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In principio era la Buona-Notizia (Eu-angelo)

GIORNO del Rin-GRAZIA-mento: CHARI-ta-S !!! L’UOMO, L’ABITARE, E LA FELICITA’ (EU-DAIMONIA): «La terra, dono per tutta l’umanità». Il documento sul mondo dell’agricoltura, per la giornata del 12 novembre 2006, della CEI

La Commissione Episcopale Per I Problemi Sociali E Il Lavoro, La Giustizia E La Pace
domenica 12 novembre 2006 di Federico La Sala

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> L’UOMO, L’ABITARE, E LA FELICITA’ (EU-DAIMONIA): «La terra, dono per tutta l’umanità». Il documento sul mondo dell’agricoltura, per la giornata del 12 novembre 2006, della CEI

domenica 16 luglio 2006

INTERVISTA. nord & sud

Quei Lumi spenti su un pianeta affamato

Intervista «La fame nel mondo è frutto di scelte economiche che favoriscono le imprese multinazionali». Parla Jean Ziegler, in Italia per presentare il suo ultimo libro «L’impero della vergogna» Con l’11 settembre è iniziata una fedualizzazione del mondo che cancella i principi dell’89

di Stefano Liberti (il manifesto, 14.07.2006)

«La fame è lo scandalo del nostro secolo». Fedele alla sua reputazione di uomo poco diplomatico, Jean Ziegler non usa giri di parole per denunciare quello che definisce «un genocidio silenzioso», ossia la morte per fame ogni anno di centinaia di migliaia di persone. Relatore speciale delle Nazioni unite per il diritto all’alimentazione, l’ex senatore svizzero e professore di sociologia gira il mondo in lungo e in largo per verificare sul terreno cause e natura delle crisi alimentari, delle carestie e della malnutrizione che colpisce una fetta consistente della popolazione del pianeta. Le sue dichiarazioni spesso fuori dai denti gli hanno fatto guadagnare numerosi e poderosi nemici. Quando, nel 2004, ha denunciato pubblicamente Israele per le violazioni del diritto all’alimentazione e ai diritti umani nei territori palestinesi occupati, ha subito un assalto furioso. Allo stesso tempo, la sua battaglia contro gli organismi geneticamente modificati (Ogm) ha provocato non pochi mal di testa all’amministrazione statunitense, che ha chiesto a più riprese la sua testa. Ma invano: Ziegler è sempre al suo posto. E, oltre al suo ruolo istituzionale, svolge la funzione di straordinario divulgatore, con interventi pubblici e libri. L’ultimo, appena uscito per i tipi del Saggiatore, si intitola L’impero della vergogna e declina con dovizia di particolari le strutture del dominio planetario esercitato da un pugno di multinazionali.

Nel suo libro, lei sostiene che la morte per fame non è una casualità, ma il risultato di deliberate scelte politiche. Può spiegare meglio?

Nel nostro mondo muoiono ogni giorno di fame o delle sue dirette conseguenze circa cinquemila persone. Solo l’anno scorso, secondo il World Food Report della Fao, 856 milioni di persone sono state affette da gravi forme di sotto-alimentazione. Ciò accade in un pianeta in cui, sempre secondo il World Food Report, l’agricoltura mondiale potrebbe dare nutrimento senza problemi a 12 miliardi di persone, cioè il doppio dell’attuale popolazione complessiva. Eppure, il massacro continua. Da ciò si può dedurre una sola cosa: un bambino che muore di fame viene di fatto assassinato. E alla base di questo genocidio silenzioso, ci sono precise scelte politiche. La fame è un’arma di distruzione di massa, usata con piena cognizione di causa dai nuovi padroni del mondo.

Chi sarebbero questi nuovi padroni del mondo?

