Questa mattina migliaia di persone in fila alla camera ardente Sulla bara la maglia nerazzurra e quella della nazionale
Grande folla in Sant’Ambrogio per l’omaggio a Facchetti
Il figlio lo ricorda citando Bradbury: "Ognuno deve lasciarsi qualcosa dietro" Applausi al passaggio della bara dentro e fuori la basilica (www.repubblica.it, 06 settembre 2006)
MILANO - Un lunghissimo applauso ha accompagnato il feretro di Giacinto Facchetti che attraversava la navata centrale di Sant’Ambrogio. E applausi lo hanno accolto anche all’uscita della basilica, poco prima delle 16, dove migliaia di persone lo attendevano da ore. Non sono mancati cori da stadio e bandiere nerazzurre. "Arrivederci in Dio, in quel paradiso che è un grande stadio in cui tutti saremo vincitori". Così lo ha salutato, al termine dell’omelia, il vescovo di Lodi Giuseppe Merisi. L’ultimo viaggio del campione sarà verso la cappella di famiglia a Treviglio, nel bergamasco.
La commemorazione del figlio. Gianfelice ha citato un passo tratto da "Fahrenheit 451" di Ray Bradbury. "Ognuno deve lasciarsi qualcosa dietro quando muore, diceva sempre mio nonno, un bimbo o un libro o un quadro o una casa o un muro eretto con le proprie mani o un paio di scarpe cucite da noi. O un giardino piantato col nostro sudore. Qualche cosa insomma che la nostra mano abbia toccato in modo che la nostra anima abbia dove andare quando moriamo, e quando la gente guarderà l’albero o il fiore che abbiamo piantato noi saremo là".
"Non ha importanza -ha aggiunto Gianfelice Facchetti- quello che si fa, diceva mio nonno, purchè si cambi qualche cosa da ciò che era prima in qualcos’altro che porti poi la nostra impronta. La differenza tra l’uomo che si limita a tosare un prato e un vero giardiniere sta nel tocco, diceva. Quello che sega il fieno poteva anche non esserci stato, su quel prato; ma il vero giardiniere vi resterà per tutta la vita".
In dodicimila alla camera ardente. E questa mattina circa dodicimila persone hanno reso un silenzioso omaggio al campione nella camera ardente. Due maglie sulla bara: quella nerazzurra e quella della nazionale italiana. Le sue, quelle degli anni Sessanta. Così, nella cappella di San Sigismondo attigua alla basilica di Sant’Ambrogio, i familiari di Giacinto Facchetti hanno allestito la camera ardente. E poi due foto, da giocatore e da presidente, il gonfalone dell’Inter listato a lutto, fiori bianchi.
Anziani e giovani, padri con i bambini, pensionati e lavoratori, hanno sfilato davanti alla bara, molti con un fazzoletto dell’Inter. Segno di un’identità collettiva che, ai loro occhi era, ed è, impersonata dal grande Facchetti. Sul piazzale uno striscione: "Grazie per aver onorato l’Inter e tutti noi". Le stesse parole pronunciate da Massimo Moratti nell’addio al campione.
Decine i volti noti presenti all’ultimo saluto al presidente nerazzurro. C’erano il patron dell’Inter Massimo Moratti, i dirigenti e la squadra al completo; il presidente della Lega Calcio Antonio Matarrese e il presidente della Federcalcio Guido Rossi; i presidenti di Juve e Milan, Cobolli Gigli e Galliani, e l’ex presidente di Lega Franco Carraro. Tanti anche i grandi calciatori degli ultimi trent’anni: Giuseppe Bergomi, Dino Zoff, Michel Platini, Karl Heinz Rummenigge, Franco Baresi.
(6 settembre 2006)