TEATRO
Laureati in camorra
secondo Saviano
di MASOLINO D’AMICO (La Stampa, 31/10/2007 - 8:13.
Il libro lo hanno comprato quasi un milione di persone, mentre i fruitori della riduzione teatrale (110’ filati) non possono essere per ora più di novantotto a recita, ossia quanti ne contiene il Ridotto del Mercadante. Costoro sono tuttavia dei privilegiati, perché Gomorra diretto da Mario Gelardi, adattatore del testo insieme con l’autore Roberto Saviano, è uno spettacolo eccellente, vivo, vitale, appassionante, di quelli che ogni tanto riconciliano col medium.
Per i cinquantanove milioni che ancora non lo sanno, Saviano è il giornalista ventottenne che ha raccontato le attività quotidiane della camorra nel suo piccolo centro campano, guadagnandosi minacce della medesima in seguito alle quali non ha potuto nemmeno essere presente alla prima della pièce. Questa segue l’andamento del bestseller in quanto consiste in una serie, più che di episodi, di vignette e incontri con esponenti a vari livelli della malavita di un posto simile a Casal di Principe: cinque personaggi che interagiscono tra loro o che ogni tanto si confessano, magari solo per vantarsi, con l’alias di Saviane stesso, un giovanotto assorto che ancora prima di indignarsi cerca di capire, e che introduce la serata parlando brevemente a un microfono in piazza.
Dei cinque irregolari ben due sono laureati, uno addirittura alla Bocconi con poi tanto di Master a Londra. Questo è il farabutto più disgustoso di tutti, in quanto specializzato nella devastazione del territorio e non solo, seppellendo rifiuti tossici in luoghi densamente abitati. L’altro laureato, molto meno cool di lui, prova addirittura un orgasmo quando gli capita di sparare per la prima volta con un kalashnikov. Il suo colpo di genio ha luogo coi funerali di papa Wojtyla: trentamila bottiglie di plastica recuperate dall’immondizia, riempite di acqua del rubinetto e vendute a peso d’oro. Altri due sono manovalanza: un violento che si sfoga tirando sempre fuori la pistola e minacciando i più deboli, e un piccolo balordo che si sente virtuoso quando rinuncia a spacciare droga per rapinare le coppiette. Il quinto elemento è un fiancheggiatore suo malgrado, un bravissimo sarto costretto a falsificare capi famosi, che entra in crisi quando riconosce un suo manufatto addosso a Angelina Jolie la sera degli Oscar, e nessuno gli crede.
I ritratti sono consegnati, mediante un dialogo brillante, da sei attori tutti in stato di grazia - Ivan Castiglione come Roberto, e poi Francesco Di Leva, Antonio Ianniello, Giuseppe Miale di Mauro, Adriano Pantaleo, Ernesto Mahieux - dentro una indovinata scenografia di Roberto Crea, uno spazio delimitato da palchi di tubi Innocenti ai lati e sul fondo, con effetto di cantiere abbandonato (si parla parecchio anche di edilizia, una delle attività più lucrose della camorra), e agli angoli quattro piloni di cemento che alla fine crolleranno rivelando di contenere statuette di Maradona e madonnine di Pompei. Il palco sul fondo è praticabile al primo livello, come fosse un cavalcavia, ma anche occultabile mediante proiezioni di immagini astratte e abbastanza lugubri. Le luci evocano sempre un mezzobuio malsano, come se il sole non splendesse mai su questi luoghi corrotti, i cui indigeni non sembrano aspettarsi più nulla. Non è tuttavia a un comizio che assistiamo, Saviane non vuole imporci niente, né sembra avere altra medicina da proporre se non la speranza che un numero sempre maggiore di persone smetta di ritenere questo tristo stato di cose come inevitabile. Ma ad alimentare il suo e il nostro pessimismo aggiunge la considerazione che qui non di pittoresca criminalità locale si tratta, bensì della massima visibilità di un sistema occulto che ormai ha ramificazioni, almeno in Italia, quasi dappertutto.
Al Mercadante di Napoli fino al 18 novembre.