[...] I grandi sconfitti sono i partiti tradizionali. Non solo il Pdl, che ne subirà le più immediate conseguenze. Perché anche quelli che hanno vinto non sono usciti indenni (persino il Pd ha lasciato 5 punti sul campo) e perché tutti dovranno fare i conti con il forte segnale che arriva dall’astensionismo siciliano. Meno di un siciliano su due è andato a votare e Crocetta diventa governatore con il voto di circa il 15% dell’elettorato totale. Nemmeno Grillo è riuscito a incidere un blocco che ha rifiutato insieme la politica e la cosiddetta anti-politica. Anche questo dovrà far riflettere [...]
Sicilia, Crocetta nuovo governatore
Crolla il Pdl, adesso è rebus alleanze
Il Movimento 5 Stelle primo partito
Astensionismo record: alle urne
solo il 47%.
E Bersani festeggia:
“Abbiamo vinto, cose da pazzi...” *
PALERMO In Sicilia prevale per un soffio Rosario Crocetta, crolla di 20 punti il Pdl, che sosteneva Nello Musumeci, e vincono due partiti: quello del non voto e quello di Grillo. Per Palazzo d’Orleans il candidato di Pd e Udc passa però con una percentuale intorno al 31% e quindi senza una maggioranza certa a Palazzo dei Normanni che gli consenta di fare subito il governo. Ma se la vittoria del candidato dell’alleanza-laboratorio tra democratici e cetristi non è completa, è il quadro politico ad uscire fortemente segnato dal boom grillino e dell’astensionismo.
LO SCHIAFFO AI PARTITI TRADIZIONALI
Come andrà a finire la partita Crocetta lo si vedrà nei prossimi giorni: un’alleanza con Micciché, vero arbitro data l’indisponibilità di Grillo ad alleanze, appare l’unica praticabile, ma l’interessato è pronto anche a tornare alle urne («Se qualcuno mi dovesse fermare allora si va al voto e sono convinto che questa volta’ sarò eletto con il 60% dei consensi»). Si tratta in ogni caso, come dice Bersani, di «risultati storici». E lo è davvero se si pensa al cappotto 61 a 0 che subì il centrosinistra nel 2001, ma anche al tratto anti-mafia che rivendica il nuovo governatore: «Si è rotto un muro di gomma, per la prima volta è stato eletto un candidato che ha scelto come valore fondante la lotta alla mafia».
I grandi sconfitti sono i partiti tradizionali. Non solo il Pdl, che ne subirà le più immediate conseguenze. Perché anche quelli che hanno vinto non sono usciti indenni (persino il Pd ha lasciato 5 punti sul campo) e perché tutti dovranno fare i conti con il forte segnale che arriva dall’astensionismo siciliano. Meno di un siciliano su due è andato a votare e Crocetta diventa governatore con il voto di circa il 15% dell’elettorato totale. Nemmeno Grillo è riuscito a incidere un blocco che ha rifiutato insieme la politica e la cosiddetta anti-politica. Anche questo dovrà far riflettere.
LA CAVALCATA DI GRILLO
Per il Movimento 5 Stelle è stata una vittoria limpida. Cancelleri ha beneficiato del voto disgiunto e il movimento è balzato dal 2-3% del 2008 (politicamente è ormai giurassico) al 18% attuale. Soprattutto è oggi il primo partito dell’isola, in barba a vincitori (Pd) e vinti (Pdl). Quando Grillo parla di boom ha ragione da vendere. E stavolta il botto dev’essere arrivato alle orecchie di tutti.
Il radicamento nazionale dei grillini è tale, ma questo era ormai chiaro, che nessun sistema elettorale potrà sbarrargli la porta del Parlamento. Al massimo si potrebbe tentare di «contenerlo» con una riforma che però, bozza attuale alla mano, manifesta forti rischi di ingovernabilità. D’altro canto, l’attuale porcellum potrebbe portare, vista la forza in alcune zone dei grillini, ad una ingovernabilità del Senato, dove il premio è appunto regionale. E a quel punto si potrebbero aprire scenari greci, con tanto di possibile ritorno immediato alle urne. O con un ritorno della grande alleanza di cui oggi beneficia Monti.
Il premier, peraltro, dai risultati siciliani non esce sicuramente indebolito: a vincere sono partiti che mantengono saldo il loro impegno di sostenerlo; inoltre la fragilità del quadro politico generale sconsiglia colpi di testa.
IL NEOGOVERNATORE: “CON ME CAMBIA LA STORIA”
. «Oggi è cambiata la storia della Sicilia, sono riuscito nel miracolo» dice Crocetta dal suo comitato elettorale, accerchiato dalle telecamere. I cronisti gli chiedono di Raffaele Lombardo e dell’accordo che avrebbe siglato con Gianfranco Micciché per battere Musumeci. «Basta con questa storia di Lombardo», sbotta. «Mi avete rovinato la campagna elettorale, senza questa storia avrei vinto con oltre il 40%», aggiunge infastidito. «Non farò inciuci all’Assemblea regionale», ripete come un mantra a chi lo continua a incalzare con domande su Lombardo e la mancanza di una maggioranza all’Ars. «Perché mi chiedete sempre la stessa cosa, cercherò la maggioranza sui singoli provvedimenti e se non ci riuscirò chiederò il sostegno dei cittadini; tornerò al voto e vincerò con oltre il 60% di voti», continua.. «Io sono veramente rivoluzionario, non Grillo che blatera: lo volete capire o no?», alza la voce il neo-governatore, eletto con circa il 30% dei consensi». Crocetta fa il giro delle tv. È un fiume in piena: «Con me cambia la storia, ho rotto un muro di gomma, per la prima volta la Sicilia ha eletto un candidato che ha fatto dell’antimafia una scelta di vita», ripete con orgoglio. Il neopresidente della Regione, omosessuale dichiarato ed icona dell’antimafia siciliana, non scorda che gli ultimi due governatori, Totò Cuffaro e Raffaele Lombardo, hanno dovuto abbandonare in anticipo dopo essere incappati in vicende di mafia: «Come dice anche Camilleri, in Sicilia ora è entrata aria nuova e pulita».