Il potere effettivo mondiale è ormai nelle mani di poche società multinazionali private; secondo la Banca mondiale, l’anno scorso le 500 maggiori multinazionali mondiali hanno controllato in totale più del 52 per cento del Prodotto mondiale lordo. Si tratta di un fenomeno che definisco «rifeudalizzazione del mondo». Il 4 agosto 1789, in una storica seduta notturna, la neonata Assemblea nazionale francese ha solennemente abolito il sistema feudale - ossia la monopolizzazione del potere ideologico, economico, politico e militare da parte di ristrette oligarchie. Oggi quella grande conquista dell’umanità è a rischio: le società multinazionali, che non hanno altro orizzonte che il profitto, dettano le loro leggi agli stati nazionali.

Lei sembra attribuire tutti i mali del mondo alle multinazionali e ad alcuni stati del Nord. Non le sembra un’interpretazione semplicistica?

Tutt’altro. L’attuale ordine del mondo è totalmente assurdo e dominato da quelli che io definisco i «cosmocrati», gente mossa sola dalla massimalizzazione del profitto, dall’avidità e dalla sete di un potere illimitato, le cui azioni si dispiegano a livello planetario. Perché le conseguenze delle loro politiche non si misurano solo nel Sud del mondo, ma anche nel Nord: la prima cosa che fanno ogni mattina i governanti occidentali è controllare l’andamento della borsa di New York, di Tokyo, di Londra per capire quale minimo margine di manovra resta loro per applicare sul loro territorio una certa politica fiscale o una qualche strategia di investimento. Se non rispettano le direttive del capitale mondiale, le conseguenze saranno durissime: fughe di capitali, delocalizzazioni delle industrie e via dicendo. Il filosofo tedesco Jürgen Habermas ha scritto una cosa che riassume molto bene questa situazione: secondo lui, gli stati ormai non possono fare altro che una Welt-inner Politik, ossia una politica interna mondiale. Questa è la rifeudalizzazione del mondo, la cui offensiva è cominciata l’11 settembre 2001.

Ritiene davvero che gli attacchi contro New York e Washington abbiano dato inizio a una svolta così epocale? Le politiche di aggiustamento strutturale, che hanno piegato diversi paesi del Sud del mondo, sono cominciate molto prima del crollo delle Torri gemelle...

L’11 settembre ha segnato una svolta storica, perché è in quella data che il mondo dei dominatori è stato colpito al cuore da gente proveniente dal mondo dei dominati. Questo ha fornito all’amministrazione americana e alle multinazionali ad essa legate il pretesto morale e ideologico per portare avanti, in nome della guerra al terrorismo, una vera e propria conquista del pianeta. A questo proposito, faccio un esempio concreto: per l’emergenza siccità che sta devastando buona parte del Corno d’Africa (Somalia meridionale e Kenya nord-orientale), le Nazioni unite hanno chiesto ai paesi donatori 98 milioni di dollari. Ne sono arrivati 32 milioni, ossia meno di un terzo della cifra richiesta. Nel mio ruolo di relatore speciale dell’Onu per l’alimentazione, ho domandato ai vari ambasciatori le ragioni di questa avarizia. Ebbene, tutti mi hanno dato la stessa risposta: dal 2001 in poi, la priorità assoluta va data agli investimenti sulla sicurezza. Per la prima volta nella storia del mondo, la somma spesa solo per l’acquisto delle armi ha superato i mille miliardi di dollari.

Secondo lei, sarebbero solo i mancati aiuti a provocare l’estensione della fame nel mondo e in particolare nei paesi africani?

No, la gente muore di fame sempre nello stesso modo, ma per ragioni spesso diverse. Tanto univoca è, a livello fisiologico, la distruzione attraverso la fame, tanto complesse sono le cause che portano a questa distruzione. Senza creare una vera e propria gerarchia, si possono tirare in ballo varie cause per spiegare la situazione attuale. La prima è senz’altro la politica di dumping sui prodotti agricoli operata dall’Unione europea con le sovvenzioni alla produzione e all’esportazione. Solo l’anno scorso, Bruxelles ha versato ai contadini europei 349 miliardi di dollari, ossia quasi un miliardo di dollari al giorno. Risultato: sui mercati africani - a Dakar, a Bamako, a Kampala, ovunque - è possibile comprare prodotti spagnoli, italiani, portoghesi a un prezzo due volte inferiore rispetto a quello dei prodotti locali. E il contadino senegalese, maliano o ugandese, che lavora 15 ore al giorno sotto un sole cocente, non avrà di che nutrire la propria famiglia. Se si considera che, su 53 paesi che conta l’Africa, 37 hanno un’economia puramente agricola, si capisce perché la politica di dumping esercitata dall’Ue è devastante. E crea fame: perché in 20 anni, dal 1982 al 2002 il numero di sotto-alimentati è cresciuto da 91 milioni a più di 200 milioni nella sola Africa.

