"Fortapàsc", regia di Marco Risi, sul giornalista ucciso a 26 anni dalla camorra
A Napoli l’anteprima con i parenti della vittime della criminalità organizzata
In un film la morte di Siani
Così Napoli è diventata Gomorra
Il fratello del cronista ucciso: "E’ il risarcimento più bello"
di ARIANNA FINOS *
NAPOLI - "Ieri sera al san Carlo c’era la bellezza di Napoli, perché l’etica libera la bellezza". Un emozionato Paolo Siani ha commentato così l’applauso composto ma infinito del pubblico che ha accolto l’anteprima del film sulla morte del fratello Giancarlo, ucciso a 26 anni dalla camorra.
In sala, oltre al cast, anche i parenti delle vittime della criminalità: il marito di Silvia Ruotolo (la giovane mamma uccisa per sbaglio mentre rientrava a casa con il figlio), il padre di Paolino Avella (ucciso a 17 anni da chi voleva rubargli il motorino) moglie e figlia di Marcello Torre, integerrimo sindaco di Pagani assassinato nel 1980. Alcuni di loro, tra cui lo stesso Paolo Siani, hanno accettato di comparire nel film, simbolo della faccia pulita di Napoli. E poi i magistrati Giandomenico Lepore, Franco Roberti e Armando D’Alterio, colui che alla fine risolse il caso.
Andrea Purgatori, che ha scritto il film con Risi e Jim Carrington, lo ha definito "una sorta di prequel di Gomorra". Ma Fortapàsc sembra avvicinarsi, per la cifra più personale e poetica, per la capacità di ricostruzione di un periodo storico, più a I cento passi di Marco Tullio Giordana, sull’omicidio di un altro giovane idealista, Peppino Impastato.
Marco Risi chiarisce in conferenza stampa: "Per sgombrare il campo da ogni analogia, questo film nasce sei, sette anni fa, quando di Gomorra non esistevano libro e film. Quello di Garrone, film che ho amato, è un durissimo reportage di guerra, segmentato, corale. Il nostro ha, invece, un andamento classico, e noi lo raccontiamo soprattutto attraverso il nostro protagonista".
Fortapàsc si apre con la voce narrante di Giancarlo Siani pochi minuti prima di essere ucciso, la sera del 23 settembre del 1985. E’ sulla sua Citroen Mehari pistacchio, corre lungo la costa, verso casa per una doccia e poi dalla sua fidanzata. La radio trasmette Ogni volta di Vasco Rossi, "non so, se avessi saputo che di lì a poco sarei morto, se avrei ascoltato proprio quella canzone" dice Siani, voce fuori campo. A quel sorriso è affidato il raggio di speranza che vuole mantenere il film, in una vicenda tanto tragica.
Si raccontano gli ultimi quattro mesi prima di quella sera. Il lavoro quotidiano di Giancarlo, praticante abusivo a Torre Annunziata, per Il Mattino. Le indagini su quella realtà, regno delle famiglie camorristiche in lotta, gli intrecci e gli interessi sulla pioggia di miliardi per la ricostruzione del dopo terremoto dell’80.
La sentenza di morte per Giancarlo arriva il giorno dopo la pubblicazione di un suo articolo su Il Mattino del 10 giugno 1985 sull’arresto del boss Valentino Gionta. Si rivela che è avvenuto grazie a una soffiata. E’ stato l’alleato Nuvoletta, referente in Campania di Totò Riina. Quest’ultimo ha chiesto di eliminare Gionta e Nuvoletta, per non tradire l’onore di mafioso uccidendo un alleato, lo fa arrestare.
"Ci sono voluti 10 anni e tre pentiti per assicurare alla giustizia e responsabili del delitto, attualmente ancora in carcere", dice Risi. Fortapàsc è costato 5 milioni di euro, prodotto dalla BiBi di Angelo Barbagallo, Raicinema e Minerva. Esce nelle sale a Napoli il 20 marzo, il 27 nel resto d’Italia. "E’ un film onesto e poetico, descrive mio fratello proprio così com’era - dice Paolo Siani - un ragazzo pieno di vita, un giornalista-giornalista, come si racconta nel film. Credo che Marco Risi abbia fatto il più bello dei risarcimenti a Giancarlo e sono sicuro che lui l’avrebbe amato".
Siani è stato l’unico giornalista ucciso dalla camorra. "Una delle intenzioni polemiche del film - dice Risi - è proprio il rapporto dei giornalisti con la realtà, nella scena sulla spiaggia il caporedattore Sasà spiega a Giancarlo la differenza tra i giornalisti-giornalisti e i giornalisti-impiegati. Ma è un discorso che si può applicare a ogni categoria". Purgatori, l’uomo delle inchieste su Ustica che lo stesso Risi raccontò in Il muro di gomma, sottolinea invece "il valore dei giornalisti precari, che oggi sono 40 mila e sono spesso gli unici a portare le notizie, lontani dai privilegi e dalle stanze del potere".