ALFANO: SCONFITTA COLPA DEL CENTRODESTRA DIVISO
Il terzo polo, pur diviso in Sicilia tra Crocetta e Micciché, può cantare vittoria. E Casini ha tutte le ragioni per invocare la validità del laboratorio siciliano: «Da lì è arrivata un’indicazione chiara e semplice: è ineludibile il rapporto tra progressisti e moderati che mette al bando gli estremismi e i populismi ed è l’unico antidoto all’ antipolitica». Perché Grillo, argomenta, può arrivare ad un 25% nazionale e se si vuole contrastarlo servono alleanze vincenti. Il Pd, dice, eviti di ragionare per “sommatorie” perché Grillo ha «rubato» voti a Idv e Sel.
Chi è sempre più nei guai è il Pdl. Nello Musumeci è uscito sconfitto dalla prova elettorale e il partito ha perso oltre 20 punti, quasi i due terzi dei voti. Un’altra ferita in un Pdl sempre più dilaniato. Alfano non è riuscito a portare dalla sua parte i moderati in campo nazionale («Se i toni sono quelli di Berlusconi - dice oggi Casini - è ridicola ogni ipotesi di rapporto con il Pdl») e neanche nella sua Sicilia (dove il Cavaliere ha brillato per l’assenza). Il segretario però tiene duro (la colpa della sconfitta, dice, è «del centrodestra diviso») e conferma sia la data delle primarie (il 16 dicembre) sia la propria candidatura. Il rischio a questo punto è che le primarie diventino il terreno di uno scontro anche personale, quasi una sorta di ordalia, dall’esito, per la sopravvivenza del partito, difficilmente prevedibile.
ASTENSIONE BOOM E REBUS ALLEANZE
Crocetta, prima volta un ex comunista al governo della Regione, non avrà una maggioranza all’Assemblea regionale, gli mancano 7 deputati; in suo soccorso potrebbe arrivare Raffaele Lombardo, il governatore uscente, che lascia in dote, oltre al figlio Toti, 24 anni, eletto nel collegio di Catania, altri nove deputati. Insomma si profila la stessa maggioranza che ha sostenuto Lombardo per un periodo. Il dato più importante è però il boom del Movimento 5 Stelle, che diventa il primo partito nell’isola, con circa il 15%. Un risultato straordinario per Grillo ottenuto in una regione che per decenni è stata in mano alla Dc e poi agli eredi democristiani e poi ancora roccaforte di Forza Italia (e quindi del Pdl). Ma questa elezione passerà alla storia anche per il dato impressionante di astensionismo: ben il 53% degli elettori non ha votato. Di fatto il nuovo governo e l’Assemblea regionale sono stati legittimati dalla minoranza dei siciliani che si è recata alle urne, il 47%. Il nuovo governatore dovrà trovarsi la maggioranza in Assemblea potendo contare su 39 deputati su 90, compresi gli 8 eletti direttamente col listino. «Non farò inciuci, cercherò intese sui singoli provvedimenti», ha garantito a caldo Crocetta. Escludendo un allargamento a Pdl e Pid, che hanno sostenuto Musumeci, rimangono due alternative: un’alleanza con i grillini (15 deputati) che finora hanno sempre escluso accordi con i partiti oppure con i deputati eletti nelle liste di Grande Sud (5) e Pds-Mpa (10), il partito di Lombardo.
Rimane fuori dall’Assemblea, Gianfranco Micciché. Giunto quarto nella corsa alla Presidenza della Regione (ha avuto il 15,5%) e dietro a Giancarlo Cancelleri del Cinque Stelle, il leader di Grande Sud come capolista nel collegio di Palermo ha ottenuto meno voti rispetto ai due candidati eletti, Edy Tamajo e Riccardo Savona. Fuori per la seconda volta consecutiva da Palazzo dei Normanni Idv e la lista di sinistra (Sel, Fds e Verdi) che non hanno superato lo sbarramento del 5% e che hanno sostenuto Giovanna Marano (6%), subentrata in corsa a Claudio Fava, incappato nell’errore procedurale che lo ha costretto a rinunciare alla candidatura. A bocca asciutta anche Fli, che non avrà alcun deputato.
* La Stampa, 29/10/2012
SUL TEMA, IN GENERALE, SI CFR.:
DEMOCRAZIA "REALE": CHE COSA SIGNIFICA? CHE COSA E’? Alcuni chiarimenti, con approfondimenti
Rinnovamento e dispotismo
di Michele Ciliberto (l’Unità, 3.11.2012)
«Quando si sbaglia nell’analisi, si sbaglia anche nell’orientamento politico», era solito raccomandare un autorevole politico italiano, ed è opportuno seguire questo suggerimento anche di fronte ai risultati delle elezioni siciliane e al successo del movimento 5 Stelle.
Cosa significa questo successo, cosa indica, di quali bisogni e richieste è effetto ed espressione?
Credo che esso sia un effetto della lunga crisi della democrazia italiana; da questo punto di vista non è sorprendente. In forme nuove, e con nuovi strumenti a cominciare dall’uso intelligente e spregiudicato della Rete esso sta riuscendo ad intercettare, e a dare voce, alla richiesta, diventata sempre più forte nel nostro Paese, di un profondo e radicale cambiamento della vita politica italiana. Una esigenza, acuitasi nel vivo della crisi sociale, e diventata impetuosa e incontenibile di fronte alla stagnazione e, per certi versi, alla decomposizione del sistema politico e dei partiti della seconda Repubblica, imperniato su una legge elettorale sciagurata, di cui non si misurerà mai a sufficienza il male che ha fatto alla nostra democrazia.
In questo senso il movimento di Grillo interpreta, e dà voce, a esigenze obiettive, reali, come il voto siciliano conferma: esprime i bisogni, e anche il violento risentimento dei «governati» che si contrappongono frontalmente ai «governanti» e alle modalità duramente e strettamente corporative della politica che essi incarnano.
Nasce, in sintesi, da una vera e propria crisi di legittimità della rappresentanza, a tutti i livelli, a cominciare da quella parlamentare. Certo, in questi ultimi mesi, il movimento si è giovato di un forte sostegno sia di parte della stampa che della televisione; ma sarebbe sbagliato non capire che i recenti successi hanno un lungo lavoro alle spalle. Così come sarebbe sciocco ridurlo in stereotipi reazionari, perfino di tipo fascista.
Il problema, assai grave ed inquietante, è un altro: ammodernato attraverso la Rete, il movimento 5 Stelle affonda le radici nella ideologia, anzi nella mitologia, della «democrazia diretta», e come tutti i movimenti di questo tipo sfocia in posizioni dispotiche e populistiche. Se non ce l’avessero spiegato i classici, basterebbe l’esperienza politica degli ultimi due secoli a mostrarci quanto sia profondo il nesso tra democrazia diretta e dispotismo.
