sacrificio di vite umane ma anche sul piano morale" accoglie di buon grado "un giustiziere americano dalle idee chiare, capace di distinguere, ’senza se e senza ma’, il buono dal cattivo".
E’ per questo, scrive l’Osservatore, che "Tex si dimostra subito un eroe interclassista. Piace agli operai, agli studenti, agli intellettuali e ai politici". Eppure, osserva il quotidiano della Santa Sede, Tex "non ha un carattere dalle mille sfaccettature, non ha una psicologia complessa e le sue azioni sono spesso dettate da scelte nette". Quel che conta, però, è che Tex è un "esempio di rettitudine morale, di fedeltà coniugale e di amore paterno", oltre che "portatore di comportamenti irreprensibili dettati da valori non negoziabili".
Nelle storie di Tex Willer "il bene è sempre chiaramente distinguibile dal male e non vi sono mai strade alternative a quelle buone e giuste per raggiungere l’obiettivo finale". Per l’Osservatore Romano c’é poi un altro aspetto ’profetico’ di Tex: "Egli è infatti il primo eroe dei fumetti che, in tempi non sospetti, si prodiga con i fatti per sdoganare un’idea nuova e molto più vicina alla realtà dei nativi d’America. Gli indiani, nelle storie a fumetti di Tex, non vengono quasi mai dipinti come macchiette".
Tex, insieme ai suoi amici fidati, tutti esponenti di "culture di minoranza", è dunque un "simbolo vivente della condivisione tra due culture con un’apertura mentale davvero anticipatrice". Tutte buone ragioni per elogiare il cowboy più famoso del fumetto italiano, che evidentemente in Vaticano, tra tonache e ’segrete stanze’, può contare su estimatori fidati e inaspettati, pronti a scommettere su di lui.
Dopo le polemiche con il governo, il direttore della sala stampa della Santa Sede precisa: "Le posizioni del settimanale sono responsabilità esclusiva della sua direzione’’
Il Vaticano: "Famiglia Cristiana non esprime la nostra linea"
Il direttore don Sciortino: "Questa dichiarazione non è una sconfessione"
Il Vaticano: "Famiglia Cristiana non esprime la nostra linea"
CITTA’ VATICANO - Il Vaticano prende le distanze da Famiglia Cristiana e dai suoi scontri con il governo. A farsi portavoce della posizione della Santa Sede è padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa vaticana, secondo cui il settimanale dei Paolini "è una testata importante della realtà cattolica, ma non ha titolo per esprimere né la linea della Santa Sede né quella della Conferenza episcopale italiana". "Le sue posizioni - ha aggiunto Lombardi - sono responsabilità esclusiva della sua direzione’’.
Immediata la risposta del direttore della rivista, don Antonio Sciortino: "Mai ci siamo sognati di rappresentare ufficialmente il Vaticano o la Cei, che hanno loro organi ufficiali di stampa: l’Osservatore Romano e l’Avvenire". Il sacerdote paolino sottolinea, però, che "la dichiarazione di padre Lombardi è formalmente corretta". E’ "scorretto", invece, "se qualcuno vuole interpretare questa dichiarazione come una sconfessione".
Poi spiega: "Famiglia Cristiana, come tutti gli altri organi di stampa cattolici, si ispira al Vangelo ed è in sintonia con la Dottrina Sociale della Chiesa. Noi, sui temi di cui si discute, abbiamo ospitato gli interventi del presidente dei dicasteri vaticani competenti, il cardinale Renato Raffaele Martino".
L’ultimo duro intervento di Famiglia Cristiana contro le scelte dell’esecutivo è di ieri, quando è stato anticipato l’editoriale di Beppe Del Colle in cui si augura che "non sia vero il sospetto" che in Italia sta rinascendo il fascismo "sotto altre forme". Un commento che ha scatenato la polemica.
Ma non è la prima volta, negli ultimi mesi, che il settimanale diretto da Don Antonio Sciortino critica le scelte della maggioranza. Prima ha attaccato la norma sulle impronte ai bambini rom ("una trovata indecente"), poi la "finta emergenza sicurezza". Senza dimenticare la dichiarazione durissima contro Berlusconi quando il premier aveva accusato i pm di essere sovversivi.
* la Repubblica, 14 agosto 2008
Sul tema, nel sito, si cfr.:
«Il mio primo obiettivo è tutelare chi vive nei campi nomadi in condizioni che troppo spesso di umano non hanno nulla. Nel 95 per cento dei casi il degrado è impressionante. Sono favelas al cubo... Non posso stare a guardare. Anzi, sono determinatissimo a cancellare questa offesa: affermare i diritti dei bambini e permettere loro di andare a scuola»...
«Capisco che per molti l’unica linea possibile è il pugno di ferro contro i nomadi... E capisco anche che sarebbe elettoralmente pagante. Ma non è la mia linea, non è la linea del governo». Un’espressione malinconica ’taglia’ il volto di Roberto Maroni che va avanti con un solo obiettivo: spiegare, spazzare via «pregiudizi», allontanare «incomprensioni», raccontare insomma, a un mese dal terremoto, la sua verità.
«La nostra non è un’azione di polizia, di schedatura, è l’esatto contrario... E non mi interessa correre il rischio di pagare un prezzo elettorale. Vede, molti applaudirebbero se il governo entrasse nei campi nomadi e facesse pulizia... Maroni però non è Erode! E non è al Viminale per fare propaganda elettorale. Il mio unico obiettivo è affrontare i problemi nel modo giusto».
L’incontro con il ministro è nel suo ufficio al ministero dell’Interno. C’è la scrivania con le foto dei figli, la bandiera italiana, quella della Ue e quella della ’sua’ Varese, poi c’è un tavolo basso con della frutta fresca e la collezione di piccoli elefanti portati da ogni parte del mondo. Un particolare che ’colora’ un ambiente sobrio. Maroni parla per settanta minuti e una parola viene ripetuta quasi meccanicamente: pregiudizio.
«Mi ha fatto male essere offeso come fossi un becero razzista. Poi, però, passa: oramai sono corazzato contro gli insulti...», ripete sottovoce prima di lanciare un segnale a chi da giorni lo contesta, lo critica, lo accusa: «Leggete la mia ordinanza... Capirete immediatamente: il primo obiettivo è tutelare chi vive nei campi nomadi in condizioni che troppo spesso di umano non hanno nulla... Leggete e confrontiamoci ».