Tra gli elementi più convincenti di Fortapàsc c’è l’interpretazione di Libero De Rienzo. Nel progetto originale del film, cinque anni fa, doveva esserci Stefano Accorsi. "Ho scelto Libero per la sua partecipazione emotiva, per quel che mi ha detto dopo aver letto il copione. Per mettergli paura gli ho detto che ci sarebbe stata l’anteprima al San Carlo", ride Risi.
Rispetto alla vicenda personale, fanno più da sfondo le gesta dei clan. Tra le scene più forti quella, parallela, tra una seduta accesa del Consiglio comunale e quella segreta tra i boss. "Un omaggio a Francesco Rosi e al suo Le mani sulla città - confessa il regista - ci sono politici che in passato hanno pensato che, per buona pace del Paese, con le mafie occorresse trattare. Ma hanno sbagliato, perché l’acqua che viene a contatto con il fango, diventa fango". "La sensazione, oggi, è che Gomorra non sia solo Napoli, che siamo un po’ tutti sotto assedio, e che tutta l’Italia sia un po’ Fortapàsc".
* la Repubblica, 17 marzo 2009
Sulla figura del giornalista-giornalista, in rete, si cfr.:
GIANCARLO SIANI (Wikipedia).
GIANCARLO SIANI. Cronista libero - Martire per la Verità (Sito).
Ansa» 2009-03-17 19:01
FORTAPASC, L’EMOZIONE DI MARCO RISI PENSANDO A PAPA’
NAPOLI - Il lunghissimo applauso per FortApasc non lo dimenticherà facilmente. "Un emozione così l’ho provata solo a Palermo quando presentai ’Mery per sempre’. E’ il mio primo film che mio padre Dino non ha visto. E mi dispiace". Così il regista Marco Risi commenta il giorno dopo la commossa accoglienza dei napoletani per il suo film su Giancarlo Siani, il giovane giornalista del Mattino ucciso 23 anni fa dalla camorra, presentato in anteprima nazionale al San Carlo e in uscita il 20 marzo in Campania (58 copie) e il 27 marzo (150 copie) in tutta Italia, distribuito da 01.
"Finalmente un vero riconoscimento per Giancarlo Siani" ha detto Paolo, il fratello del giornalista assassinato, partecipando alla conferenza stampa all’indomani della prima-evento che ha visto in platea tanti altri familiari di vittime della camorra, in Campania sono 480, alcuni dei quali hanno partecipato come comparse al film.
Risi ha parlato anche delle riprese che sono state effettuate a Napoli e proprio a Torre Annuziata, nei luoghi dove avvenne la guerra di camorra raccontata da Siani: "Non abbiamo avuto problemi, la collaborazione è stata massima. L’unico brutto ricordo è stato quello dell’uccisione avvenuta in quei giorni di un signore che avevamo conosciuto durante le riprese e che aveva collaborato a spostare un’auto sul set".
Accanto al protagonista Libero De Rienzo e a Valentina Ludovini, anche i produttori Caterina D’Amico e Angelo Barbagallo e gli sceneggiatori, Andrea Purgatori e Jim Carrington. "Questo è un film anche per i 40mila giornalisti precari che sostengono l’informazione italiana - ha detto Purgatori - se ai tempi di Siani (negli anni ’80, ndr) era ancora possibile accedere a questa professione oggi si e’ allargata ancora di più la forbice tra precari e garantiti. Credo inoltre che fare il giornalista al Sud valga di più che farlo al Nord: è una grande scuola ma si rischia molto".
Libero De Rienzo, napoletano di nascita, con modestia ringrazia per i tanti complimenti raccolti ma dice di non avere meriti nella riuscita del film: "Ho avuto la fortuna di lavorare con una sceneggiatura che non è il tipico prodotto italiano, spesso retorico o in stile fiction. Sono cresciuto con i film di Marco Risi, un autore che adoro. Credo che tra i meriti del film ci sia quello di raccontare Siani né come un santino né come un martire". Poi una osservazione sull’attualità, sulla quale anche Risi concorda: "Oggi la situazione non è migliorata. Ed è tutta l’Italia a sembrare sotto assedio".
