MERCATO DEL LAVORO, ART. 18, E REPUBBLICA FONDATA SUL LAVORO

L’ART. 18 E E LA PAZZA IDEA CHE "IL LAVORO RENDE LIBERI" ("Arbeit macht frei") DALLA COSTITUZIONE. La riforma del Governo Monti è più dura di quella Berlusconi del 2002. Materiali sul tema - a c. di Federico La Sala

LA CGIL PROCLAMA LO SCIOPERO GENERALE. Mai nella storia della Cgil erano state indette 16 ore di sciopero. Il via libera a larghissima maggioranza ( 95 favorevoli, 2 contrari, 13 astenuti) del Direttivo di Corso Italia conferma la straordinarietà della situazione.
venerdì 23 marzo 2012.
 

[...] In pillole la riforma stabilisce: se il licenziamento è dovuto a ragioni discriminatorie (sesso, religione, razza ecc.) il giudice lo annulla e il lavoratore viene reintegrato. Se la causa è disciplinare e il licenziamento giudicato illegittimo, spetta al giudice stabilire se il lavoratore viene reintegrato in azienda o riceve un indennizzo (tra 15 e 27 mensilità). Il problema è il terzo caso, quello più sensibile, introdotto dalla riforma, il licenziamento economico individuale. L’azienda licenzia perché dice che non può più permettersi il lavoratore in questione o per “ragioni tecniche o organizzative”, l’interessato ricorre e vince. Il giudice, quindi, stabilisce che il licenziamento economico era illegittimo, ma secondo la riforma Fornero può solo assegnare un indennizzo. Ma questo non è logico: se la causa non era economica, allora deve trattarsi di una delle altre due ragioni, o motivi disciplinari o discriminazioni. E quindi il giudice dovrebbe poter sancire anche il reintegro. Invece non può, e questo espone la legge a rischi di costituzionalità [...]


-  Il direttivo ha deciso all’unanimità la mobilitazione. «Il governo attacca i lavoratori»
-  Il segretario: «La modifica dell’articolo 18 cambia i rapporti di forza a vantaggio delle imprese»

-  La Cgil proclama lo sciopero
-  Camusso: la partita non è chiusa

-  Il giorno dopo il «via libera» alla riforma del mercato del lavoro, la Cgil convoca il suo Direttivo. -
-  Mobilitazione di 16 ore di sciopero e campagna d’informazione a tappeto. Camusso: la partita art.18 è aperta

-  di Massimo Franchi (l’Unità, 22.03.2012)

Mai nella storia della Cgil erano state indette 16 ore di sciopero. Il via libera a larghissima maggioranza ( 95 favorevoli, 2 contrari, 13 astenuti) del Direttivo di Corso Italia conferma la straordinarietà della situazione. La riforma del lavoro firmata Monti e Fornero produce la reazione ferma della Cgil e di Susanna Camusso, una sorta di dichiarazione di battaglia a tutto campo contro l’esecutivo attuale.

Occhi stanchi, sintomo di una notte agitata, e voce più roca del solito, il segretario generale pesa le parole ma attacca a testa bassa: «Il governo scarica sui lavoratori, sui pensionati e sui pensionandi i costi delle operazioni che si vanno facendo», «non è minimamente interessato alla coesione sociale come dimostra la scelta di non concludere la trattativa».

La ricostruzione del «giorno dell’accordo separato», «della fine della concertazione», «dell’isolamento della Cgil» (come sostengono tanti commentatori) parte da una semplice constatazione di «incoerenza» delle parole di Monti: «Continua a dire che l’articolo 18 non era al centro della riforma, ma allora non si capisce perché aveva bisogno di un pronunciamento proprio su questo aspetto». La spiegazione è semplice: «Il messaggio che vuole portare in giro per l’Asia (per il tour governativo che parte sabato, ndr) è che nel nostro Paese si può licenziare liberamente».

LIBERTÀ DI LICENZIAMENTO

Sull’articolo 18 dunque non siamo davanti ad una «semplice manutenzione», ma alla «scelta di cancellare lo strumento di deterrenza verso i licenziamenti: si cambiano i rapporti di potere nei luoghi di lavoro e si mette a rischio licenziamento i lavoratori più deboli». Il messaggio al governo è preciso: «La partita non è chiusa, il Parlamento intervenga e modifichi la norma». L’invito è rivolto a «tutta la politica», e dunque non solo alla sinistra, «è di domandarsi se si può approvare una norma che cambia così profondamente le condizioni dei lavoratori». Il tema è quindi quello della «riconquista del reintegro».

