Calabria

Un saluto ad Antonio Acri, presidente elegante e sognatore

Di Emiliano Morrone
lunedì 14 dicembre 2009.
 

Antonio Acri è stato un politico autentico e concreto, buono, disponibile, aperto, moderno. Onesto, amministratore esemplare, autonomista, combattivo, forte, tenace, instancabile. È deceduto dopo una grave malattia vissuta con la più alta dignità, durante la quale ha proseguito il suo mandato di parlamentare regionale dimostrando la fermezza e la grinta di sempre. Assistito sino all’ultimo dalla moglie Vittoria, dai figli Massimo e Fabio, da Antonello, il suo più stretto collaboratore, e dai sanitari del Polo oncologico di Catanzaro, s’è spento lo scorso mercoledì in ospedale. La notizia s’è diffusa subito via Internet: una memoria breve del deputato Franco Laratta (Pd) e un gruppo, su Facebook, che lo ha ricordato con sincera commozione. Eppure, Acri diceva di non avere dimestichezza con la rete. A ruota, le dichiarazioni di rappresentanti istituzionali e di associazioni antimafia a nome di Orfeo Notaristefano, scrittore, giornalista e portavoce di “Verso Sud”.

Politica, società civile e piazza piangono una figura in grado di parlare a tutti: senza alcun pregiudizio, atteggiamento ostile, moto di rivalsa. Capace d’ascoltare e cogliere il positivo di idee e discorsi diversi, anche quando gratuitamente offensivi nei suoi confronti. Originario di San Giovanni in Fiore, dove per scelta viveva nel quartiere periferico “Olivaro”, Acri è stato uno dei pochi politici italiani coerenti, legati a valori intramontabili e interpreti d’un riformismo trasparente, alto, partecipato. Attività iniziata nella sua città sino a diventarne sindaco; poi due volte presidente della Provincia di Cosenza, vicepresidente della Lega nazionale delle autonomie locali e guida di quella calabrese, consigliere regionale in carica.

Per certo, gli vanno riconosciuti tanti meriti sul piano politico e amministrativo. Acri ha vissuto le trasformazioni d’un pezzo della sinistra: dal Pci al Pd, senza tradire l’attenzione per i più deboli, propria del Partito comunista d’un tempo; mai trincerandosi in un’appartenenza, di cui pure era orgoglioso, che in Calabria significa spesso rigetto ed esclusione di bisogni e istanze altrui. Come governatore della Provincia di Cosenza, ha fondato la sua linea sulla questione morale: rispondendo all’ordinario e all’imprevedibile, delegando con sapienza, investendo coraggiosamente, destinando le risorse pubbliche con accortezza, giudizio e proiezione nel futuro; contribuendo a un’emancipazione culturale col sostegno a chiunque organizzasse momenti di approfondimento, crescita, unità sociale. In prima linea, Acri è stato sempre timoniere e politico responsabile: s’è difeso con grande senso delle istituzioni anche quando s’è visto coinvolto, innocente, nell’inchiesta “Why not?”; accusato ingiustamente da un sistema che non sopportava la sua indipendenza, la sua schiettezza, la sua libertà, il suo carisma. Lo stesso sistema, forse, che aveva tentato di impedirne l’elezione in consiglio regionale, ottenuta grazie a una condotta ineccepibile, a uno spirito di coinvolgimento, solidarietà e rispetto che ne caratterizzava la persona. Fu l’unico consigliere regionale che rispose a una mia lettera di giovane emigrato, sconfortato dall’andazzo calabrese e addolorato dalla partenza dell’intera famiglia per motivi di salute.

Ho avuto la fortuna di conoscerlo di là dallo specifico politico, nei mesi scorsi. Lunghe conversazioni telefoniche sul senso della vita e sulla comprensione degli altri. Pur nella sofferenza del corpo e dell’animo, Acri ha avuto la forza morale di parlare di sé, di testimoniare una spiritualità vera, emblematica, rinunciando alla condanna d’avversari che non considerava come tali. Ho avuto modo d’apprezzarne l’umanità, il cammino personale, lo sguardo sulla bellezza della nostra terra, segnata dalla disgregazione, dall’indifferenza, dalla paura, dall’opportunismo. Un giorno mi ha commosso al cellulare, dimostrando una religiosità alla Fabrizio De Andrè; quella dell’uomo che, interrogato se stesso, ha vinto ogni tentazione di giudicare il prossimo, di considerarsi superiore.

Per questo, ho sentito il desiderio di rubare ancora un po’ della sua saggezza, andando a trovarlo a casa. Insieme a giovani amici, davanti agli occhi di meraviglia della moglie, ha dato come un testamento politico e umano assieme. Quasi raccomandando un’altra concezione della politica, lontana da personalismi, basata sul dialogo e sul recupero della Calabria, in primo luogo etico e culturale. Come a leggere, in tutta la sua evidenza, la nuova Questione meridionale dell’estremo Sud, indicando una direzione politica non percorribile senza una meditazione su se stessi, in rapporto con l’incertezza d’un presente sempre più vuoto, finto e violento. Umile, Acri ha voluto significare, in sostanza, che è giunto il momento di ripensarsi in termini individuali e collettivi. Perché l’orizzonte della nuove generazioni non è limpido né libero, mancando la cognizione dello stato delle cose e la volontà di costruire un mondo e una Calabria migliori.

Questo, insieme alla sua partecipazione a un convegno promosso nello scorso agosto dalla docente Rosa Cusani e dal Sindacato Autonomo di Polizia, presenti Angela Napoli e Luigi De Magistris; insieme alla linearità del suo operato e all’armonia che ha saputo realizzare in famiglia e fuori di casa, è il ricordo più bello e indelebile che ho di Antonio Acri, presidente elegante e sognatore, pragmatico e idealista, resistente e sportivo. Giovedì 10 dicembre la camera ardente presso il municipio di San Giovanni in Fiore, dalle ore 18. Venerdì, alle 15, i funerali nella chiesa di San Domenico, del quartiere “Olivaro”.

Emiliano Morrone

Già su "il Crotonese" di giorno 11 dicembre 2009


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