Infine l’invito di Paolo Siani: partecipare tutti il 21 marzo a Napoli alla quattordicesima edzione della ’Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafié promossa da Libera di don Luigi Ciotti "per dimostrare che può esserci un’etica in tutti noi". Domani il film, alla presenza del regista, sarà proiettato al Carcere minorile di Nisida.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
Giancarlo Siani, 30 anni fa l’articolo che decretò la sua condanna a morte
Trent’anni fa esatti, la pubblicazione sulle pagine del Mattino dell’articolo che molto probabilmente costò la condanna a morte da parte della camorra del giornalista Giancarlo Siani. Era il 10 giugno 1985 quando Siani parlò dei possibili scenari criminali campani in seguito all’arresto del boss di Torre Annunziata Valentino Gionta.
[...]
Ecco l’articolo pubblicato da "Il Mattino" del 10 giugno 1985 da Giancarlo Siani. *
Potrebbe cambiare la geografia della camorra dopo l’arresto del super latitante Valentino Gionta. Già da tempo, negli ambienti della mala organizzata e nello stesso clan dei Valentini di Torre Annunziata si temeva che il boss venisse «scaricato», ucciso o arrestato.
Il boss della Nuova famiglia che era riuscito a creare un vero e proprio impero della camorra nell’area vesuviana, è stato trasferito al carcere di Poggioreale subito dopo la cattura a Marano l’altro pomeriggio. Verrà interrogato da più magistrati in relazione ai diversi ordini e mandati di cattura che ha accumulato in questi anni. I maggiori interrogativi dovranno essere chiariti, però, dal giudice Guglielmo Palmeri, che si sta occupando dei retroscena della strage di Sant’Alessandro.
Dopo il 26 agosto dell’anno scorso il boss di Torre Annunziata era diventato un personaggio scomodo. La sua cattura potrebbe essere il prezzo pagato dagli stessi Nuvoletta per mettere fine alla guerra con l’altro clan di «Nuova famiglia», i Bardellino. I carabinieri erano da tempo sulle tracce del super latitante che proprio nella zona di Marano, area d’influenza dei Nuvoletta, aveva creduto di trovare rifugio. Ma il boss di Torre Annunziata, negli ultimi anni, aveva voluto «strafare».
La sua ascesa tra il 1981 e il 1982: gli anni della lotta con la «Nuova camorra organizzata» di Raffaele Cutolo. L’11 settembre 1981 a Torre Annunziata vengono eliminati gli ultimi due capizona di Cutolo nell’area vesuviana, Salvatore Montella e Carlo Umberto Cirillo. Da boss indiscusso del contrabbando di sigarette (un affare di miliardi e con la possibilità di avere a disposizione un elevato numero di gregari) Gionta riesce a conquistare il controllo del mercato ittico.
Con una cooperativa, la Do. Gi. pesca (figura la moglie Gemma Donnarumma), mette le mani su interessi di miliardi. È la prima pietra della vera e propria holding che riuscirà a ingrandire negli anni successivi. Come «ambulante ittico», con questa qualifica è iscritto alla Camera di Commercio dal ‘68, fa diversi viaggi in Sicilia dove stabilisce contatti con la mafia. Per chi può disporre di alcune navi per il contrabbando di sigarette (una viene sequestrata a giugno al largo della Grecia, un’altra nelle acque di Capri) non è difficile controllare anche il mercato della droga.
È proprio il traffico dell’eroina uno degli elementi di conflitto con gli altri clan in particolare con gli uomini di Bardellino che a Torre Annunziata avevano conquistato una fetta del mercato. I due ultimatum lanciati da Gionta (il secondo scadeva proprio il 26 agosto) sono alcuni dei motivi che hanno scatenato la strage. Ma il clan dei Valentini tenta di allargarsi anche in altre zone. Il 20 maggio a Torre Annunziata viene ucciso Leopoldo Del Gaudio, boss di Ponte Persica, controllava il mercato dei fiori di Pompei. A luglio Gionta acquista camion e attrezzature per rimettere in piedi anche il mercato della carne. Un settore controllato dal clan degli Alfieri di Boscoreale, legato a Bardellino.
Troppi elementi di contrasto con i rivali che decidono di coalizzarsi per stroncare definitivamente il boss di Torre Annunziata. E tra i 54 mandati di cattura emessi dal Tribunale di Napoli il 3 novembre dell’anno scorso ci sono anche i nomi di Carmine Alfieri e Antonio Bardellino. Con la strage l’attacco è decisivo e mirato a distruggere l’intero clan. Torre Annunziata diventa una zona che scotta. Gionta Valentino un personaggio scomodo anche per gli stessi alleati. Un’ipotesi sulla quale stanno indagando gli inquirenti e che potrebbe segnare una svolta anche nelle alleanze della «Nuova famiglia». Un accordo tra Bardellino e Nuvoletta avrebbe avuto come prezzo proprio l’eliminazione del boss di Torre Annunziata e una nuova distribuzione dei grossi interessi economici dell’area vesuviana. Con la cattura di Valentino Gionta salgono a ventotto i presunti camorristi del clan arrestati da carabinieri e polizia dopo la strage.