Un tavolo con tutti i suoi accusatori?
Questa porta è sempre aperta; anche a quelli che mi hanno insultato. Non mi interessano le offese e potrei dirle che sarei anche pronto a porgere l’altra guancia pur di vedere la soluzione più vicina. Ma una condizione c’è: devono volerlo il confronto, devono avere l’atteggiamento di chi vuole capire... Poi tutto sarebbe più facile: capirebbero che queste misure sono, in primo luogo, nell’interesse di chi vive non in campi nomadi, ma in veri e propri lager.
Lager?
Esatto lager. Vede abbiamo censito quasi mille campi e nel 95 per cento il degrado è impressionante. Sono baraccopoli, favelas al cubo. Bambini che vivono con i topi... Io non posso stare a guardare; ora devo intervenire per cancellare questa offesa: affermare i diritti dei bambini significa metterli in condizione di vivere in modo umano... Poi c’è la scuola: tanti si sono detti pronti a sostenere la mia iniziativa se affiancata da un progetto di scolarizzazione. Quel progetto c’è, è nero su bianco nell’ordinanza.
Ha una tabella di marcia? Dei tempi fissati?
Completeremo il censimento entro metà ottobre. A quel punto partirà una campagna di comunicazione per spiegare, per far capire... L’emergenza nomadi dovrà essere chiusa entro maggio del prossimo anno. Nemmeno un mese oltre. Il nostro obiettivo? Chiudere i campi nomadi abusivi e creare strutture controllate dal punto di visto igenico-sanitario e soprattutto sicure... Vede, mi rifiuto di accettare che ci siano pezzi di territorio italiano dove si debba aver paura di entrare.
Prima accennava a una campagna di comunicazione...
Guardi questo sondaggio: otto italiani su dieci ritengono che sia giusto prendere le impronte a chi vive nei campi. Beh, mi rifiuto di pensare che siano dei beceri razzisti. E allora la spiegazione è una: la domanda di sicurezza è così forte che anche l’idea di schedatura dei bimbi rom viene accettata. Anzi auspicata.
Lei però dice: niente schedatura, solo censimento...
C’è un altro sondaggio che mi fa rabbrividire: in Italia un italiano su due ha paura dei nomadi. Non è possibile, non è giusto, non si può avere paura di una realtà fatta di persone. E poi in Europa è diverso: sono quindici su cento i francesi che hanno paura dei nomadi e tredici gli spagnoli... Io voglio portare la percentuale italiana alla media europea che è al 24 per cento. E lo voglio fare in tempi rapidi. Voglio correggere il messaggio anche a rischio di far scendere quell’ottanta per cento di consenso basato su un pregiudizio inaccettabile: tutti i nomadi sono delinquenti.
E quelli che lo sono realmente?
Contro quelli la nostra mano sarà ferma. Anzi fermissima. Tutti i clandestini individuati nell’operazione censimento verranno identificati ed espulsi senza esitazioni. Ma non accetto che si parli di operazione di polizia: nei campi stiamo entrando accompagnati dalla Croce Rossa... È giusto muoversi così perchè esiste un sentimento negativo verso l’etnia rom e chi è associato a questo mondo sempre più diffuso da arginare con decisione.
Ministro c’è qualcosa che si rimprovera? Ha una spiegazione alle mille voci contrarie alle sue misure?
Ho incontrato tutti coloro che potevano avere qualcosa da dire e nessuno ha obiettato dopo aver hanno visto l’ordinanza nella sua completezza: bonificare i campi, eliminare le baraccopoli... Forse, però, un errore l’ho fatto: ho sottovalutato le strumentalizzazione legate a quello che stavamo facendo; non ho pensato di prevedere, soprattutto in termini di informazione, la tempesta che stava arrivando. Sia chiaro: una tempesta in un bicchier d’acqua, motivata da polemiche infondate che non fermeranno l’azione del governo.
Era così complicato prevedere?
Bastava leggere per capire che si trattava di un’ordinanza assolutamente equilibrata. Poi, qualcuno nella sinistra, si è mosso e subito è partito il network mediatico informativo a livello europeo. Ma non è un problema solo italiano. Legga, legga questa dichiarazione del presidente del Brasile Lula che denuncia un’«odiosa persecuzione» dei latino-americani in Europa. Non è un no a una nostra ordinanza, è un no a una direttiva europea sui rimpatri approvata dal Parlamento europeo. A me pare che qualsiasi provvedimento teso a regolamentare l’immigrazione venga bollato con troppa superficialità come razzista.
Ministro molti accusano i rom di rapire i bambini italiani. Ma la Caritas dice che negli ultimi 25 anni non c’è stato un caso provato...
Solo perché una certa magistratura verso le popolazioni nomadi ha un atteggiamento di benevolenza che non mostra verso certi italiani. Le racconto un episodio successo negli ultimi giorni a Verona: il procuratore Papalia ha disposto insieme ad altri magistrati l’arresto di otto nomadi rom croati. Le prove erano nette, documentali, c’erano addirittura delle intercettazioni telefoniche.... Questi zingari mandavano dei piccoli a rubare e quando la polizia li prendeva dicevano ’non sono figli nostri’. È orribile. E ancora più orribile è il fatto che il gip li abbia rimessi tutti in libertà con una motivazione sconcertante: pregiudizi etnici.
Delinquenza e misure Maroni: qual è il legame?
Potrei essere anche disposto a dirle che il 90 per cento di coloro che vivono nei campi non delinqueranno mai, ma ora è il momento di intervenire. Bisogna farlo per evitare che le condizioni disumane in cui per troppo tempo sono stati costretti a vivere possano indurli a delinquere. Io voglio vedere e capire chi c’è in quei campi. È un mio dovere istituzionale oltre che un diritto del governo sapere chi vive in Italia. Ma questo non vuol dire schedare. Questo non vuol dire essere razzista.
di Arturo Celletti , Avvenire 3 luglio 2008
Al contrario del settimanale dei Paolini - che ha duramente criticato il Governo - e del Commissario Ue agli Affari sociali Vladimir Spidla - che ha parlato di discriminazione etnica - il Comitato "Troviamo i bambini" (500mila iscritti in 130 Paesi), un’autorità in materia di minori scomparsi, con un Comunicato Stampa si è schierato apertamente a favore del progetto di identificazione dei bambini rom proposto dal Governo.