L’analisi del resto della riforma è approfondita e non manca di sottolineare gli aspetti positivi. «Sulla lotta alla precarietà, al netto dell’assalto che il sistema delle imprese sta portando avanti in queste ore, i passi avanti sono importanti anche se una sola forma contrattuale sarà, forse, cancellata (il contratto di associazione in compartecipazione che rimarrà per i soli familiari, ndr).

Più negativo il commento sul capitolo ammortizzatori: «L’universalità promessa per la Cassa integrazione e per il cosiddetto Aspi non c’è» e in quest’ultimo caso la mancanza pesa di più perché «il governo che parla sempre di giovani si è totalmente dimenticato di tutti i lavoratori para-subordinati».

L’impegno preso per oggi è quello di partecipare al tavolo fissato per le 16 nella sede tecnica del ministero del Welfare di via Flavia. «Come promesso consegneremo al governo il documento messo a punto dal nostro Direttivo», annuncia Camusso. Anche se non si fanno illusioni sulla possibilità che il governo possa fare alcuna marcia indietro: «È stato Monti a dire che il testo sull’articolo 18 è blindato».

INVITO A CISL E UIL

Lo strappo di martedì ha comunque messo in discussione i rapporti con gli altri sindacati. Messe da parte le accuse con un unico accenno («è stato un gravissimo errore che Cisl e Uil abbiano interrotto un’iniziativa unitaria»), come le critiche avanzate da alcuni «ad essere fidati troppo di Bonanni», il segretario della Cgil rivolge un appello alla Cisl e alla Uil per «costruire una proposta unitaria di cambiamento che metta al riparo i lavoratori». Convinti che sia Bonanni che Angeletti sanno che anche i loro iscritti si uniranno alle proteste in difesa dell’articolo 18.

In mattinata era toccato a Fulvio Fammoni, segretario confederale il cui mandato scadrà ad aprile, proporre al Parlamentino Cgil «una forma di mobilitazione lunga ed articolata». «Non sarà ha spiegato Fammoni la fiammata che si esaurirà in un giorno che il governo ha messo in conto».

Oltre alle 16 ore di sciopero (8 per assemblee e altre otto, in un’unica giornata, con manifestazioni territoriali), anche una «petizione popolare per raccogliere milioni di firme ed iniziative specifiche con i giovani per contrastare le norme sbagliate sul precariato, l’avvio del lavoro con la Consulta giuridica per i percorsi legali (ricorsi) e una campagna nazionale «a tappeto» di informazione».

Nel lungo direttivo non sono mancate posizioni critiche. La minoranza della “Cgil che vogliamo” guidata da Gianni Rinaldini aveva presentato un testo alternativo ancora più duro contro il governo Monti. Poi si è arrivati ad un testo condiviso.


-  Fornero più a destra di B.

-  La riforma dell’art. 18 è più dura di quella Berusconi del 2002
-  Pdl, Udc e Quirinale hanno fretta di approvarla

di Stefano Feltri (il Fatto, 22.03.2012)

Il Pdl quasi non ci crede, a volte le cose vanno meglio di ogni aspettativa: non bastava il Pd spappolato, ora c’è anche un comunista con cui prendersela, Oliviero Diliberto fotografato assieme a una militante con la maglietta “Fornero al cimitero” (“Anche con Marco Biagi cominciò cosi”, ci va già duro Roberto Maroni, Lega, da Facebook). Niente di meglio per blindare la riforma del lavoro, anzi, i pareri raccolti nel confronto con le parti sociali che oggi verrà ufficialmente chiuso. Ma il presidente del Consiglio Mario Monti lo ha già detto martedì: “Sull’articolo 18 la questione è chiusa”.

IL POPOLO DELLE libertà non chiede altro. Silvio Berlusconi tace, Angelino Alfano pure. Se in Parlamento va bene il Partito democratico si spacca a sinistra, se va male riesce a modificare un po’ la riforma del lavoro irritando il governo e mandando in crisi i supermontiani tipo Enrico Letta. “Nessuno ha più diritto di veto. Andiamo avanti con decisione”, freme Maurizio Lupi, del Pdl. Per non parlare di Maurizio Sacconi, ex ministro del Welfare eterno avversario della Cgil, che dice: “Siamo forse prossimi a realizzare l’ultimo miglio, il più faticoso, delle riforme del lavoro di questi anni”.