Ancora latitanti il fratello del boss, Ernesto Gionta, e il suocero, Pasquale Donnarumma.
* IL MATTINO/Napoli, mercoledì 10 giugno 2015 (ripresa parziale).
Siani, la verità uccisa a Gomorra
di Alberto Crespi *
È fin troppo facile individuare i motivi per elogiare Fortapàsc, tredicesimo film del 57enne Marco Risi. La volontà (lungamente frustrata, per anni a nessuno è sembrato importar nulla di questo film) di togliere dall’oblìo una storia italiana fondante, quella del giovane cronista Giancarlo Siani ucciso dalla camorra nel 1985.
La capacità di legare un caso di cronaca vecchio di cinque lustri all’attualità, come a leggere nella Torre Annunziata degli anni ’80 (quella che per il sindaco Cassano «non era Fortapàsc»...) i segnali di un degrado che prosegue nella Napoli della «munnezza» e della politica sempre più compromessa con il crimine organizzato. L’ostinazione con la quale Marco Risi - che è anche, non dimentichiamolo, l’autore del Muro di gomma, sulla strage di Ustica - continua a ricordarci che l’Italia è un paese di misteri irrisolti e forse irrisolvibili. Perché è vero che 8 anni dopo il delitto, grazie alla collaborazione di alcuni pentiti, gli assassini materiali di Siani finirono in galera: ma è altrettanto vero che nessuno ha spiegato, né spiegherà mai, perché il clan dei Nuvoletta (referente campano dei corleonesi di Totò Riina) decise di eliminare un giovane praticante di soli 26 anni che aveva annusato «qualcosa» di troppo grande.
Quel «qualcosa», in fondo, è una cosa al tempo stesso ovvia e indicibile: l’alleanza trasversale tra le varie mafie, che probabilmente proprio in quegli anni diventa un contro-potere con agganci ai più alti livelli della politica e dell’economia. Senza saperlo, Siani aveva visto nascere Gomorra: un parto mostruoso che non doveva essere raccontato. Al punto che il primo film sul caso-Siani, E io ti seguo di Maurizio Fiume, fu silenziosamente boicottato da molti (incluso il giornale dove Siani lavorava, Il Mattino), e fatto sparire dalla distribuzione (in questi giorni lo si può acquistare in dvd assieme alla rivista napoletana Chiaia Magazine).
Questo scenario è già un ottimo motivo per vedere Fortapàsc, per apprezzare il modo in cui Risi - con la collaborazione alla sceneggiatura di Jim Carrington e Andrea Purgatori - l’ha costruito, e la bravura di quasi tutti gli attori. Siani è Libero De Rienzo, che si sforza eroicamente di assomigliargli. Michele Riondino e Valentina Lodovini sono il suo migliore amico e la sua fidanzata, ma i loro personaggi sono forse i più sfocati del film, mentre sono clamorose, quasi shakespeariane, alcune prove dei «cattivi»: da Gigio Morra (il boss Carmine Alfieri) a Massimiliano Gallo (l’altro boss Valentino Gionta), dai soliti magnifici «reduci da Gomorra» Gianfelice Imparato (il pretore Rosone) e Salvatore Cantalupo (il camorrista Ferrara), fino al capo-cronista del Mattino di Torre Annunziata Sasà (il sempre grande Ernesto Mahieux) al quale Risi affida la tirata sull’Italia come paese più adatto ai «giornalisti impiegati» che ai «giornalisti giornalisti».
COME TARANTINO
Ma vorremmo utilizzare le ultime righe per parlare di Fortapàsc come film. Che Marco Risi sia un bravo regista, lo sappiamo dai tempi di Mery per sempre. Ma Fortapàsc è un salto di qualità importante, del quale papà Dino (al quale il film è dedicato) sarebbe giustamente orgoglioso. Osservate la scena della cruentissima strage nelle vie di Torre Annunziata: Tarantino non l’avrebbe girata meglio, né con più efferatezza. Osservate il montaggio alternato fra il summit dei boss e la seduta del consiglio comunale: certo, è un omaggio a Le mani sulla città, ma ricorda anche il ferocissimo parallelo di M (Fritz Lang, come no?) tra la riunione dei ladri e quella dei poliziotti, tutti a caccia del serial-killer (il montaggio, di Clelio Benevento, è strepitoso). Come nei momenti più crudi di Gomorra, sembra sia tornato il «poliziottesco» degli anni ’70; ma riciclato con una coscienza civile nuova, al tempo stesso disperata e combattiva. Finché esistono film come Fortapàsc, questo paese non è morto.
* l’Unità, 27 marzo 2009