"Ogni anno - spiega Cora Bonazza del Comitato - ne spariscono a centinaia: bimbi di cui spesso non c’è nemmeno una foto". E il fenomeno è in aumento. I minori stranieri scomparsi nel 2005 erano 403, 486 quelli nel 2006 e ben 757 quelli nel 2007 (curioso: la Romania entra nella Ue e i minori stranieri scomparsi raddoppiano). Nei primi tre mesi del 2008 sono spariti 257 minori stranieri (cfr. Libero 2 luglio 2008). Questi dati davvero agghiaccianti, dimostrano che il vero scandalo non sono le impronte digitali. È il modo in cui vivono i bambini rom. E i veri razzisti sono quelli che, non facendo nulla, hanno consentito che tutto questo continuasse, indisturbato per anni
SANPIETRO E DINTORNI DI MARCO TOSATTI: La Stampa, 4/7/2008
Vescovo: sì impronte ai Rom
Monsignor Graziani, di Crotone, critica Famiglia Cristiana: buonismo cattolico autolesionista
Una voce dissonante, nel coro di critiche all’ipotesi del ministro Maroni di identificare con impronte digitali i minori residenti nei campi Rom, che attualmente sfuggono a ogni possibilità di controllo. Le organizzazioni cattoliche, Sant’Egidio in testa hanno sparato a zero sulla proposta, e Famiglia Cristiana in un editoriale non è stata da meno. Ma l’ arcivescovo di Crotone monsignor Domenico Graziani, intervistato da un sito cattolico indipendente, “Milizia di San Michele Arcangelo”, nella rubrica “Vatispy” critica il settimanale dei Paolini. “ In linea teorica, ma solo teorica, Famiglia Cristiana parla bene. Ma che ne sanno loro? Nel loro servizio partono dal classico buonismo cattolico autolesionista che alla fine premia giochi o interessi criminali molto più forti e presenti. Il parlare chiaro mi impone poi di dire che da tempo la sinistra cavalca la tigre dell’immigrazione clandestina come strumento di lotta politica e non è giusto speculare su drammi tanto forti e penosi”. L’arcivescovo dice di essere favorevole all’iniziativa del ministro: “ Nel concreto, si. Ho parlato a lungo con le forze di polizia, con il Prefetto e mi sono fatto un’idea chiara. Le impronte servono per dare un’identità a bimbi che spesso non la hanno. Non possedendo dati documentali si prestano al commercio degli organi, a delitti su commissione da parte di bande di adulti senza scrupoli. Insomma, tutti noi chiediamo collaborazione alla polizia e alle forze dell’ordine, quando qualcuno si muove come ha fatto il Governo, ecco le critiche. È necessario dare un’identità a questi bimbi proprio nel loro interesse e per stroncare traffici criminali”. Monsignor Graziani ha esperienza diretta di immigrazione clandestina. Qual è la sua posizione sull’ipotesi di un reato di immigrazione clandestina? “Intanto non mi sembra giusto definirli clandestini, ma irregolari. Ovvio che compito dei cattolici e della Chiesa è quello della solidarietà e dell’accoglienza. Quello dell’immigrazione è un fenomeno disumano, un vero business per pochi delinquenti. Credo che il problema vada risolto con la collaborazione dei Paesi rivieraschi, anche se esprimo la mia solidarietà alle forze di polizia. L’esodo ormai è una isteria di massa e produce guadagni spaventosi per pochissimi. Ne parlo con competenza di causa. Nella mia diocesi esiste un Centro di temporanea accoglienza ormai ingestibile e lancio l’allarme: è una vera bomba ad orologeria, ormai ingestibile”.
Cambiamo argomento, per citare un’iniziativa che in tempi di vacanze ci sembra interessante. Trecento giovani della Comunità Missionaria di Villaregia - una realtà cattolica fondata 27 anni fa in provincia di Rovigo e che lavora nei paesi in via di sviluppo - percorreranno le spiagge e le vie del lungomare adriatico e tirrenico per invitare chi lo vorrà a recarsi presso i supermercati a realizzare una “spesa missionaria” in favore dei poveri della missione di Lima, in Perù. Inoltre, i giovani inviteranno altri giovani a partecipare alla veglia missionaria del sabato notte. La Chiesa Santissimo Salvatore di Terracina e la Chiesa di San Giacomo di Cesenatico rimarranno aperte fino alle 2 di notte per una adorazione notturna. La prima missione avrà luogo dal 1 al 3 agosto grazie all’opera di 150 giovani dai 18 ai 30 anni della Comunità di Roma e di Nola (NA) sulle spiagge di Terracina. La seconda, a Cesenatico - si terrà l’8, il 9 e il 10 agosto. I giovani inviteranno i bagnanti a una raccolta di alimentari e altri generi di prima necessità che saranno poi inviati per ai comedores populares di Lima, le mense popolari che sfamano migliaia di bambini e famiglie nella poverissima periferia della capitale peruviana.
Crotone - Nella Chiesa c’è anche chi invita a non drammatizzare sulla vicenda delle impronte digitali che il Governo vuole prendere ai bambini rom. Come si ricorderà, nei giorni scorsi il settimanale dei Paolini Famiglia Cristiana, che ha inaugurato una stagione di nuovo protagonismo con i suoi editoriali politici, aveva criticato duramente l’intenzione del Governo di procedere con l’identificazione anche attraverso le impronte digitali dei piccoli rom presenti in Italia. Perplessità erano state espresse pure dalla fondazione Migrantes della Cei. Ora l’arcivescovo di Crotone, Domenico Graziani, alla guida di una Diocesi fortemente interessata dal fenomeno immigrazione, prende le distanze dal settimanale cattolico. Lo fa con un’intervista concessa a Vaticanspy, una nuova rubrica del sito dell’associazione cattolica «Milizia di San Michele Arcangelo».