Le dichiarazioni di Grillo sulla sua funzione di capo, le aperture a Di Pietro, il lessico maschilista che usa (e che si sta diffondendo, in modo riprovevole, anche fuori del suo movimento), la ricerca di performances sportive, il disprezzo verso i seguaci che non seguono il Verbo, sono capitoli di un libro conosciuto, assai noto. Altro che novità: se avrà successo, il movimento di Grillo, acutizzerà la crisi della democrazia italiana, e lo farà ed è questo il punto più grave dall’«interno» della democrazia stessa, muovendosi sul terreno democratico.
Ma se questa analisi è giusta, per le forze del cambiamento è necessario oggi porre al centro anzitutto la questione della democrazia, mettendo in campo tutte le trasformazioni e le novità necessarie per ristabilire un circuito di comunicazione tra «governanti» e «governati». È qui, lo dico senza enfasi, che si giocano il futuro e il destino della nostra Nazione.
È perciò assai apprezzabile l’insistenza con cui il segretario del Pd ha voluto che si tenessero le primarie, anche rinunciando a una rendita di posizione. Con tutti i loro rischi, e i loro limiti, sono uno strumento opportuno, in un momento così grave di crisi della rappresentanza, che tocca in modo diretto il nodo cruciale della stessa legittimità democratica. È solo in questo modo che si può cominciare a tagliare le radici di movimenti come quelli di Grillo e a spezzare il consenso che cresce intorno a loro, fino ad assorbire personaggi come Di Pietro, avviando, nel campo populista, un processo di semplificazione da non sottovalutare, per gli effetti che può avere sulla riorganizzazione del sistema politico italiano.
Ma, certo, le primarie non bastano, non possono bastare. Quella che appare sempre più chiara, e a questo fine le scadenze di questi mesi possono essere importanti, è la necessita di cominciare a mettere all’ordine del giorno, muovendo dalle esperienze in atto, la costruzione di un partito in grado di motivare, e organizzare in forme nuove, tutte le forze, tutte le energie, le aspirazioni, i bisogni di coloro che si riconoscono negli ideali dell’eguaglianza, della giustizia sociale, della libertà, superando antiche barriere e vecchi steccati. Sulle forze riformatrici italiane è pesata, a lungo, la maledizione della divisione, della contrapposizione, delle lotte intestine.
Oggi si può finalmente cambiare, aprire una pagina nuova: ce ne sono le basi, le condizioni. L’Italia è attraversata da un profondo bisogno di rinnovamento, da una fortissima esigenza di liberarsi da un passato pesante, dalla voglia di ricostituire l’orizzonte del futuro, uscendo, finalmente, da una stasi che umilia le migliori energie di un grande Paese. Pane per i denti di un moderno partito riformatore che voglia, e sappia, svolgere la sua funzione nazionale, dando voce a chi tace ma vuole parlare e farsi sentire; e che, se non trova interlocutori, o si chiude nel silenzio oppure si affida alle sirene del potere diretto, senza mediazioni, dispotico.
Se si vogliono ricostituire le basi della nostra democrazia, ridarle forza e legittimità, è anche di qui che bisogna passare.
“M5S e Idv arrivano al 25-30%”
Opinione comune tra i sondaggisti: “Crescono a ogni errore degli altri
di Carlo Tecce (il Fatto, 03.11.2012)
Renato Mannheimer (Ispo) non è grillino.È un sondaggista, docente di analisi dell’opinione pubblica, che diffonde le sue rilevazioni a Porta a Porta e sul Corriere della Sera. È lui, proprio Mannheimer, che non fissa limiti: “Dove arriva il Movimento Cinque Stelle? Corre, corre fortissimo. Non può essere fermato, più sbagliano i partiti e più guadagna. Adesso è oltre il 20 per cento, con l’Italia dei Valori andrebbe al 25 almeno e il 30 - più o meno nei paraggi del Pd - non è un’illusione ottica”. Un po’ di pessimismo, professore: “Non potrei nemmeno dire, ecco, Beppe Grillo sbaglia con questa dichiarazione, distrugge con questa iniziativa, s’immobilizza con questa investitura: no, non posso dirlo”. E perché? Cos’è che la trattiene? “Una realtà in continuo movimento. L’autolesionismo dei partiti classici, a parte il Pd che regge bene il confronto interno. Gli elettori del Movimento sono giovani, istruiti, seguaci: non andranno via, non presto. La sorpresa, che ormai sorpresa non è, sarà certamente il M5S”.
In tempi non sospetti, ad agosto, Roberto Weber (Swg) ammoniva Pier Luigi Bersani: “Il Pd aspetti a cantare vittoria. La grande incognita è Beppe Grillo”. Weber, come se la passa l’incognita? “Una bellezza. Io calcolo una crescita di 0,75 al mese, e quanti ne mancano al voto? ”. Circa cinque. “Perfetto. Adesso siamo al 23, ci teniamo bassi? ”. Il giusto. “Ottimo. Oggi siamo al 27”. E domani? “Tanto, tantissimo. Il 30 non è un utopia”. E cos’è? “Le conseguenze di un disastro. I partiti che sommano errori a errori”. Pesiamo l’Italia dei Valori e Antonio Di Pietro. “Questo no, non mi interessa”. E perché? “Non aggiunge e non toglie nulla. Il M5S è autonomo. Tutti i flussi spiegano che l’Idv ha già donato abbastanza al Movimento. C’è un residuo di quattro o cinque punti che conserva Di Pietro, ma sono assolutamente marginali per chi va fortissimo e straripa ovunque”.
Nicola Piepoli risponde da Parigi: “Qui s’intercetta il futuro”. Professore, lo può rubare e impiantarlo in Italia? “Ce l’abbiamo il futuro. E lei l’avrà saputo”. Ci stupisca. “Il Movimento Cinque Stelle è un fenomeno incredibile. Io l’ammetto: mi sono sbagliato”. Apprezzata la sincerità, racconti. “Sì, allora. Comincio dal voto siciliano. Un attimo prima, il mio istituto dava il M5S tra il 15 e il 16 per cento”. Ci ha beccato, quasi. “Ma stiamo parlando di Sicilia, non si rende conto? Grillo è andato lì a nuoto. Ha riempito le piazze, ha sfidato i palazzi. Ed è riuscito a sfondare in un’isola difficile, ora lo vedo già superare la boa del 20”. Benedice il matrimonio con Di Pietro? “Perché mi chiede il permesso? ”. Non si preoccupi, un parere basta: “No, non capisce. Volevo dire che Grillo può fare qualsiasi cosa. Può inventarsi alleanze con chiunque, l’importante che non siano uomini e donne che ricordano la Casta. Lei forse l’avrà saputo, ma oltre il M5S c’è tanta nebbia. A Parigi, però, c’è un clima molto piacevole”.
