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FILOLOGIA E ANTROPOLOGIA. Ma quale differenza?! E dov’è l’identità?!

UOMO-DONNA: "I SOGGETTI SONO DUE, E TUTTO E’ DA RIPENSARE" (Laura Lilli, 1993)!!! A Mantova, Luce IRIGARAY rilancia la questione, ma - incompresa - viene "snobbata"!!!

“In tutto il mondo siamo sempre in due”. "La questione è: dobbiamo sfruttare il respiro degli altri o condividere il respiro con gli altri?"
venerdì 8 settembre 2006 di Federico La Sala

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> UOMO-DONNA: "I SOGGETTI SONO DUE, E TUTTO E’ DA RIPENSARE" (Laura Lilli, 1993)!!! A Mantova, Luce IRIGARAY rilancia la questione, ma - incompresa -viene ’snobbata’!!!

venerdì 8 settembre 2006

PER NON BANALIZZARE ... E APPROFONDIRE, RICORDO IL CONTESTO E LA FONTE DELLA CITAZIONE DELLA INDICAZIONE DI LAURA LILLI: "E’ evidente che ormai, alle soglie del Duemila, siamo alla vigilia di una svolta epocale: i soggetti sono due, e tutto è da ripensare"(L. Lilli, Contro Wojtyla, "La Repubblica" del 24.11.1993).

Sul tema, per riflettere di più e ancora, allego un intervento di Monica Lanfranco. Federico La Sala


La libertà delle donne

di Monica Lanfranco (www.carta.org, 8 settembre 2006)

Il nuovo mensile Carta Etc in edicola da sabato 9 settembre è dedicato in gran parte ai fondamentalismi. Sul tema scrivono anche Monica Lanfranco con questo editoriale e Pierluigi Sullo nella lettera inviata ad Hamza Piccardo dell’Ucoii e pubblicata nel settimanale in edicola dal 9.

Razzismo, sessismo, xenofobia, omofobia: sono alcune delle piaghe più atroci che affliggono il mondo globalizzato di oggi. Nonostante l’informazione apparentemente libera, disponibile e moltiplicata all’infinito dalle nuove tecnologie, nessun luogo e nessuna cultura può dirsi davvero immune da questi frutti malati e orrendi generati da due elementi indissolubili, quando si tratta di confrontarsi con l’altro, o l’altra da sé: paura e ignoranza. Non serve scomodare la psicoanalisi per riconoscere che senza la conoscenza non ci può essere incontro, e che solo con la pazienza e l’ascolto si può sconfiggere il pregiudizio, aprendo conflitti anche forti sulle differenze, ma non cedendo alla guerra e alla violenza. E’ altrettanto innegabile che esistano visioni del mondo e dei rapporti umani molto diverse, spesso lontane, talvolta ingiuste, su questo pianeta. E’ altrettanto vero che dove c’è violenza, ineguaglianza, ingiustizia, sopraffazione e impari accesso alle risorse non si possono affermare allo stesso tempo la libertà e la pace. Temi enormi, terribili realtà che si incarnano nelle vite di donne e uomini che soffrono, vivono esistenze dimidiate, muoiono senza aver realmente vissuto. In molte parti del mondo le ingiustizie hanno origini complesse, ma sempre presente c’è un fattore umanissimo e devastante, che spesso regola scelte collettive e individuali: l’intreccio tra patriarcato e fondamentalismo religioso, che purtroppo è presente in ogni credo, nessuno escluso.

Su questo nodo la rivista Marea, trimestrale di cultura e politica di genere, ha provato a riflettere con un appuntamento internazionale dal titolo "La libertà delle donne è civiltà - donne e uomini che lavorano contro i fondamentalismi religiosi, per l’autodeterminazione e la cittadinanza", che si è svolto a Genova il 26 e 27 maggio scorsi, i cui materiali in gran parte vi proponiamo nello speciale mensile settembrino di Carta [Carta Etc. in edicola da sabato 9 settembre]. Si è voluto di proposito usare il concetto di "civiltà", proprio perché è ormai difficile disgiungerlo da quello di scontro, mentre invece è proprio nel necessario legame tra civiltà e incontro che l’appuntamento genovese ha acceso i riflettori.

