Lo Shabbat, il sabato ebraico, è il tema della prima edizione di «Jewish and the city - Festival internazionale di cultura ebraica» che si terrà a Milano dal 28 settembre al 1 ottobre.

LA CARESTIA, IL TALMUD, E LA CONDIVISIONE. La Lectio magistralis di Marc-Alain Ouaknin - a c. di Federico La Sala

IN PRINCIPIO ERA IL PANE E LA CONDIVISIONE.... "Carestia" che appare immediatamente nel momento stesso della grande Rivelazione ad Abram (ancora non è diventato Abraham), solo una decina di versetti dopo il celebre «Va verso te stesso!»
venerdì 27 settembre 2013.
 

In principio era la fame

di Marc-Alain Ouaknin (Il Sole-24 Ore, 22 settembre 2013)

In che senso il Talmud è un Libro aperto? Innanzitutto è un libro non dogmatico, un libro che pone continuamente interrogativi, rifiutando i dogmi e le verità definitive. Ma il Talmud è aperto anche nel senso che ogni pensiero è sempre calato all’interno di un dialogo e di una controversia, con la consapevolezza, come dice Antonio Lobo Antunes, che «è impossibile pensare senza contraddizioni, impeti, rimorsi, senza quella forma di furore indignato di un roveto ardente che getta le idee e le emozioni le une contro le altre in una perpetua esaltazione».

Ma possiamo intenderlo aperto anche nel senso di una finestra che si apre sul mare. Allora la domanda diventa: Su cosa è aperto il Talmud? Che cosa vediamo quando apriamo le finestre di questa grande casa dei pensieri, degli studi e delle interpretazioni che è il Talmud? Il Talmud si apre sull’oggi! Sui problemi del mondo di oggi, dell’uomo di oggi!

Ma esiste ancora un altro significato di "aperto": Libro aperto con. Ossia: con che cosa apriamo il Talmud? Quale ne è la chiave? Che cosa permette di entrarvi? Di coglierne il segreto? E ancora: Con cosa si apre? Ossia, quali sono le sue prime parole, le sue prime preoccupazioni? Qual è l’Incipit fondante? «Può accadere che una parola, una sola, nascosta nel corpo di un libro o di un’opera ne sia il sigillo misterioso - ha scritto Jean-Louis Jacques -. Si potrebbe dire allora che il segreto, di cui ogni pagina del libro o dell’opera espone un frammento, al tempo stesso oscuro e luminoso, si trova, concentrato all’estremo, nella musica e nel disegno che compongono le poche sillabe di quella parola».

Dal momento che il Talmud è il commento per eccellenza della Bibbia, mi sono chiesto cosa accadrebbe se in questa frase si sostituisse la "parola" con il "versetto"? Potrebbe esistere un versetto biblico che incarni «quel frammento al tempo stesso oscuro e luminoso»?

Probabilmente ne esistono molti, ma mi è parso che nel nostro mondo, dove tutto è numeri, calcoli e statistiche, il più piccolo versetto della Bibbia potesse forse essere uno di quei versetti. Ovviamente non il più famoso o conosciuto, e neanche il più ovvio, né il più centrale, ma un versetto che si cela umilmente nell’angolino recondito di una pagina, nell’attesa che il lettore capisca che è forse quella la chiave che apre le porte della Grande Casa...

Dissimulato all’inizio del capitolo 43 del Genesi, questo versetto è veramente il più piccolo! Solo tre parole, neppure difficili da tradurre: Vehara’av kavèd baaretz, «E la carestia gravava sul paese». Tre parole che richiamano tutte le carestie bibliche evocate nel testo, che confluiscono in un’unica grande arteria, vera e propria colonna vertebrale di tutta l’opera.

"Carestia" che appare immediatamente nel momento stesso della grande Rivelazione ad Abram (ancora non è diventato Abraham), solo una decina di versetti dopo il celebre «Va verso te stesso!», Lèkh-lekhah: «E ci fu una carestia nel paese e Abram discese in Egitto per soggiornarvi, poiché la carestia gravava sul Paese», che include, con nostra grande sorpresa, una variante del più piccolo versetto che abbiamo appena citato.

Perché la Rivelazione, che fece entrare l’umanità nel monoteismo biblico, è contemporanea della vicenda della carestia? Perché non possiamo fare conoscenza con la Trascendenza del divino senza vedere apparire il più piccolo versetto? La prima domanda e la prima risposta di tutto il Talmud, le sue prime parole, la prima frase, sono meematai qorein et shema’ be’aravin? «Da quando si legge la preghiera dello shema’ la sera?», domanda liturgica che possiamo intendere in modo più filosofico e più teologico, poiché la traduzione lo consente, «Da quando si capisce qualcosa della Rivelazione?» A questo interrogativo la risposta più semplice sarebbe stata «Dal momento in cui appaiono le tre stelle», ossia dall’inizio della sera.