E il cardinale attacca Crocetta «Non faccia il pm antimafia»
di Massimo Giannetti (il manifesto, 1 novembre 2012)
«In queste ore ho sentito sbandierare che ora c’è un antimafia a presidente della Regione. Ma il presidente della Regione non è il procuratore antimafia, quello lo deve fare il procuratore antimafia, mentre il presidente della Regione se vuole combattere la mafia deve far funzionare gli uffici della Regione. Perchè se non funzionano c’è sempre chi, corrompendo, li farà funzionare come vuole lui». C’è sempre un filo di ambiguità negli interventi color porpora del cardinale di Palermo, Paolo Romeo. Ieri, dalle trombe di Radio Vaticana è partito a testa bassa contro Rosario Crocetta, neoeletto a governatore della Sicilia, lasciando intendere quasi quasi l’incompatibilità tra la funzione di presidente della regione e quello e della lotta alla mafia. Parole appunto ambigue che lasciano presagire un atteggiamento ostile delle alte gerarchie ecclesiastiche nei confronti dell’ex sindaco antimafia di Gela.
Che Romeo stia già rimpiangendo i due passati governi regionali, quello di Totò Cuffaro e quello di Raffaele Lombardo, entrambi dimessi anticipatamente da pesanti inchieste per fatti di mafia? Certamente non è questo il sentimento del cardinale, il quale però di sicuro non disdegnerebbe un grande inciucio per la governabilità della Sicilia, visto che Crocetta non ha una maggioranza autosufficiente all’Assemblea regionale: «Ora noi, qui in Sicilia - ha aggiunto sua eminenza - saremo governati da chi è andato al governo col 10% dell’elettorato. Ora in un momento di crisi così grave credo che sia impensabile poter governare col 10%, perché si ha bisogno di una partecipazione ampia. Oggi sempre più quando c’è da spartire, tutti sono disponibili ma quando c’è da fare dei sacrifici tutti si chiamano fuori. Ma se tutti non facciamo dei sacrifici la realtà della quale ci lamentiamo non cambierà mai».
La replica di Crocetta, sostenuto da una coalizione Pd e Udc, non si è fatta attendere, ma da cattolico praticante quale è, benché omosessule dichiarato - - fosse questo il vero motivo delle ostilità vaticane nei suoi confronti? - ha risposto al cardinale con fin troppa pacatezza: «Le parole di Romeo sono al centro del mio programma per realizzare in Sicilia quella che ritengo la rivoluzione della dignità e che consiste innanzi tutto nella lotta agli sprechi e alle ingiustizie sociali. Su queste questioni, interverremo fin dal primo giorno della mia proclamazione».
Intanto, a proposito delle difficoltà sulla governabilità che Crocetta si troverà effettivamente davanti dopo la procamazione a governatore, che potrebbe avvenire la prossima settimana, la folla di "volenterosi" si allarga sempre di più. Ieri, dopo quella di Gianfranco Micciche, «pronto a dare una mano a Crocetta per il bene comuneld ella Sicilia», è arrivata anche l’offerta di «collaborazione» di Francesco Cascio, presidente uscente dell’Assemblea regionale, capolista del Pdl alle recenti elezioni, in guerra aperta proprio contro il suo ex compagno di partito Micchichè, ora leadere di Grande sud, arrivato quarto nella sfida per la presidenza. Cascio propone a Crocetta un governo di «responsabilità regionale, ma la proposta dovrà arrivare da lui», dice con toni che vorrebbero sembrare minacciosi: «Se Crocetta si alleasse con Micchiché e Lombardo, diventeremmo tutti grillini...».
Dal fronte del Movimento 5 Stelle, dopo tiepide aperture del terzo classificato Giancarlo Cancelleri
«Il dialogo è aperto ma Crocetta deve avere la capacità di sedurci» - la linea ufficiale la darà Beppe Grillo, che potrebbe tornare di nuovo il Sicilia il 10 novembre prossimo per una kermesse di «ringraziamento» ai siciliani nell’Autodromo di Pergusa, in provincia di Enna, città di Cancelleri.
C’è bisogno di coraggio quando in gioco è il Paese
di Pietro Spataro (l’Unità, 31.10.2012
DALLA SICILIA ARRIVA UN BASTIMENTO CARICO DI MESSAGGI. BISOGNA LEGGERLI con attenzione per trarne le indicazioni giuste e per cogliere, oltre alle incognite, anche le possibilità che si aprono per evitare che l’Italia diventi un «clone greco». La vittoria (anche se di misura) di Rosario Crocetta è un fatto straordinario e ci dice due cose. La prima: scegliendo le persone giuste e le alleanze adeguate si possono combattere anche battaglie che sembrano impossibili.
Se una regione, dove la mafia è ancora un osso duro, ha il coraggio di affidarsi a un uomo che ha fatto della guerra contro i boss il centro della sua storia politica, vuol dire che ci sono, anche nelle zone più a rischio, gli anticorpi per resistere al declino. La seconda: il centrodestra perde pezzi consistenti del suo blocco sociale che aveva, proprio nell’isola, la sua cassaforte principale e non riesce più a contenere uno smottamento ormai catastrofico. Queste tendenze che, diciamo la verità, erano abbastanza imprevedibili nella loro effettiva dimensione possono favorire nuovi scenari. C’è una possibilità, da coltivare con coraggiosa ostinazione, che l’Italia riprenda il cammino, scansi gli scogli della frammentazione e dell’assuefazione e ricostruisca una normalità politica e sociale che le manca da almeno un ventennio.