In effetti la riforma Monti per certi aspetti è più drastica di quella tentata da Berlusconi nel 2002, con Maroni al ministero del Welfare: cambiava l’articolo 18, ma soltanto per un periodo sperimentale di quattro anni, risarcimento al posto del reintegro per i licenziamenti indebiti, tranne per quelli discriminatori, deroghe per le trasformazioni da precari a stabilizzati che restavano licenziabili.

MONTI E IL MINISTRO Elsa Fornero vanno molto oltre, questa volta la riforma è strutturale, non un esperimento. E pensare che a dicembre l’economista torinese al Corriere della Sera diceva: “Non ci sono totem e quindi invito i sindacati a fare discussioni intellettualmente oneste”. Poi correggeva: “Il mio era un invito al dialogo senza preclusioni e senza tabù, totem o sacralità intoccabili”. E invece è andata peggio di quello che i sindacati temevano a fine 2011.

“La vera motivazione di questo intervento è modificare i licenziamenti disciplinari, se un’azienda ha un dipendente che ritiene un piantagrane, oggi l’impresa non riesce a liberarsene. Ma l’evidenza dice che in Italia le imprese, quando ne hanno bisogno, licenziano eccome, nella crisi del 1993 per esempio il calo dell’occupazione fu molto netto”, spiega Fabiano Schivardi, economista dell’Università di Cagliari che su lavoce.info è stato molto critico sul luogo comune secondo cui l’articolo 18 condanna al nanismo le imprese italiane che restano sotto i 15 dipendenti.

C’è un piccolo problema, nota Schivardi, nella riforma. Un vizio logico che potrebbe essere utile gancio per il Partito democratico che ha un disperato bisogno di ottenere qualche modifica.

In pillole la riforma stabilisce: se il licenziamento è dovuto a ragioni discriminatorie (sesso, religione, razza ecc.) il giudice lo annulla e il lavoratore viene reintegrato. Se la causa è disciplinare e il licenziamento giudicato illegittimo, spetta al giudice stabilire se il lavoratore viene reintegrato in azienda o riceve un indennizzo (tra 15 e 27 mensilità). Il problema è il terzo caso, quello più sensibile, introdotto dalla riforma, il licenziamento economico individuale. L’azienda licenzia perché dice che non può più permettersi il lavoratore in questione o per “ragioni tecniche o organizzative”, l’interessato ricorre e vince. Il giudice, quindi, stabilisce che il licenziamento economico era illegittimo, ma secondo la riforma Fornero può solo assegnare un indennizzo. Ma questo non è logico: se la causa non era economica, allora deve trattarsi di una delle altre due ragioni, o motivi disciplinari o discriminazioni. E quindi il giudice dovrebbe poter sancire anche il reintegro. Invece non può, e questo espone la legge a rischi di costituzionalità.

“La riforma non puo’ essere identificata solamenteconl’articolo18”, premette Giorgio Napolitano. Il capo dello Stato, tra tutti, sembra quello più ansioso di arrivare in fretta all’approvazione in Parlamento.

Ma le tante novità positive che riguardano i precari sembrano interessare poco, sia alla Cgil che ai partiti. Fine degli stage gratuiti dopo la laurea, limite all’uso dei contratti a progetto e a termine, limite di sei mesi per usare le finte partite Iva (formalmente professionisti, di fatto dipendenti), dopo i quali l’azienda è costretta all’assunzione. I precari, elettoralmente parlando, non interessano a nessuno, soltanto Monti dice che tutte le riforme sono rivolte ai giovani.

La partita degli ammortizzatori sociali è sospesa: finché il governo non esplicita quanti soldi stanzia per il passaggio dalla cassa integrazione all’Aspi, l’Assicurazione sociale per l’impiego, resta il rebus. Si sta parlando di un aumento della protezione, di spalmare le tutele attuali o di un taglio? Mistero. Ma queste sono quisquilie, ormai. Siamo tornati a 10 anni fa, con l’articolo 18 al centro della scena politica, la Cgil pronta allo sciopero generale, la destra che predica la competizione con la Cina. Unica differenza: questa volta il Pd è nella maggioranza di governo che cancella l’articolo 18.


Sciopero generale

La Cgil all’angolo è costretta ad attaccare

di Salvatore Cannavò (il Fatto, 22.03.2012)

La Cgil è costretta a salire di nuovo sulle barricate. La determinazione di Monti a modificare strutturalmente l’articolo 18 e ad affossare la concertazione hanno lasciato il sindacato di Susanna Camus-so senza sponde. E per il momento a prevalere è il sindacato di lotta.