«In linea teorica, ma solo teorica - spiega l’arcivescovo Famiglia Cristiana parla bene. Ma che ne sanno loro? Nel loro servizio partono dal classico buonismo cattolico autolesionista che alla fine premia giochi o interessi criminali molto più forti e presenti. Il parlare chiaro mi impone di dire - aggiunge il prelato - che da tempo la sinistra cavalca la tigre dell’immigrazione clandestina come strumento di lotta politica e non è giusto speculare su drammi tanto forti e penosi».
Alla domanda se sia d’accordo con l’iniziativa dell’identificazione a mezzo delle impronte digitali, monsignor Graziani risponde: «Nel concreto, sono favorevole. Ho parlato a lungo con le forze di polizia, con il Prefetto e mi sono fatto un’idea chiara. Le impronte servono per dare un’identità a bimbi che spesso non la hanno. Non possedendo dati documentali si prestano al commercio degli organi, a delitti su commissione da parte di bande di adulti senza scrupoli. Insomma, tutti noi chiediamo collaborazione alla polizia e alle forze dell’ordine, quando qualcuno si muove come ha fatto il governo, ecco le critiche. È necessario dare un’identità a questi bimbi proprio nel loro interesse e per stroncare traffici criminali». Nell’intervista l’arcivescovo parla anche dell’immigrazione clandestina.
«Intanto - precisa Graziani - non mi sembra giusto definire gli immigrati “clandestini”, vanno chiamati “irregolari”. Ovvio che compito dei cattolici e della Chiesa è quello della solidarietà e dell’accoglienza. Quello dell’immigrazione è un fenomeno disumano, un vero business per pochi delinquenti. Credo che il problema vada risolto con la collaborazione dei Paesi rivieraschi, anche se esprimo la mia solidarietà alle forze di polizia. L’esodo ormai è una isteria di massa e produce guadagni spaventosi per pochissimi. Ne parlo con competenza di causa. Nella mia diocesi esiste un Centro di temporanea accoglienza divenuto ormai ingestibile e lancio l’allarme: è una vera bomba ad orologeria». Quanto alle iniziative concrete da prendere, il prelato conclude: «Bisogna coniugare solidarietà e accoglienza, ma ridurre al minimo i tempi di permanenza. Impopolare ma è cosi. Poi scattino i provvedimenti».
Il Giornale n. 159
La Chiesa che dà fastidio
di Maurizio Chierici *
Famiglia Cristiana non è il solo giornale ad inquietare le gerarchie della Chiesa. È già successo; risuccederà. Con l’assenso silenzioso del Vaticano il fascismo aveva scremato ogni testata considerata inopportuna. Fogli diocesani «non patriottici» nel mettere in dubbio le opere del regime. Anche la democrazia non è stata da meno. Lontano dai veleni del dopoguerra, negli anni Ottanta Padre Alex Zanotelli è stato rimosso dalla direzione di Nigrizia per aver pubblicato l’elenco delle industrie italiane che fabbricavano armi proibite: mine antiuomo, per esempio. E Alex si è rifugiato fra i disperati di una baraccopoli di Nairobi. Dieci anni fa un nunzio apostolico smentiva con durezza l’Osservatore Romano rimpicciolendolo in «uno dei tanti giornali cattolici, ma non voce ufficiale del Vaticano». Insomma, dire qualcosa che contraddica la visione di un alto prelato può diventare un azzardo con incognite pericolose per un giornale della galassia cattolica.
Come tutti sanno nella sala stampa di Roma padre Lombardi ha preso le distanze dalla rivista dei Paolini, mentre tempo fa, a Città del Messico, il nunzio spostolico Girolamo Prigione, rispondeva ai giornalisti che chiedevano conto del suo strano silenzio su un monsignore perseguitato dalle milizie private dei grandi proprietari del Chiapas. Il nunzio lo aveva abbandonato, perché? «Perché è un problema interno messicano. La Chiesa di Roma non c’entra». Storie lontane con retroscena che non si somigliano eppure legate dallo stesso dubbio: su quale giornale o quale Tv i cattolici possono liberamente affrontare i problemi della loro quotidianità di credenti?
Mettere in discussione Famiglia Cristiana era lo sport che appassionava il cardinale Ruini anni novanta. Non importa se il cardinale Ratzinger, Enzo Bianchi, monsignor Ravasi, don Antonio Mazzi, e laici non solo devoti come Mario Rigoni Stern e Susanna Tamaro, non importa se continuavano a collaborare ad un giornale dai contenuti che il vertice della conferenza dei vescovi considerava «estremamente spregiudicati su temi morali e religiosi». Nodo occasionale della discordia l’educazione sessuale.
Nel 1997 la casa editrice finisce sotto tiro. La diffusione di Famiglia Cristiana inquietava ed inquieta il centralismo della burocrazia vaticana. Mezzo milione di copie in più del Panorama berlusconiano minacciavano di inquinare gli spot politici del politico editore. Il giornale si avvicinava pericolosamente al malcontento che agita gli elettori cattolici i quali non si accontentano delle spiegazioni di Emilio Fede o dell’onorevole Giovanardi: volevano e vogliono affrontare la realtà con occhi aperti affidando alla rivista nella quale si riconoscono l’approfondimento dei problemi che devono affrontare. Insomma, stampa lontana dalle strategie vaticane sommessamente diplomatiche verso il potere, ma non solo. E non solo in Italia.
Anni fa, appunto, l’anatema che ha colpito Famiglia Cristiana era stato rovesciato sull’Osservatore Romano. Il vescovo Samuel Ruiz era un pastore minacciato di morte. La cattedrale di San Cristobal de las Casas era assediata dai pistoleros dei proprietari del Chiapas. Rimproveravano Ruiz di essere dalla parte dei contadini senza diritti, scacciati dagli orti e dalle capanne per allargare latifondi già sconfinati. In altre occasioni il nunzio Prigione aveva fatto sapere di considerare dissobbediente ogni pastore che applicava i princìpi disegnati dal Concilio Vaticano II. Lontano da Opus Dei e Legionari di Cristo, borghesia della fede ripiegata nell’integralismo, Ruiz si rivolgeva ai senza nome suscitando l’ostilità di padroni illusi di trovare nel vescovo un alleato favorevole ai loro appetiti. Inutilmente il nunzio Prigione si agita per estirpare Ruiz dalla diocesi di San Cristobal. L’amicizia col segretario di stato Sodano non gli basta e il Ruiz sgradito resta al suo posto e la delusione dei potenti scoppia nelle minacce armate. Spari, falò che bruciano il sagrato giorno e notte. Polizia e forze armate messicane guardano senza alzare un dito. E l’Osservatore Romano si commuove schierandosi al fianco di Ruiz: «coraggiosamente sfida il martirio come il vescovo Romero ucciso in Salvador».