In Sicilia un’alleanza tra progressisti e moderati ha avuto già il suo effetto: Crocetta è governatore grazie al patto tra il Pd di Bersani e l’Udc di Casini. Tutti e due hanno avuto il coraggio di rompere vecchi schemi, di superare antiche divisioni e di uscire dal groviglio di questioni locali che spesso legano le mani e rendono complicate anche le soluzioni più semplici. Si era scritto, prima che chiudessero le urne, che il voto siciliano avrebbe avuto un rilievo nazionale e che su quel risultato si sarebbe messa alla prova anche la consistenza del rapporto tra il Pd e le forze di centro. Il segnale che arriva è positivo. C’è però un anello mancante: la scelta di Sel di chiudersi nel recinto di un patto minoritario con l’Idv, andando in controtendenza rispetto alle scelte compiute a Roma, ha privato l’alleanza per Crocetta di un pezzo importante e non gli ha consentito, con tutta probabilità, di avere una maggioranza autosufficiente. È il segno che il settarismo un po’ movimentista non crea consenso, ma lascia a Grillo più spazio di quanto già non ne abbia.
La questione che ora si apre è questa: è possibile costruire un ponte che colleghi politicamente il Pd e Sel con l’Udc? Che consenta di costruire un’alleanza di governo forte e affidabile? Non possiamo nasconderci i problemi che rendono non facile questa impresa: sia da parte di Casini che di Vendola, anche se oggi con toni meno ultimativi di una settimana fa, restano dissidi non di poco conto. E il giudizio su Monti è uno dei temi di divisione: per l’uno un’esperienza da valorizzare, per l’altro da dimenticare. Ma non c’è dubbio che il voto siciliano, con le speranze che accende, può aiutare a superare queste divaricazioni perché illumina la scena dell’Italia. Il pericolo che dal voto del 2013 esca un Paese ancor più frammentato, con un astensionismo preoccupante e Grillo in avanzata, è forte. La possibilità che si piombi in una situazione di ingovernabilità è alta, con il rischio che l’eccezione dei tecnici diventi una drammatica normalità. È come se fossimo davanti a un bivio: lasciare che le cose vadano inesorabilmente nella direzione sbagliata o mettersi in gioco per dare agli italiani la possibilità di voltare pagina.
Per scrivere una nuova storia, in certi momenti, c’è bisogno dell’ottimismo della volontà. Ma anche di una carica di innovazione politica e programmatica che sappia riattivare quella connessione sentimentale con il popolo che rende autorevole un partito o una coalizione di governo e che sia in grado di ricostruire quello spirito di comunità che negli anni del berlusconismo è stato frantumato. Le basi per discutere ci sono: la carta di intenti, che tutti i candidati alle primarie del centrosinistra hanno firmato, è già una traccia significativa sulla quale non è difficile immaginare un confronto proficuo con le forze di centro. Ora però, come ha fatto il Pd aprendosi alle primarie, anche i moderati devono accettare la sfida dell’innovazione presentando agli italiani una nuova offerta politica utile alla ricostruzione del Paese. Questo è un tempo difficile. Ed è un tempo che ha bisogno di uomini che costruiscano ponti piuttosto che recinti, che curino l’interesse generale piuttosto che l’orgoglio di partito. D’altra parte, un leader si vede dal coraggio.
Compagni di Beppe
di Massimo Gramellini (La Stampa, 31.10.2012)
La stragrande maggioranza degli elettori di Grillo proviene dai partiti di centrosinistra. L’analisi dell’Istituto Cattaneo sui flussi del voto siciliano smonta un luogo comune. Ad accendere le Cinque Stelle non è il popolo deluso da Berlusconi, che in Sicilia si è astenuto in massa. Sono il lettore del «Fatto», lo spettatore di Santoro, il progressista stremato dai ghirigori della nomenclatura rossa e rosé, in particolare da quella del Pd, che in cinque anni è passato da 505 mila a 257 mila voti: un trionfo davvero storico.
Chiunque si sia preso la briga di togliere l’audio all’ugola di Grillo per leggerne i programmi, si sarà imbattuto in parole come «ambiente», «moralità della politica», «scuola pubblica», «bene comune». Il vocabolario del perfetto democratico. Gli stessi attivisti del movimento, che detestano essere chiamati «grillini», detestano forse ancora di più passare per conservatori, liberali o populisti, le tre tribù (le prime due largamente minoritarie) accampate da vent’anni intorno al totem berlusconiano.
Il voto siciliano racconta un’Italia nauseata che vorrebbe sfasciare i vecchi partiti, ma non è altrettanto d’accordo nella scelta del rottamatore. Il nauseato di sinistra preferisce Grillo. Il nauseato di destra, temo, la Santanché. Mentre l’avvocato, il dentista, il piccolo artigiano che hanno votato Berlusconi o Bossi turandosi il naso, adesso se lo sturerebbero volentieri per votare Renzi. Se solo si candidasse alle primarie giuste.
Un grido di rabbia ma non basta
di Antonio Padellaro (il Fatto, 30.10.2012)
Le elezioni siciliane hanno confermato ciò che tutti sanno ma che molti non vogliono capire. Primo: ormai è certificato che la popolarità dei partiti e dei loro leader è ai minimi storici. Come hanno fatto domenica più della metà dei siciliani è possibile che più della metà degli italiani, o giù di lì, il giorno del voto nazionale (ad aprile o forse prima) preferisca restare a casa. Secondo: questo rifiuto, che contraddice mezzo secolo di convinta partecipazione elettorale di massa, non nasce dal vento qualunquista dell’antipolitica, come ci ripetono ogni giorno i gran visir di palazzo, che appunto stando nel palazzo si ostinano a recitare litanie ammuffite a cui neppure loro credono più.
Se costoro ogni tanto osassero salire su un bus o andare al mercato, si renderebbero conto che la stragrande maggioranza degli italiani ne ha piene le tasche di dover versare i propri sudati soldi a un sistema fiscale tra i più esosi e iniqui per poi apprendere di aver finanziato la casta ladra dei Fiorito e gli apparati famelici della politica intesa come strumento di tornaconto personale. In Sicilia un grido di protesta così forte e rabbioso non si era mai sentito prima.
Ma attenzione: da solo rischia di perdersi nel deserto. Una volta assorbito il colpo, infatti, il sistema dei partiti con il 40 per cento (o fosse anche il dieci) potrà tranquillamente spartirsi l’istituzione regionale con annessa torta pubblica.