Quale civiltà? Per noi quella che origina il suo dispiegarsi nel percorso di liberazione degli esseri umani: quella che ha visto, per esempio, nell’occidente che oggi rischia di chiudersi a fortezza contro la disperazione degli ultimi di buona parte di ogni sud, nascere nel secolo scorso i movimenti per la dignità del lavoro, della liberazione delle donne dal giogo patriarcale, della piena autodeterminazione e l’inviolabilità del corpo e delle scelte riproduttive e sessuali. Tutte conquiste che sono ancora chimere in molti paesi, risultati mai acquisiti e scontati del tutto dove sono leggi e senso comune, perché costantemente minacciati, appunto, dal rigurgito fondamentalista, che si configura come emergenza planetaria. In Italia, proprio nell’ultimo terribile scorcio di estate, si è manifestata la violenza contro le donne in maniera pesantissima: la recrudescenza di stupri, l’aumento delle violenze in famiglia (famiglie italiane e cattoliche), accanto al disvelarsi della sudditanza di molte donne nelle comunità migranti, con l’omicidio della giovane Hiina, pachistana, e il suicidio dell’indiana Kaur.

Ciò che emerge è che i fondamentalismi religiosi non hanno semplicemente una "vocazione" misogina: sono una visione politica il cui profilo è senza esitazioni definito fascista (ben prima e con ben altre motivazioni rispetto alla battuta di Bush) dalla rete internazionale Women living under muslim laws: "Il fondamentalismo è la forma attuale del fascismo. Come il nazismo in Germania, esso emerge da un contesto di crisi economica e di impoverimento, si costruisce sul malcontento della popolazione, manipola i settori più poveri, esalta i loro valori morali e la loro cultura (l’identità ariana in Germania, il glorioso passato di Roma in Italia), si ammanta della benedizione del loro Dio (le SS portavano sulla loro cintura la scritta "Gott Mit Uns" - Dio è con noi), vuole convertire o sottomettere il mondo, eliminare e sradicare gli oppositori politici così come gli untermensch. Lontani dall’essere oscurantisti ed economicamente arretrati, i fondamentalismi sono modernisti e capitalisti. L’altra faccia della globalizzazione è la frammentazione delle comunità secondo i binari della religione, dell’etnicità o della cultura. È questa la situazione sfruttata dai fondamentalismi".

Ma c’è un altro fantasma da affrontare: quello dell’indifferenza . In ogni caso di violenza e di discriminazione che coinvolge le donne proprio dntro il luogo più intimo, la famiglia, registriamo la solitudine delle vittime. Una solitudine sociale, nella quale le donne in generale e quelle straniere in particolare vivono grazie anche alle posizioni ’progressiste’ che usano l’alibi del multiculturalismo per non affrontare uno dei nodi centrali del disagio creato nel nostro tempo dalle differenze culturali e politiche: quello del conflitto tra i generi. Da una parte c’è la soluzione razzista e leghista che vede tutti gli stranieri come un indistinto malefico,e li vuole fuori dalla fortezza di un occidente che mostra il peggio di sè; dall’altra c’è chi, per non apparire razzista e leghista, minimizza il problema della mancanza di libertà delle donne nella visione di alcune comunità straniere. Come scrive Pragna Patel, femminista del Southall Black Sister, che opera a Londra tra le comunità indiane e africane "il multiculturalismo fa spazio ai rappresentanti non eletti delle comunità, in genere maschi e appartenenti a gruppi religiosi, ma anche appartenenti alla classe degli uomini di affari, i quali determinano i bisogni della comunità e mediano fra la comunità e lo stato. Neanche a dirlo, questi leader hanno scarso o nullo interesse nel promuovere la giustizia sociale o l’eguaglianza delle donne. Anche se gli interessi della comunità sono spesso declinati nel nome dell’anti-razzismo o dei diritti umani, ciò include molto raramente il riconoscimento dei diritti individuali delle donne o di altri sotto-gruppi all’interno della comunità. La maggior parte della vita religiosa istituzionale nelle comunità delle minoranze deve ancora passare attraverso il processo di liberalizzazione e democratizzazione che le istituzioni religiose della società mondiale sono state costrette a subire. Nelle comunità appartenenti a minoranze, le istituzioni religiose sono dominate da un’agenda religiosa conservatrice, misogina ed omofobica, e nonostante ci siano isole liberali all’interno delle comunità delle minoranze, le loro voci sono marginali".

Tacere su questa rimozione non solo fa fare a noi occidentali di sinistra e al femminismo un gigantesco passo indietro nella storia del percorso dell’emancipazione e dell’autodeterminazione, ma infligge un colpo mortale a quanti, donne e uomini in paesi e culture dove ancora la religione e il patriarcato sono leggi, anche dello stato, vorrebbero modificare questo stato di cose. Irshad Manji, nel suo "Quando abbiamo smesso di pensare", ci chiede anche di assumerci questa responsabilità.

CARTA ETC n. 08/2006


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