Forse la citazione di Romero sconvolge Prigione nel ricordo di quand’era nunzio in Salvador. Proprio Prigione aveva suggerito Romero quale vescovo ausiliare e poi primate. Lo considerava topo di biblioteca, studioso conservatore, testa fra le nuvole. Presenza che rassicurava le grandi famiglie. Un tipo così non avrebbe mai messo naso nei poteri politici e sociali che stremavano milioni di persone. 1970, la piramide sociale restava blindata. Purtroppo Romero non sopportava violenza e massacri e chiude i libri per affrontare il dramma fino a quando due colpi di fucile lo fermano sull’altare. Non era solo il passato a turbare il nunzio che abbandona Ruiz. Il suo ricamo diplomatico aveva lo scopo di creare il legame di un concordato tra il Vaticano e il governo messicano.
Dal 1917, da quando cominciano le persecuzioni delle guerre cristologiche, il Messico considerava la Chiesa ente privato: nessuna autorità come nella Cuba di Castro. Per garantirsi l’appoggio delle nomenclature politiche, Prigione aveva ripulito le gerarchie messicane dalla presenze di vescovi che si mescolavano alla speranza della teologia della liberazione suscitando il risentimento dei governi. Circonda la nunziatura di pastori che sdegnano il «populismo» dei preti impegnati fra i senza niente. Monsignor Posadas di Tijuana e monsignor Reyoso di Monterrey scalano rapidamente le gerarchie, guardiani prediletti del gruppo che i preti senza censo chiamano «club di Roma».
Posadas assume la diocesi chiave di Guadalajara ed è subito cardinale. A Reynoso si affida Curnevaca, alle porte della capitale: coltiva l’amicizia delle grandi imprese impegnandosi a resuscitare l’obbedienza elaborata dal Concilio di Trento nel 1563. Prende forma la Chiesa verticale dei neocristiani, con Ruiz pecora nera che si preoccupa della gente. Prigione raccomanda a Roma di accettare senza indugi le dimissioni dovute al compimento dei 75 anni e ne anticipa la fine mettendogli alle spalle un giovane coaudiatore dall’aria ambiziosa: monsignor Raul Vera. La delusione diventa atroce come con Romero. Raul Vera accompagna con entusiasmo le pastorali di Ruiz e ne prende il posto continuandone l’ opera. Per poco. Viene trasferito dall’altra parte del paese, lungo i confini col Texas. Finalmente il Chiapas è normalizzato e il concordato firmato: monsignor Prigione torna a Roma col berretto di arcivescovo. Nei giorni del Ruiz assediato il nunzio giustifica il silenzio rispondendo che il problema non lo riguarda e quando appare la difesa dell’Osservatore Romano la stizza trascende in un giudizio che non ne ha complicato la carriera. Per caso la tirata d’orecchie a Nigrizia, Famiglia Cristiana, all’Osservatore, elenco lungo e non banale, ha l’aria di una difesa di poteri consolidati.
Il dibattito tra il cardinale Ruini e Famiglia Cristiana risale alle cronache di dieci anni fa. L’Oltretevere non accetta divagazioni sulle scelte del governo di turno. Parlare di leggi ad personam, della riforma scolastica della signora Moratti, mettere in guardia sulla Bossi-Fini, essere sfavorevoli all’invio dei militari in Iraq ribadendo le preoccupazioni del Dossetti, padre della Costituzione; insomma, discutere le voci di lettori che non gradivano e non gradiscono la politica spettacolo, diventa un imbarazzo difficile da assolvere. L’11 febbraio 1997, il cardinale Ruini ottiene da Giovanni Paolo II il decreto che annuncia maggiore vigilanza sulla Società San Paolo, editrice di Famiglia Cristiana. Il Papa nomina monsignor Antonio Boncristiani delegato presso i Paolini con l’incarico di «esercitare tutte le funzioni spettanti normalmente al superiore generale e al superiore provinciale». Il decreto aggiunge che l’autorità del delegato vaticano si estende ai periodici «Famiglia Cristiana», «Jesus», «Vite Pastorali». Nell’aprile ’98 viene rimosso il direttore don Leonardo Zega, allontanato definitivamente il 12 ottobre ’98. Redazione in rivolta ma a poco a poco i Paolini tornano e Famiglia Cristiana riapre il dialogo che i lettori pretendono. Non fa sconti al governo Prodi a proposito delle politiche familiari. Sostiene il Family Day, invita a disertare il referendum sulla procreazione assistita: Ruini, Berlusconi e Fini ne sono sollevati anche se alla vigilia delle elezioni 2006 il Cavaliere rifiuta l’intervista a Famiglia Cristiana lasciando intendere di non fidarsi di un giornale non affidabile. E Famiglia pubblica le domande senza le risposte, una delle gocce che fa traboccare il vaso. Adesso le ombre del fascismo e la reazione di Gasparri e dei fogli di casa Berlusconi fanno capire come nell’Italia distratta e laica, tenere a bada i cattolici viene considerato impegno importante per il perbenismo della destra che non si sente perbene. Se un mattino i cattolici diventano opinione pubblica e s’incuriosiscono sulla morale che anima gli interessi del governo, chissà cosa succede. Ecco perché vanno tenuti sotto chiave e la voce limpida di Famiglia Cristiana diventa il pericolo «cattocomunismo» ( parole rubate a Bettino Craxi dai teologi degli interessi senza conflitto).
* l’Unità, Pubblicato il: 18.08.08, Modificato il: 18.08.08 alle ore 10.01
IL COMMENTO
La scelta delle gerarchie
DI EDMONDO BERSELLI *
ALLA FINE per rintuzzare le critiche di Famiglia Cristiana al governo Berlusconi e per spegnere il focolaio delle polemiche è dovuto intervenire il direttore della sala stampa del Vaticano: e in quel momento si è capito che se padre Federico Lombardi aveva scelto di intervenire ai microfoni del Tg1 voleva dire che sullo sfondo si erano mosse le alte gerarchie, chissà, la segreteria di Stato, la presidenza della Cei, evidentemente preoccupate per la piega presa dagli eventi, e dalla durezza delle risposte nel governo e nel Pdl.