Gli assenti, insomma, hanno sempre torto e la partita della democrazia è troppo importante per essere liquidata con un rifiuto o un’invettiva. Lo ha dimostrato il Movimento 5 Stelle del tanto vituperato Grillo, che ha mostrato molto più rispetto delle regole democratiche di tanti capi e capetti partitici, candidando facce veramente nuove, affrontando le piazze, mettendosi in gioco.
L’altra buona notizia è l’elezione del pd Rosario Crocetta a Palazzo dei Normanni. Vedremo come saprà governare un’isola depredata dai predecessori. Ma con lui - nonostante certi alleati - vince un sincero, collaudato uomo della lotta alla mafia. E non è poco.
Vince Crocetta sulle macerie
Boom di Grillo al 18%. Astensione al 52%. Il vincitore: in Sicilia cambierà tutto
O si cambia o si muore
di Claudio Sardo (l’Unità, 30.10.2012)
È UNA VITTORIA STORICA PER LA SINISTRA SICILIANA. Un successo mai neppure sfiorato dal Pd o dall’Ulivo negli anni di Berlusconi. Eppure non c’è da esultare. Più della metà degli elettori ha disertato le urne. Quello di Grillo è diventato il primo partito. L’esplosione del centrodestra non ha portato consensi al centrosinistra. La crisi politica unita a quella sociale spinge al ribellismo anziché alla ricostruzione. Lo scenario è pieno di macerie.
E Rosario Crocetta, segno di rottura e di legalità, non dispone di una maggioranza precostituita che gli assicuri una navigazione sicura. Sarà un’impresa difficile. L’allarme è già suonato. La sfiducia verso i partiti rischia di diventare sfiducia nella democrazia. È suonato l’allarme anche per il Pd, il solo «partito» rimasto in campo.
Non c’è più tempo. Il cambiamento va messo in campo ora. Non ci sono tatticismi che tengano. Vale per Crocetta, che deve costruire il suo governo con coraggio, sfidando l’Assemblea regionale. Vale per Bersani, che deve prendere il testimone di Monti dimostrando che i tecnici non sono stati una parentesi, ma neppure sono una condanna.
In Sicilia ha vinto un’alleanza di progressisti e moderati. È l’orizzonte di una riscossa civica, costituzionale, sociale. Ma serve ancora apertura, umiltà, rinnovamento. Guai a chiudere le porte. Bisogna includere per dare speranza, per progettare sviluppo. Chi a sinistra pensava di trarre una rendita di posizione dalla protesta è stato sconfitto. Il ribellismo è carburante solo per Grillo. Chi non si mette in gioco e non è disposto a rischiare, ha già perso.
l’Unità 30.10.12 La crisi è profonda: basterà una maggioranza relativa?
di Emanuele Macaluso
Il voto rispecchia la crisi politica e sociale in Sicilia. Ma è un segnale per il Sud e il Paese. L’astensionismo è il dato inquietante: cittadini che non volevano più votare per i partiti tradizionali, né dare un voto protestatario a Grillo. Il quale, però, ha raccolto una gran parte degli indignatos siciliani. Il fatto che in questo marasma, la coalizione Pd-Udc abbia parzialmente e significativamente retto, è un altro segnale per la sinistra e per il centro.
In questo dopoguerra la Sicilia ha conosciuto momenti in cui i movimenti contestavano e si contrapponevano ai grandi partiti nazionali impegnati a dare al Paese la Repubblica e la Costituzione.
Dopo lo sbarco alleato del luglio del 1943 in Sicilia si manifestò un forte movimento separatista, soprattutto nelle grandi città Palermo, Catania e Messina che coinvolse il ceto medio urbano tanti giovani di destra e di sinistra.
La costruzione dei partiti nazionali e dei sindacati fu faticosa, soprattutto per quelli di sinistra; la Dc aveva radici nel Partito popolare di Sturzo e godette dell’impegno di gran parte del clero. Dopo il separatismo arrivò l’ondata monarchica insieme al movimento dell’Uomo Qualunque che ottennero un grande successo nel referendum istituzionale, nelle elezioni per la Costituente del 1946, nelle amministrative: governarono le città di Palermo e Catania e altri copoluoghi. Fu il grande movimento contadino, proprio nel 1946-47 e il grande impegno politico e organizzativo del Pci e del Psi, uniti nel Blocco del Popolo, ad affermare la forte presenza della sinistra, nelle prime elezioni regionali del 1947.
La risposta della destra agraria e della mafia fu la strage di Portella delle Ginestre. Con le elezioni del 1948, le forze conservatrici si radunarono nella Dc e i movimenti separatisti, monarchici e qualunquisti verranno assorbiti dal partito di De Gasperi. La Sicilia per 7 anni (48-55) fu governata dai governi di centrodestra presieduti da Franco Restivo, uomo colto e abile della conservazione siciliana.
Ma la sinistra resse e resse bene, organizzando un blocco sociale e politico alternativo alla Dc. E quando a Roma entra in crisi il centrismo degasperiano, a Palermo entra in crisi il centradestra restiviano (1955) e si apre una fase di lotte politiche che provocheranno una scissione nel blocco sociale conservatore e nella Dc, con un movimento popolare guidato da un democristiano sturziano, Silvio Milazzo.
Il movimento milazziano, nel quale confluisce la piccola e media impresa siciliana, grazie all’iniziativa del Pci, mosse verso sinistra. E anche se non resse all’urto dei grandi poteri nazionali e siciliani, facilitò l’avvento anticipato del centrosinistra (1961). Il quale dopo un inizio positivo, si consumò in una gestione clientelare della Regione, con una espansione della burocrazia e della spesa pubblica improduttiva che ha alimentato un sistema di potere inquinato dalla mafia.
Un sistema che alla fine degli anni Settanta entra in crisi anche perché nella Dc e nella società c’è un sommovimento che trova un riferimento nella svolta impressa da Moro sul piano nazionale. Sono gli anni di Piersanti Mattarella, dei suoi tentativi di intesa con il Pci, del mutamento di clima che si respira anche nel Palazzo di Giustizia dove operano magistrati che si chiamano Costa, Chinnici, Terranova e poi i giovani Falcone, Borsellino e altri.
Sono gli anni in cui imperversa il terrorismo mafioso che massacrerà quei magistrati, Mattarella, La Torre, Dalla Chiesa e tanti altri servitori dello Stato. E in questo clima rovente nasce il movimento della «Primavera» di Palermo che mette in crisi la Dc e in giuoco il Pci. Un movimento che ha come leader Leoluca Orlando, il quale, però, tende a personalizzarlo e a dargli un carattere giustizialista, a cui si associò il Pci entrando così nel cono d’ombra dell’orlandismo.
