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Occidente, sei terrorista anche tu...

LA SCELTA DELL’UMANITA’ E DELLA CONVIVENZA. Una riflessione del poeta arabo ADONIS

domenica 27 agosto 2006 di Federico La Sala
[...] Sappiamo tutti che la memoria occupa il primo posto nella vita, nella storia e nella cultura degli ebrei; la cosa strana e’ che il sistema israeliano cancella da questa memoria tutto cio’ che lo lega agli arabi. Non ricorda la storia degli avi da cui discendono che ad ogni livello sociale hanno convissuto con i fratelli arabi a Sana’, Mecca, Medina, Damasco, Bagdad, Beirut, Cairo, come nel Maghreb arabo e in Andalusia. E quando gli arabi sono stati scacciati via dall’Andalusia anche (...)

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> LA SCELTA DELL’UMANITA’ E DELLA CONVIVENZA. --- La mia Siria --- È un infinito bagno di sangue del quale siamo tutti responsabili (di Luigi Bonante)

venerdì 27 luglio 2012

È un infinito bagno di sangue del quale siamo tutti responsabili

di Luigi Bonante (l’Unità, 19.07.2012)

CI SONO MOMENTI NELLA STORIA IN CUI NON SI PUÒ TENTENNARE, E DIVENTA MORALMENTE OBBLIGATORIO PRENDERE POSIZIONE. Questo, della battaglia di Damasco è uno di quelli: dopo più di 17 mila morti siamo alla stretta finale. Che sarà un bagno di sangue, del quale diciamolo chiaro siamo tutti responsabili. Le ragioni sono tantissime. Alcune vengono da lontano, e stanno racchiuse nell’isteria con cui gli Usa impostarono il dopo 11 settembre fatto di violenza cieca e assoluta incapacità politica.

L’Iraq è lì vicino, e abbiamo visto che tragedia è stata. Poi iniziò la «primavera araba», e a tutti noi sembrò che il vento della democrazia avesse incominciato a spirare in modo inarrestabile: così in Tunisia, così (più o meno) in Egitto, e poi in Libia, più brutalmente certo, ma Gheddafi era anche peggio degli altri dittatori. L’Occidente, l’Onu, la Nato, e quant’altri, dimostrarono la loro assoluta incapacità, sia da soli sia insieme, di risolvere o pacificamente o con eventuali limitati, ma perentori e definitivi interventi anche armati, le diverse situazioni critiche.

Su questo scenario la crisi siriana si stagliò nella sua paradossalità: per molti anni abbiamo blandito Assad pensando che mostrasse il volto gentile del dispotismo arabo; era moderno, laico, pacifico, e abbastanza taciturno. Dall’inizio della crisi, a lungo, in Occidente, abbiamo creduto che Assad avrebbe concesso un po’ di democrazia, tutti saremmo stati contenti e ci saremmo occupati d’altro. Ma le due classiche e decisive clausole dei problemi internazionali erano rimaste sul tavolo inevase: sono una, la questione politica, l’altra la questione giuridica.

Dal primo punto di vista, si è scoperto che non c’è accordo nel mondo sulle condizioni di intervento degli stati negli affari interni l’uno dell’altro. Se la Russia e la Cina si oppongono a ogni ingerenza, è perché hanno imparato la lezione dalla storia del mondo occidentale che ha sempre sostenuto che ogni Stato è padrone in casa sua (il principio del riservato dominio) e nessuno può imporre alcunché dal di fuori, e poi perché temono che la giustificazione dell’intervento potrebbe un giorno o l’altro essere usata proprio contro di loro, cosicché continuano a ritenere che la soluzione alla crisi siriana debba essere trovata all’interno.

Ma quando si capisce che tale volontà è inesistente e che la situazione sta degenerando, ecco che viene sollevata la leva giuridica: in effetti, sì, dobbiamo intervenire e far cessare questo massacro. Ma a chi tocca farlo? L’Onu ha le mani doppiamente legate: da una parte, ovviamente, dal potere di veto di Russia e Cina, che difendono improbabili soluzioni pacifiche e negoziali; e dall’altra dal suo stesso Statuto che, nel sempre evocato Capitolo VII, non lascia alcuno spazio di intervento militare.

Per ottenerlo, bisognerebbe dimostrare che la crisi siriana è una minaccia alla pace internazionale, ciò che con tutta la sua gravità essa però non è.
La comunità giuridica aveva elaborato e votato nel World Summit del 2005 un grandioso principio relativamente alla «Responsabilità di proteggere», che scatterebbe in capo a tutta la comunità internazionale nel momento in cui si dimostrasse che un governo è impotente di fronte a una crisi acuta: la si era evocata nel caso libico, ma poi dovettero intervenire gli stati in prima persona e non in quanto tutori dell’ordine mondiale. A questo punto, insomma, il cane si morde la coda e la responsabilità giuridica ritorna nelle mani dei politici...
Assad è condannato: dalla storia e anche dalla politica. È incredibile che non si renda conto della follia di cercare di restare al potere: chi mai potrà ancora amare un dittatore che ha causato la morte di decine di migliaia di persone? E che dire dei ribelli combattenti, patrioti ed eroici? E per favore, non chiamiamoli terroristi; i loro, in questi giorni, non sono attentati ma azioni di guerra che si valgono degli strumenti spietati di cui chiunque si è sempre valso in guerra.

Ma non è finita: anche sul piano meramente strumentale l’Occidente democratico deve interrogarsi: abbiamo davvero fatto qualche di buono e utile a favore della crescita democratica del mondo, abbiamo aiutato le democrazie giovani ed emergenti, senza ambiguità, senza interessi particolari, ma solo per il loro bene?

Perché abbiamo invece sempre venduto armi e tecnologie militari a tutti i dittatori che le chiedevano? Avevamo a cuore i nostri bilanci, o la pace mondiale?
L’unica cosa che possiamo ancora fare è levarci in un grande e possente movimento di opinione popolare e democratico: Assad deve sapere che tutto il mondo lo condanna. Non importa se se ne dovrà andare vivo o morto. Quel che conta è che ceda il potere. Quel che conta è che i siriani possano decidere democraticamente il loro futuro.


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