E difatti padre Lombardi, con le sue misuratissime parole, ha provveduto a ripartire le competenze e a definire le responsabilità: Famiglia Cristiana, ha detto il portavoce del papa, è un giornale importante del mondo cattolico ma non rappresenta affatto la linea del Vaticano o della Cei, e quindi i suoi giudizi identificano soltanto chi li ha scritti e il direttore del settimanale, don Antonio Sciortino.
Difficile immaginare una presa di distanza più radicale. Non si ricordano interventi equilibratori di questo tenore allorché il settimanale dei Paolini aveva criticato aspramente Romano Prodi e il suo governo, e più tardi il "pasticcio in salsa pannelliana" del Pd. E a questo punto viene anche da chiedersi per quale motivo le alte sfere vaticane hanno deciso un intervento che ha tutta l’aria di voler ridurre ufficialmente a Famiglia Cristiana a voce periferica e irrilevante.
Si può dissentire dalle valutazioni espresse dall’editorialista Beppe Del Colle, o comunque giudicare esasperato il giudizio secondo cui con misure come "la sciocca e inutile trovata" delle impronte digitali ai bimbi rom il nostro Paese sfiora il rischio di un nuovo fascismo. Ma nondimeno, per inquadrare decentemente i fatti, occorre anche considerare che il più importante e venduto giornale cattolico rappresenta un punto di vista significativo nella cultura cattolica, e non solo cattolica, italiana. Sotto questa luce, non è facile definirlo politicamente. Destra e sinistra non sono termini che possono restituire integralmente la posizione storicamente rappresentata dal giornale dei Paolini.
Infatti Famiglia Cristiana si colloca rigorosamente nella tradizione cattolica per ciò che riguarda la concezione della famiglia, e su altri temi che attengono al magistero etico della Chiesa. Ma nello stesso tempo il settimanale ha sempre rappresentato un punto di riferimento per il cattolicesimo più aperto e non impaurito dalla modernità.
L’ortodossia verso il magistero papale, insieme con l’amore filiale manifestato verso i pontefici da Wojtyla a Ratzinger, non ha mai impedito ai Paolini, prima sotto la direzione di don Leonardo Zega e poi con la guida di don Sciortino, di esporre una propria linea culturale e finanche "sociale", legata a quelle inquietudini conciliari che hanno vivificato a lungo il cattolicesimo italiano e che hanno trovato nel papato di Montini l’espressione più compiuta, e nel pensiero del cardinale Martini la presenza più suggestiva.
Sarebbe una sciocchezza attribuire alla direzione di Famiglia Cristiana e ai suoi giornalisti un orientamento esplicitamente di sinistra. Si scadrebbe al grado di livore manifestato in questi giorni da Maurizio Gasparri, e dalle controaccuse di fascismo da parte dell’ex Udc Carlo Giovanardi (che si è scagliato contro i "toni da manganellatore" che don Sciortino consente ai suoi collaboratori). Eppure, non ci sono dubbi che nel corso degli anni Famiglia Cristiana ha rappresentato una delle sempre più rare isole di riflessione e anche di critica verso l’ineluttabilità del disincanto politico, e verso l’edonismo cinico che ha segnato l’ultima fase della modernizzazione del nostro Paese.
Se esiste un luogo in cui persiste un atteggiamento non corrivo, cioè non arrendevole, verso la brutalità e la volgarità dell’Italia consumista e televisiva, questo è stato ed è Famiglia Cristiana. Prendere tale atteggiamento e proiettarlo come una critica essenziale verso il berlusconismo può essere una forzatura: ma nondimeno è connaturata alla mentalità del giornale dei Paolini l’idea di una società sobria, esente dai fulgori effimeri, dagli amori fatui, dall’iperconsumo irresponsabile. E di converso di una partecipazione alla sofferenza degli umili, qualunque sia il loro posto nella società dell’euforia coatta. Una condivisione dettata dalla fede, dall’umanità, dalla curiosità verso ciò che è diverso, e dalla disponibilità culturale verso ciò che è inedito.
Che da destra si manifesti un’insofferenza tanto acuta verso il settimanale cattolico sembra la dimostrazione palese che il rapporto con il mondo cattolico viene sentito sotto un aspetto strumentale e problematico. Come una risorsa politica ed elettorale, ma anche come una possibile fonte di delegittimazione. D’altronde, appartiene interamente allo spirito di Famiglia Cristiana la critica verso quei provvedimenti governativi di taglio spettacolare, che sembrano fatti apposta per aumentare l’inquietudine dei cittadini, vale a dire per intensificare l’allarme sociale che dichiarano di voler combattere (con rischi, se non di un nuovo "fascismo", di un circolo vizioso di misure sempre più aspre e sempre più inadeguate rispetto all’allarme generato).
Non è facile oggi stare dentro i panni del direttore di Famiglia Cristiana. Rappresenta una posizione impopolare rispetto a quel mondo cattolico, maggioritario, che dopo la fine della Dc ha scelto di farsi rappresentare dalla destra. Non troverà sostegni apprezzabili a sinistra, dove la parte laica guarderà sempre con sfavore le sue posizioni sui temi politicamente sensibili della bioetica.
Ma il pericolo maggiore, prima ancora delle proteste di chi viene criticato, e che riguarda tutti i cattolici consapevoli, è quello di restare schiacciati da un implicito patto di potere fra la destra trionfante di questa stagione e il realismo politico delle gerarchie vaticane: cioè dalla strana e nuova conciliazione che sembra delinearsi, un nuovo patto di interessi e di potere che potrà premiare la Chiesa come istituzione temporale, ma che lascerebbe senza voce un cattolicesimo che ancora accetta di misurarsi con i dubbi, le incertezze e le angosce del nostro tempo.