E ancora una volta si manifesta un movimento che appare travolgente negli anni del collasso di Dc e Psi. Il movimento dei sindaci in Sicilia mieteva successi impensabili: la sinistra in quell’onda vinse a Palermo, Catania, Messina e in tutti gli altri capoluoghi, mentre i partiti decadevano. Orlando a Palermo ottenne nel 1993 più del 70%. Ma, un anno dopo, nel 1994 il movimento berlusconiano di Miccichè, Dell’Utri e soci ottenne 61 seggi e zero la sinistra.
E, ancora una volta, pochi mesi fa Orlando ottenne a Palermo più del 70%, ma ora il suo partito personale è sparito. Mentre scrivo sembra certa che la coalizione Pd-Udc guidato da Crocetta avrà la maggioranza relativa. Ma come sarà governata, se sarà governata, la Sicilia, dove i problemi aperti appaiono insolvibili? Chi avrà la forza di riformare radicalmente una Regione dove il bilancio non copre le spese dei dipendenti, dei consulenti e dei clienti?
Il partito più forte in Sicilia non è un partito, è un movimento di sola protesta e tale resterà. La destra consuma una crisi irreversibile, i partiti «locali» di Lombardo e Miccichè appaiono residuati di un tempo che non c’è più. La sinistra è debole e di incerta costituzione. Il centro dell’Udc è un insieme di ex Dc senza una chiara identità. Il mio non è un pessimismo cieco.
Guardo la realtà, sperando che si radunino attorno al centrosinistra forze sociali e culturali che guardino con preoccupazione questa realtà e mettano mano a una ricostruzione che dia dignità alla politica e senso ai partiti. Se non ci sarà questa consapevolezza, la crisi siciliana, intrecciata con quella del Paese, può assumere caratteri imprevedibili. Riflettiamo tutti, anche a Roma.
POLITICHE 2013/ Pd e Udc vicini. Grillo fa il politico. Il Pdl è morto. Ma dov’è la legge elettorale?
di Antonio Acerbis *
La strada verso Palazzo Chigi è entrata nel vivo. Siamo ad un primo, importante giro di boa: quanto emerso dalle regionali in Sicilia non può lasciare indifferenti, né può essere inteso come semplice questione localistica. Dietro c’è molto altro. La stessa vittoria di Rosario Crocetta segna un decisivo passo in avanti nell’alleanza Pd-Udc; di contro la disfatta di Nello Musumeci è l’ulteriore segnale di allarme di un partito - il Pdl - che, martoriato da scandali, litigi interni e lotte per il potere, ormai non esiste più se non per i fidi pasdaran di Silvio Berlusconi. Infine il Movimento 5 Stelle: a suon di boom le porte di Montecitorio si stanno pian piano spalancando. E Grillo lo sa. Ecco perchè, non a caso, proprio ieri l’ex comico ha pubblico un importante comunicato politico. Ma la questione resta sempre la stessa: che fine ha fatto la tanto chiacchierata legge elettorale?
PD-UDC. IL CONNUBIO SI AVVICINA. MA TUTTO DIPENDERÀ DALLE PRIMARIE - Su tutte una è la dichiarazione chiave del post-elezioni siciliane. “Sicilia. L’alleanza tra Pd e Udc è vincente. Meditate, gente, meditate”. A scrivere questa nota è stato il democratico Marco Follini su twitter. Una frase inequivocabile. La vittoria di Crocetta, insomma, sarebbe la prova della forza di una coalizione Pd-Udc. Come se non bastasse anche lo stesso Bersani ha immediatamente parlato di una “vittoria storica”. Ecco perché, dunque, la vittoria dell’ex europarlamentare rappresenta un successo che, in qualche modo, travalica i confini insulari. Insomma, Partito Democratico e Unione di Centro ora scaldano i motori per rafforzare la propria alleanza in vista delle politiche. Ovvio, la strada è ancora lunga. Ma non bisogna dimenticare che questo siciliano sarà uno degli ultimi test prima di aprile.
L’unico problema che potrebbe fare da intralcio al connubio si chiama “primarie”. Se infatti - com’è probabile stando ai sondaggi - dovesse vincere Pierluigi Bersani, tutto andrebbe liscio per Pierferdinando Casini (che, peraltro, ha già detto di no ad una qualsiasi possibile alleanza con il Pdl). Le cose potrebbero andare in maniera differente nel caso in cui a vincere fossero Matteo Renzi o Nichi Vendola. Il primo, infatti, sembrerebbe non aver chiuso né all’ala moderata né alle forze di sinistra (Idv in primis). Probabilmente un modo per non schierarsi e per evitare di perdere voti nella corsa a candidato premier. Il secondo, invece, difficilmente potrebbe digerire un’alleanza con Casini e ha già ribadito più volte di non voler chiudere a Di Pietro (come d’altronde è stato anche in Sicilia con Giovanna Marano), anche se - non è un mistero - il vertice di Sel (formato in gran parte da ex di Rifondazione) spingerà affinchè il partito entri comunque nella coalizione (a prescindere dalla presenza dei moderati o dall’assenza di Idv) nella speranza di un posto in Paradiso dopo essere stati sbattuti fuori dal Parlamento alle scorse politiche.
PDL. IL PARTITO NON È PIÙ. L’AGONIA CONTINUA POTREBBE APRIRE LE PORTE A NUOVE FORZE - L’ennesima sconfitta del Pdl non ammette giustificazioni. Anche Nello Musumeci in Sicilia è miseramente caduto. A nulla servono le parole post-elezioni di Angelino Alfano, secondo cui il centrodestra avrebbe perso soltanto perché andato diviso alle urne (Gianfranco Miccichè ha scelto di correre da solo sostenuto da Fli e Mpa). Una giustificazione che non regge. Lo sanno bene gli altri pasdaran del Pdl: Fabrizio Cicchitto, Daniela Santanchè, Denis Verdini. Tutti decisi a spodestare il segretario Alfano. Il clima all’interno del partito è decisamente teso. Il terrore che i magri risultati riportati da un anno a questa parte possano ripetersi anche alle politiche, è decisamente forte. Ecco perché, in via ufficiosa e sottobanco, non sono pochi i pidiellini che stanno pensando a riorganizzarsi, non scartando affatto l’idea di far nascere una nuova forza politica. E così, se da una parte abbiamo i “conservatori” che vorrebbero ritrovare lo spirito originario del Pdl, se ci sono giovani amministratori e sindaci che chiedono a gran voce una radicale renovatio, dall’altra l’esercito degli ex An sta seriamente pensando ad una nuova scissione, un nuovo partito che possa recuperare l’elettorato più marcatamente di destra. Di fronte a questo marasma, Alfano sembra non scomporsi e ieri, proprio commentando l’ennesima Caporetto del suo partito, ha lanciato la propria candidatura alle primarie.