Ma i paesi africani non potrebbero imporre dazi doganali alle importazioni straniere e implementare le aree regionali di libero commercio, di cui il continente già dispone? La Cedeao, la grande comunità economica dell’Africa occidentale, è un mercato immenso di 300 milioni di persone...

Qui entra in gioco, la seconda causa: l’indebitamento. Centoventidue paesi del cosiddetto Terzo mondo hanno un debito accumulato di 2100 miliardi di dollari. Sono stretti nella morsa del debito e non hanno alcuna capacità di negoziare. È il debito che li costringe ad accettare le condizioni imposte dal Fondo monetario internazionale (Fmi) e dall’Organizzazione mondiale del commercio (Wto). È proprio la Wto a vietare i dazi doganali sulle merci provenienti dall’esterno. Il meccanismo è perverso: questi paesi non hanno alcuna chance di fare investimenti in programmi sociali, in irrigazioni, infrastrutture, perché tutto quello che guadagnano sul mercato monetario internazionale è usato per il servizio del debito. Senza contare che, per avere moneta forte, tutti i paesi indebitati aumentano le loro piantagioni di esportazione, come il caffé o il cotone, a scapito delle colture che permetterebbero di nutrire la popolazione, come il grano o il miglio. Il debito modifica la destinazione delle colture. Il debito crea fame.

Quali soluzioni propone per porre fine a questo stato di cose?

Nessuna causa ha ragioni non controllabili. L’idea degli economisti classici, da Smith a Ricardo fino allo stesso Marx, secondo cui i beni disponibili sul pianeta sarebbero oggettivamente insufficienti per coprire le necessità esistenziali di tutti, oggi non è più valida. Grazie a straordinarie rivoluzioni tecnologiche ed elettroniche, siamo usciti per la prima volta dalla tirannia della necessità. Come già dicevo prima, ci sarebbe da mangiare per tutti. Il problema della fame ha quindi un’origine umana; è il risultato di decisioni politiche, di precise strategie economiche. Che, come tali, possono essere cambiate. Se prendiamo la catena di causalità, le soluzioni da apportare appaiono abbastanza chiare: abolire le sovvenzioni alla produzioni e all’esportazione che l’Unione europea e gli Stati uniti forniscono ai loro contadini; abolire la liberalizzazione forzata imposta dalla Wto; sottoporre a un controllo sociale le strategie delle multinazionali (costringendole a pagare salari minimi in tutto il mondo). E poi, cancellare il debito che, come un nodo scorsoio, tiene in scacco paesi interi. Quest’ultimo è tanto più devastante in quanto in molti casi si tratta di un «debito odioso», contratto da dittature o da classi dirigenti corrotte, di cui il popolo non ha minimamente beneficiato. Faccio un solo esempio: quando Luiz Inacio «Lula» Da Silva è entrato nel palazzo presidenziale di Brasilia, ha trovato un debito astronomico, il secondo più alto del mondo: 245 miliardi di dollari, eredità di 18 anni di dittature militari. È precisamente questo fardello che non gli permette di finanziare a dovere il suo programma «Fame zero», ossia la lotta contro la sotto-alimentazione di 44 milioni di brasiliani. La sua ricetta implica una revisione delle relazioni internazionali. Pensa davvero che sia possibile incentrarle semplicemente su imperativi di carattere morale piuttosto che su interessi economici e geo-politici? Non c’è altra scelta. Se non restauriamo con la massima urgenza i valori dell’Illuminismo, il diritto internazionale, i principi della civiltà europea saranno cancellati, inghiottiti in una giungla senza regole.


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