Ma il Talmud ha preferito rispondere: «Dal momento in cui i Cohanim, i sacerdoti, tornano a casa e mangiano il pane consacrato, la Terumah». Incipit talmudico che potrebbe riassumersi con una formula spesso utilizzata dal filosofo Emmanuel Lévinas, che cita il rabbino Yohanan: «Grande è il mangiare», commentando in questo modo: «In principio era la fame»!

La carestia evocata nella Bibbia è il tema principale del Talmud. Questa carestia ai tempi di Abraham, che permea il momento della Rivelazione monoteista, ripetuta al tempo di Isacco, poi al tempo di Giacobbe, diverrà il motore stesso della storia ebraica. Non c’è storia ebraica senza carestia! Non già per affamare gli Ebrei, ma per ricordare loro, costantemente, di preoccuparsi della fame altrui.

Essere significa condividere il pane! Ascoltare la parola della Trascendenza significa sentirsi responsabili della fame di tutti gli uomini! La spiritualità dell’uomo che cerca di ascoltare «la voce che viene da lontano» inizia con la fame appagata degli uomini. L’etica della frazione del pane è la traccia della trascendenza nell’immanenza, la speranza stessa della sua presenza. È questo pane, sotto forma di shever in ebraico, che troveremo come elemento centrale nella risoluzione delle varie carestie, come testimonia il versetto in cui Giacobbe dice ai propri figli di scendere in Egitto per cercare grano e cibo: ki yèsh shever bemizrayim, ossia: «poiché c’è grano e cibo/pane in Egitto».

La parola Shever, il "pane" e il "cibo", viene dalla radice SHaVaR, "spezzare", "rompere", "frazionare", "frammentare", che ha dato origine ai vocaboli "rottura", "fragile", e ai verbi "pensare" e "sperare"!

"Pane" e "rottura"! Probabilmente perché mangiare è sempre spezzare il digiuno, come spiega il Rabbino David Kimhi. Gli Inglesi lo ricordano con il loro breakfast, che letteralmente significa "rompere" (break) il "digiuno" (fast). E anche i Francesi con il loro dé-jeûner e con il petit-déjeuner!

Se il Talmud è un "Libro aperto" è anche perché si dimostra aperto alle altre lingue, lui che è scritto in ebraico e aramaico, che non rifiutò le parole di origine greca o latina, e di cui ogni pagina è arricchita dalle chiose di Rashi, che introdusse nell’edizione divenuta "canonica" - (ricordiamo peraltro che fu stampato a Venezia nel 1523) - diversi vocaboli del francese dell’epoca. Aperto sulle altre lingue, il Talmud non avrebbe pertanto disdegnato le scoperte della linguistica comparata, che ci insegnano come il rapporto tra la rottura e il pane esista già nella radice indoeuropea bregh (vregh, fregh), che ritroviamo poi nell’inglese break e nel tedesco brechen, senza dimenticare il francese briser. La stessa radice la ritroviamo in bread e Brot, brother e Bruder, frères e frater.

Ma Bread e Brot non godono però di quella "denominazione d’origine" che il francese chiama "pane" proprio perché si spezza, si rompe, si brise, si break e si "Brecht", insomma si condivide tra frères (fratelli), tra Brothers e Brüder. Il fratello sarà pertanto sempre "fratello di pane", così come si dice "fratello d’armi". Vicinanza ravvisabile anche in "copains", che sono veramente, secondo il dizionario etimologico della lingua francese, «coloro che dividono il pane», cumpanio (cum-panio), da cui cumpanionem, il "compagno" . Condivisione poi del "pane" e del "sogno", se si pensa che shévèr significa anche "interpretazione del sogno". Ecco forse perché le prime lettere del Bereshit introduttivo della Genesi non sono nient’altro che l’anagramma di shever! In principio era il pane, e la sua condivisione...


Sul tema, nel sito, si cfr.:

-  IL VANGELO DI PAPA RATZINGER E DI TUTTI I VESCOVI E IL "PANE QUOTIDIANO" DEL "PADRE NOSTRO", VENDUTO A "CARO PREZZO", MOLTO CARO (= "CARITAS")!
-  ULTIMA CENA ED ECONOMIA VATICANA: LA CARESTIA AVANZA!!! Benedetto XVI "cambia la formula dell’Eucarestia"! «Il calice fu versato per molti», non «per tutti»!!!

-  IN PRINCIPIO ERA IL LOGOS. La Memoria, la Filologia e ... la Teologia del "latinorum"
-  LA CARESTIA E LA CHIESA CATTOLICO-ROMANA!!! "CHARISSIMI, NOLITE OMNI SPIRITUI CREDERE... DEUS CHARITAS EST" (1Gv., 4., 1-8). LO SCEMPIO DEL "CORPUS DOMINI".


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