Dal Direttivo nazionale riunito ieri per tutta la giornata vengono fuori ben 16 ore di sciopero, 8 per le assemblee e altre otto in un’unica giornata di sciopero generale da decidere in relazione all’iter parlamentare; assemblee ovunque, una petizione per raccogliere milioni di firme, una campagna nazionale a tappeto.

La Cgil si mette pancia a terra per raggiungere un solo obiettivo, illustrato da Susanna Camusso: “La riconquista del reintegro”. Perché la riforma “colpisce i lavoratori” e il governo è interessato a inviare un solo messaggio: “In Italia si può licenziare”.

Dieci anni fa - la ricorrenza è domani, 23 marzo - lo stesso sindacato portò a Roma, al Circo Massimo, circa tre milioni di persone e il segretario di allora, Sergio Cofferati, bloccò il tentativo del governo Berlusconi - il ministro era Roberto Maroni - di modificare l’articolo 18. Quella riforma era più blanda di quella avanzata da Monti, ma oggi la Cgil non sembra avere la forza di allora anche se la rabbia per lo smacco subito è evidente. “Sull’articolo 18, continua Camusso, Monti non ha mai voluto mediare” ma questa riforma “non porterà nemmeno un posto di lavoro in più”. E dunque ci si prepara a una fase di scontro per cercare di rientrare in gioco.

MA, INSIEME al profilo di lotta, la Cgil ha anche un’anima trattativista e la prospettiva di finire all’angolo in compagnia della sola Fiom - che ieri ha definito “una follia” la cancellazione dell’articolo 18 dicendosi “pronta a tutto” - non piace a molti. Ed ecco che nello stesso direttivo delle 16 ore di sciopero si è sviluppata una accesa discussione sull’obiettivo di questo sciopero.

Difendere l’attuale norma dello Statuto dei lavoratori al grido di “l’articolo 18 non si tocca” oppure cambiare le scelte del governo e cercare di attestarsi su una formulazione almeno migliorativa di quella proposta da Monti e Fornero? Nella sua relazione, il segretario confederale Fulvio Fammoni ha proposto la seconda soluzione facendo capire che sarebbe un risultato ottenere anche per il licenziamento economico l’opzione tra reintegro e indennizzo stabilita dal giudice.

E il segretario dei Chimici, Alberto Morselli è stato più chiaro: Serve una proposta della Cgil da portare al tavolo già domani (oggi, ndr). Una proposta che risulterebbe comunque utile anche al confronto parlamentare”. La questione, alla fine, resta quella del delicatissimo rapporto con il Pd.

In conferenza stampa Camusso non ha voluto dire nulla sul partito di Bersani: “E’ già faticoso dire che cosa facciamo noi, non possiamo caricarci di cosa deve fare il Pd”. In realtà i due soggetti sono intrecciati perché Bersani ha bisogno ancora di un appiglio per cercare di difendere in Parlamento la possibilità di un “miglioramento” della riforma non tanto per convincere Monti ma per convincere il suo stesso partito.

Ma su questo punto si è scatenato un fuoco di fila di interventi contrari: la sinistra di Cremaschi e Rinaldini, naturalmente Landini, la Funzione pubblica di Rossana Dettori, la Cgil di Torino, quella emiliana, i Trasporti e in particolare la Scuola con Mimmo Pantaleo.

Alla fine Maurizio Landini e Nicola Nicolosi (della maggioranza) si vedono respingere con 30 voti a favore contro 73 un emendamento che chiede di difendere l’articolo 18 così com’è. Il documento finale viene approvato con 95 voti a favore 13 astenuti e 2 contrari (l’area di Cremaschi) un risultato comunque apprezzato dalla maggioranza che decide di investire su una mobilitazione che “ricostruisca la deterrenza” dell’articolo 18 e quindi provi a riconquistare la reintegra. Potrebbe essere il “modello tedesco” che lascia al giudice la possibilità di scegliere tra indennizzo e reintegro.

A lasciare aperta la possibilità di una trattativa ancora da completare è anche la Uil che ha tenuto ieri la sua direzione nazionale lasciando “sospeso” il giudizio sulla riforma in attesa di alcune modifiche. In particolare la possibilità per le rappresentanze sindacali di intervenire sui motivi che stanno alla base dei licenziamenti economici.

NON È la possibilità del reintegro che chiede la Cgil ma lascia spazio per una dialettica con il Parlamento. Anche Bonanni dice che il Parlamento “può migliorare” le norme e che “se il Parlamento ci chiede una mano gliela diamo”. Insomma, Cgil e Pd cercheranno di aiutarsi l’un l’altra ma non è detto che riescano a farlo. Per ora non resta che la lotta.


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