La strada, dunque, rimane decisamente in salita. Il Pdl ha perso ogni credibilità: ha fallito come forza di governo, ha fallito in varie giunte regionali, è stata devastata da scandali per tutto lo stivale, il suo presidente è stato colpito da una condanna per quattro anni. Un’agonia continua. Silvio Berlusconi, d’altronde, l’ha capito subito: c’è anche una scelta politica nella sua decisione di ritirare la propria candidatura a premier. Un partito così martoriato non potrebbe rinascere nemmeno contando sulla forza mediatica del Cavaliere.
GRILLO NON PERDE TEMPO. DOPO IL BOOM SICILIANO ECCO IL COMUNICATO: “IO SONO IL CAPO POLITICO”. INCANDIDABILI I DISSIDENTI, A COMINCIARE DA FAVIA - Il risultato siciliano riportato dal M5S è stupefacente, in linea con quanto rivelato in questi giorni dai sondaggi: il movimento di Grillo è addirittura il primo partito in tutta l’isola superando di un punto percentuale il Pd e addirittura di due il Pdl. Insomma una vera e propria vittoria per i grillini siciliani. Grillo questo lo sa bene: è conscio del travolgente risultato ottenuto. Ecco perché l’ex comico genovese non ha perso tempo e proprio ieri, a risultati non ancora definitivamente acquisiti, ha pubblicato sul suo blog il cinquantatreesimo comunicato politico. Forse, in vista delle politiche, il più decisivo. In alcuni passaggi Grillo è più che preciso: potranno candidarsi solo quelli che già militano in una lista (“per premiare quelli che sono stati con noi per 5 anni”), le elezioni avverranno via internet e potranno partecipare solo quelli iscritti al movimento.
Non è però tutto rosa e fiori. Ha fatto discutere, infatti, una dichiarazione di Grillo secondo cui “io devo essere il capo politico di un movimento, però io voglio solo dirvi che il mio ruolo è quello di garante, di essere a garanzia di controllare, vedere chi entra, dobbiamo avere soglie di attenzione molto alte”. Cosa ribadita anche in seguito: “Il MoVimento 5 Stelle (M5S) promuove la presentazione alle prossime elezioni politiche del 2013 di liste di candidati che si riconoscano nel Programma del MoVimento e nel suo capo politico Beppe Grillo”. E ancora: gli eletti “rappresentano il gruppo politico organizzato che, riconoscendo come capo politico e suo rappresentante Beppe Grillo, depositerà il contrassegno quale segno distintivo delle liste dei candidati e del programma formati secondo le procedure in Rete del MoVimento 5 Stelle”. Non solo. Esclusi senza appello tutti i dissidenti cacciati nei mesi scorsi da Grillo stesso (“saranno escluse le persone facenti parte di liste diffidate dall’uso del simbolo del MoVimento 5 Stelle”). Ed anche per Giovanni Favia, l’uomo più noto del Movimento, porte di Montecitorio sbarrate, dato che sono state escluse anche “le persone che hanno incarichi da eletti al 29 ottobre 2012”. Insomma, in pieno boom le scelte di Grillo spaccano (nuovamente) il Movimento. C’è chi le condivide, chi invece avrebbe preferito un confronto orizzontale anche nello stabilire le regole sulle primarie. Una certezza c’è: anche Grillo comincia a muoversi. Ora Montecitorio non è più un miraggio.
CHE FINE HA FATTO LA LEGGE ELETTORALE? - Un vero e proprio marasma, insomma. Un caos reso ancora più incredibilmente ingarbugliato dall’assenza di certezza sulle sorti della tanto blaterata legge elettorale. Che fine ha fatto? A che punto è la discussione? Sarà approvata? Precisando che quasi certamente l’Italia andrà incontro a sanzioni perché, tanto per l’Ue quanto per l’Ocse, non si può modificare la legge elettorale a pochi mesi dalle elezioni (ne va, ovviamente, della trasparenza e del reale potere democratico dei cittadini), le domande comunque restano senza risposta.
Si parlava dell’esigenza di cambiare al più presto il Porcellum già a fine agosto. Ma niente. Soltanto poche settimane fa è stato presentato un testo di partenza, ma la discussione staziona ancora in Commissione. Probabilmente entro inizio novembre approderà in Aula a Palazzo Madama. Poi dovrà andare a Montecitorio: se nulla verrà modificato, la legge potrebbe essere approvata entro febbraio-marzo. Tempi lunghissimi, considerando che solo dopo uno-due mesi (a seconda se i partiti decidano di anticipare di poco le elezioni per non farle coincidere con la nomina del Presidente della Repubblica) si andrà al voto.
Ma perché, allora, questo ritardo? Non è un mistero che Alfano, Bersani e Casini stiano prendendo tempo per trovare il modo di contrastare la forza Grillo. I tre grandi partiti, infatti, sono fortemente in allarme: sebbene questa strana maggioranza occupi attualmente l’85% dei seggi parlamentari, sebbene prima delle ultime elezioni amministrative avesse il 70% dei consensi, oggi supera di poco il 50%. Un calo impressionante dovuto all’esponenziale crescita del M5S, ma anche alla crescita dei consensi per Idv, Sel e sinistra radicale. Tutto questo preoccupa la Casta. Che ora deve e vuole correre ai ripari. La vittoria di Crocetta non può far dormire sonni tranquilli nemmeno a Bersani che, nonostante, abbia parlato di “vittoria storica”, dimentica un particolare: l’astensione è stata di oltre il 50%. Una sonora sconfitta per la politica tutta.
È ora di ricominciare a guadagnarsi la fiducia persa. Un primo passo potrebbe essere un atteggiamento diverso proprio nei riguardi della riforma elettorale. Pensando meno ai propri interessi di partito e più al cittadino. Se i partiti ricordano ancora come si faccia.