* la Repubblica, 15 agosto 2008
Il presidente spazzino nel "paese da marciapiede"
Bene fa il Governo a prendere provvedimenti su annosi problemi. Ma riuscirà a fugare il sospetto che quando è al potere la destra i ricchi si impinguano e le famiglie si impoveriscono?
editoriale (Famiglia Cristiana, n. 33, 17 agosto 2008)
È un "Paese da marciapiede" quello che sta consumando gli ultimi giorni di un’estate all’insegna della vacanza povera, caratterizzata da un crollo quasi del 50% delle presenze alberghiere nei luoghi di vacanza. Dopo vari contrasti tra Maroni e La Russa, sui marciapiedi delle città arrivano i soldati, stralunati ragazzi messi a fare compiti di polizia che non sanno svolgere (neanche fossimo in Angola), e vengono cacciati i mendicanti senza distinguere quelli legati ai racket dell’accattonaggio da quelli veri.
A Roma il sindaco Alemanno, che pure mostra in altri campi idee molto più avanzate di quelle che il pregiudizio antifascista gli attribuisce, caccia i poveri in giacca e cravatta anche dai cassonetti e dagli avanzi dei supermercati. Li chiamano scarti, ma lì si trovano frutta e verdura che non sono belli da esporre sui banchi di vendita. E allora se vogliamo salvare l’estetica, perché non facciamo il "banco delle occasioni", coprendo con un gesto di pietà (anche qui "estetico"), un rito che fa male alle coscienze? Nei centri Ikea lo si fa, e nessuno si scandalizza. Anzi.
Ma dai marciapiedi sparisce anche la prostituzione (sarà la volta buona?) e sarebbe ingeneroso non dare merito al Governo di aver dato ai sindaci i poteri per il decoro e la sicurezza dei propri cittadini. A patto, però, che la "creatività" dei sindaci non crei problemi istituzionali con questori e prefetti e non brilli per provvedimenti tanto ridicoli quanto inutili; e che il Governo non ci prenda gusto a scaricare su altri le sue responsabilità, come con l’uscita tardiva e improvvida (colpo di sole agostano?) della Meloni e di Gasparri, che hanno chiesto ai nostri olimpionici di non sfilare per protesta contro la Cina (il gesto forte, se ne sono capaci, lo facciano loro, i soliti politici furbetti che vogliono occupare sempre la scena senza pagare pegno!).
Tornando al "Paese da marciapiede", ha fatto bene il cardinale Martino, presidente del Pontificio consiglio per i migranti, ad approvare la lotta al racket dell’accattonaggio senza ledere il diritto di chiedere l’elemosina da parte di chi è veramente povero. Il cardinal Martino ha posto un dubbio atroce: la proibizione dell’accattonaggio serve a nascondere la povertà del Paese e l’incapacità dei governanti a trovare risposte efficaci, abituati come sono alla "politica del rattoppo", o a quella dei lustrini?
La verità è che "il Paese da marciapiede" i segni del disagio li offre (e in abbondanza) da tempo, ma la politica li toglie dai titoli di testa, sviando l’attenzione con le immagini del "Presidente spazzino", l’inutile "gioco dei soldatini" nelle città, i finti problemi di sicurezza, la lotta al fannullone (che, però, è meritoria, e Brunetta va incoraggiato). Ma c’è il rischio di provocare una guerra fra poveri, se questa battaglia non la si riconduce ai giusti termini, con serietà e senza le "buffonate", che servono solo a riempire pagine di giornali.
Alla fine della settimana scorsa sono comparse le stime sul nostro prodotto interno lordo (Pil) e, insieme, gli indici che misurano la salute delle imprese italiane. Il Pil è allo zero, ma le nostre imprese godono di salute strepitosa, mostrando profitti che non si registravano da decenni. L’impresa cresce, l’Italia retrocede. Mentre c’è chi accumula profitti, mangiare fuori costa il 141% in più rispetto al 2001, ma i buoni mensa sono fermi da anni. L’industria vola, ma sui precari e i contratti è refrattaria. La ricchezza c’è, ma per le famiglie è solo un miraggio. Un sondaggio sul tesoretto dei pensionati che sarà pubblicata su Club 3 dice che gli anziani non ce la fanno più ad aiutare i figli, o lo fanno con fatica: da risorsa sono diventati un peso.
È troppo chiedere al Governo di fugare il sospetto che quando governa la destra la forbice si allarga, così che i ricchi si impinguano e le famiglie si impoveriscono?
La cosa più bella che dicono di lui i confratelli preti è questa: vuol piacere alla sua vecchia maestra. Il massimo per lui è stato sentirsi lodare davanti a tutti dall’insegnante delle elementari. Don Antonio Sciortino, direttore di Famiglia cristiana, viene da Delia, provincia di Agrigento, dov’è nato nel 1954. Dopo che prese possesso del favoloso regno dei Paolini, in Via Giotto a Milano, fece venire un’antica signora con il cappellino. Volle che tutti i redattori presenziassero all’avvenimento, non si sa se in fila per due, ma di certo sull’attenti. Il “picciriddu” ne aveva fatta di strada, e la maestra doveva godersi una parte di merito. La storiella viene fatta circolare maliziosamente, per sottolineare il provincialismo e il complesso di inferiorità di cui sarebbe vittima il sacerdote, ciò che lo renderebbe introverso e vendicativo. Della seconda ne ho avuta personalmente prova, ma non tedio i lettori con le beghe personali che pendono in Tribunale. Però questa visita della maestra, probabilmente a sue spese, me lo rende simpatico. Più umano in un mondo clericale di marziani, dove i paolini, con le loro cravatte in tinta e le camicie azzurrine, sembrano tecnici di Star Trek. Oggi don Sciortino, dopo nove anni di direzione se non incolore come minimo rosina o giallina, ha dato smalto alla rivista. Basta moine da abatino settecentesco o ideologismi da teologo della Sinistra rivoluzionaria castrista. Adesso qui si bombarda a tappeto.
