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Dio, Amore (charitas)? No, "Deus caritas est" (2006)!!! Eu-angélo? No, Van-gélo!!!

Papa e Vescovi, tutta la Gerarchia della Chiesa "cattolico-romana" senza più la Parola eu-angélica !!! "Potranno tagliare tutti i fiori / mai saranno i padroni della primavera"!!! Linee di analisi del gesuita p. Felice Scalia

mercoledì 12 novembre 2008 di Federico La Sala
[...] Abbiamo assistito con sbigottimento, continuiamo anzi ad assistervi, alla divisione che si è verificata nella Chiesa quando qualche "principe" di questo mondo decise di dividere il pianeta in due grandi settori, in due "assi": quello del "bene" e quello del "male". E decise pure, questo "principe", quali popoli appartenessero all’uno o all’altro "asse". Poi stabilì che farne degli "Stati canaglia", e ritenne anche suo dovere - per mandato divino - sterminare il male dalla terra (...)

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> Papa e Vescovi, tutta la Gerarchia della Chiesa "cattolico-romana" senza più la Parola eu-angélica !!! ---- Chi impone-va l’omertà (di Giancarlo Zizola).

venerdì 26 marzo 2010

Chi imponeva l’omertà

di GIANCARLO ZIZOLA *

Se mai il comportamento di un vescovo è stato irreprensibile di fronte ai doveri della coscienza verso la verità e verso la Chiesa sugli abusi sessuali del clero, questo è il caso dell’arcivescovo di Milwaukee monsignor Weakland, una delle figure più luminose del cattolicesimo degli Stati Uniti d’America.

Egli non avrebbe meritato uno solo dei rimproveri mossi di recente da Benedetto XVI ai vescovi irlandesi. Fin dagli anni Novanta aveva tentato di tutto per fare breccia nelle maglie procedurali del Vaticano in modo da fare entrare nel sistema un approccio più chiaro, realistico e insieme evangelico del trattamento della piaga della pedofilia del clero. Ciò che ha portato alla luce il New York Times della storia di questo pastore, morto con parole di perdono per coloro che lo avevano ingiustamente coinvolto in accuse infamanti, testimonia con chiarezza ciò da cui alcuni circoli cattolici tentano di difendersi. Cioè, che la questione soggiacente alle perversioni dei singoli riguarda alcuni dei funzionamenti strutturali della Chiesa. Alcune buone prove e buone fedi al servizio della missione del vangelo non la rendono immune da deficit di sistema sui quali ha finito per infrangersi la rivolta di vescovi consci della loro vocazione. È troppo evidente che l’omissione di una seria riforma della Chiesa ha fatto marcire i problemi al coperto di palliativi illusori.

"È una conversione strutturale che si impone" ha dichiarato al giornale cattolico francese La Croix la psicologa Isabelle De Gaulmyn, augurandosi che la Chiesa possa servirsi degli scandali per interrogarsi su alcune sue distorsioni istituzionali. Nella stessa logica della verità che Benedetto XVI pone a fondamento della morale, la Chiesa dovrebbe esprimere la propria gratitudine ai media che l’hanno aiutata a far cadere le maschere, invece di attaccarli come aggressori dell’autorità. Ma se è plausibile far risalire a un fallimento di sistema il circuito letale instauratosi fra il crimine di una minoranza del clero e la generale omertà del sistema ecclesiastico, ben prima del fantasma del liberalismo sessuale sessantottino, diverrebbe ben provata la ragione per cui neanche gli sforzi dei più lucidi fra i pastori siano riusciti a rompere questo blocco in cui la considerazione dell’autodifesa istituzionale, la cultura del segreto e della negazione, un concetto idolatrico dell’autorità hanno finito per sottomettere i valori della giustizia, della trasparenza e dei diritti umani degli innocenti.

Quanti guardano alla Chiesa con ammirazione pari alla sincerità, sanno che essa conserva, malgrado le deviazioni di alcuni uomini e dei suoi apparati, le risorse sufficienti per scrutare con lucidità le cause istituzionali della crisi. La "Lettera ai cattolici d’Irlanda" potrebbe essere un primo passo. È possibile presumere che lo stesso papa Ratzinger, al tempo in cui era capo della Congregazione per la Dottrina, avesse fatto l’esperienza del dramma tra la forza della verità e le pressioni istituzionali per il suo insabbiamento. Di fronte alla vastità del fenomeno egli ha finito per prorompere nel grido del Venerdì Santo del 2005 sulla "sporcizia nella Chiesa", che era già la promessa di un programma di moralizzazione presto legato alla sua candidatura alla successione era una denuncia forse a lungo repressa, il segnale di quanto fosse faticoso anche per lui liberare delle linee guida efficaci senza intaccare a fondo la logica del sistema. Non si può dire che non abbia mantenuto le promesse: la bonifica è in corso. D’altra parte, solo annettendo il giusto valore al peso lordo del sistema sarebbe possibile separare ciò che è di Benedetto XVI da ciò che era del cardinale Ratzinger alla testa dell’ex Sant’Uffizio.

L’operazione verità potrebbe essere fruttuosa solo a patto di aprire ogni sipario sui gangli del sistema che l’hanno lungamente inibita. Delle due l’una: o il cardinale Ratzinger aveva gestito il dossier sporco utilizzando da solo o coi suoi propri stretti collaboratori la delega papale, all’insaputa del suo superiore Giovanni Paolo II. Oppure, come è consuetudine specie per i casi più gravi, il prefetto della Congregazione per la Dottrina è andato a riferirne al Papa in una delle sue udienze settimanali di tabella. E ha ricevuto da lui carta bianca per agire nel senso in cui ha agito. Un’ipotesi forse più verosimile ma le cui conseguenze difficilmente lascerebbero indenne la responsabilità di Wojtyla, alla vigilia della sua beatificazione. Anche se proprio quel Papa fu inesorabile coi vescovi americani e il loro clero pedofilo e le coperture del sistema.

© la Repubblica, 26 marzo 2010


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