La corazzata E dire che don Antonio Sciortino un giorno si trovò a dover rispondere a un lettore il quale sosteneva che il pugilato è immorale: picchiare è da bestie, non è uno sport umano. Il direttore di Famiglia cristiana, forte della laurea in teologia morale conseguita alla Gregoriana, la più prestigiosa tra le università pontificie (la guidano i gesuiti), gli diede ragione. Non si fa. La boxe non va praticata, soprattutto a livello professionistico. Domanda. E allora perché lui mena? Don Sciortino lo fa da qualche anno a questa parte, anzi soprattutto negli ultimi mesi: da vero professionista. Destro, sinistro, bersaglio grosso, bersaglio piccolo, uppercut al centro. Anzi al mento. Ma dicendo al centro la metafora politica è più chiara. Sciortino dirige la sua corazzata cattolica contro tutte le flotte possibili e immaginabili, con siluri, armi proprie e improprie. Perché fa così? Ci sono molte spiegazioni che si susseguono. Ne fornisco due. 1) Il direttore della (ex) mite rivista dei Paolini ha capito che se continuava a servire camomilla, forse sarebbe riuscita a garantirsi il mercato delle perpetue e dei don Abbondio, ma avrebbe dovuto attrezzarsi a essere venduta non solo nelle chiese ma anche nelle cappelle cimiteriali. Quel tipo di pubblico è in estinzione rapida. Senza un brivido di riscossa la china discendente si sarebbe trasformata in precipitosa caduta nell’abisso dei debiti (26 milioni di euro dal 1999, progetti di tagli, vendita già realizzata della storica tipografia di Alba). In un’epoca in cui il cattolicesimo è minoranza, tanto vale battersi e guadagnare alla battaglia qualche laico o ateo curioso. I numeri daranno ragione al coraggio detto anche sconquasso? Famiglia cristiana raggiunse ai tempi del mitico dan Giuseppe Zilli le due milioni di copie vendute, i 500 mila abbonamenti. Oggi veleggia intorno ai 600mila fascicoli diffusi, che è un bell’andare, ma la prospettiva non è più allegra rispetto a quella dei settimanali in crisi generale. Ma almeno se si deve proprio crepare, questo deve aver pensato Sciortino, almeno prima battersi. Ed è un fatto che in questo periodo in cui i settimanali politici (Panorama ed Espresso) cercano di campare con i soliti verbali forniti da magistrati compiacenti o con il gossip, Famiglia cristiana propone idee precise su cui convenire o no: ma chiare e tutte da discutere, certo nelle famiglie cristiane, ma anche in quelle mica tanto cattoliche. 2) Sciortino sarebbe sul piede di partenza. Avrebbe intorno due vice, don Giuseppe Soro e don Giusto Truglia, solidali con lui fino a quando non saranno chiamati a sostituirlo con dolore. Del resto, chi la fa, l’aspetti. Fu il delfino Sciortino a rimpiazzare con molti complimenti il suo Pigmalione don Zega, quando prima fu commissariato e poi affondato dal cardinal Ratzinger in persona. Prima di essere promosso a qualche altro incarico, magari curiale, Sciortino cercherebbe con il suo casino a tutto Azimouth un po’ di visibilità come deterrente al licenziamento, per la nota attitudine vaticana a evitare gli scandali.
Le battaglie Mentre il Papa vede Tremonti, Famiglia cristiana (che pubblica e vende le encicliche del medesimo Papa) attacca il governo. Non c’è da preoccuparsi però. Non saranno tali quisquilie a farlo mandar via. In passato sì che Famiglia cristiana ha portato acqua, dalla fine della Democrazia cristiana in poi, alla sinistra. Nel 1996 fu decisiva nel versare abbondante rugiada a Prodi, in forma di gasolio per il suo pullman, con una linea culminata in un editoriale firmato da Bartolomeo Sorge, il gesuita più calvo e di sinistra della storia d’Italia. Allora Sciortino era vice di don Leonardo Zega. Ne prese la successione nel 1999. E da allora ha tenuto la barre del timone quasi sempre a manca. Con più prudenza negli ultimi anni. Sposando decisamente la Margherita, con una predilezione particolare per Rosy Bindi, ma senza enfasi. Esempio. Quando c’erano in ballo i Pacs, le unioni di fatto, chiamate in Italia “Dico”, Famiglia cristiana intervistò per due pagine la Bindi che difendeva le sue idee pro-Dico, e diede dodici righe al Papa che li scomunicava. Titolo di copertina ambiguissimo: «Meno Dico e piú famiglia». Si deve pur galleggiare. Semmai è su posizioni di etica sociale che Sciortino può traballare. Non per la politica... Del resto negli ultimi mesi Sciortino ha dato botte a Berlusconi («strumentalizza il cardinal Ruini») e al Partito democratico («Pasticcio veltroniano in salsa pannelliana»), distribuito rimproveri a Casini e a Bossi. Attaccato i politici privilegiati in un’Italia dove si pagano tasse come in Svezia e i servizi sono da Bolivia. Da quando c’è al governo il centrodestra, ogni settimana sono contumelie: contro la maggioranza ma anche contro la minoranza (democratica). Se ormai in Parlamento Veltroni pensa a salvarsi la pelle, lasciando l’opposizione ad Antonio Di Pietro, il settimanale di Sciortino fa opposizione, quasi con gli stessi argomenti. Potrebbero scambiarsi i posti, e i discorsi sarebbero più o meno uguali. Vedremo se saremo smentiti con un attacco a Di Pietro la settimana prossima: così sarebbe più dipietrista dell’originale. Sull’enciclopedia internet Wikipedia sono state allineate le prese di posizione politiche contro il centro destra da parte di don Sciortino, sciolte qua e là tra le pagine. Eccole: * le critiche alle leggi cosiddette ad personam * l’atteggiamento verso la riforma della scuola proposta da Letizia Moratti * le reazioni alla legge Bossi-Fini sull’immigrazione * il sottolineare la gravità del precariato permanente nel Paese * le reazioni al famoso editto bulgaro contro Biagi e Santoro * la posizione sfavorevole all’invio di militari italiani in Iraq. Il culmine dello scontro con la Casa delle Libertà si toccò con un’inchiesta, tenuta in collaborazione con il Tg3 sull’ingerenza della mafia sulla costruzione del ponte sullo Stretto di Messina. L’inchiesta fu duramente contestata dall’allora ministro Pietro Lunardi. Forse come premio per questa linea, fu conferito a don Sciortino dal presidente Ciampi il titolo di Grand’Ufficiale, il 2 giugno del 2005. Ma è preistoria. Allora colpiva solo per far piacere alla sinistra, adesso ’ndo colglie coglie. Insomma: mena. Don Sciortino mena.
di Renato Farina, Libero 13 agosto 2008