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Ecumenismo, Paura ed ... Eu-angélo!!!

LO SPIRITO DI ASSISI ... E LO SPIRITO DI MONACO. All’ Incontro interreligioso di preghiera per la pace, voluto da Giovanni Paolo II (1986),tenutosi ad Assisi, Benedetto XVI non va - manda un messaggio ... ma poi, oggi - da Monaco di Baviera, ‘urla’ al mondo che sono gli Altri che hanno paura ... di un Occidente che oscura Dio! Dopo Wojtyla (Giovanni Paolo II a Casablanca - nel 1985 - baciò il Corano!), il Libro si è chiuso ... e il cielo si è oscurato

GESU’: "JE SUiS ... CHRETIEN" !!! Non ... "CRETIN"!!! Né "cattolico-romano"!!!
domenica 10 settembre 2006 di Federico La Sala

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> LO SPIRITO DI ASSISI ... E LO SPIRITO DI MONACO. All’ Incontro interreligioso di preghiera per la pace, voluto da Giovanni Paolo II (1986),tenutosi ad Assisi, Benedetto XVI non va - manda un messaggio ... ma poi, oggi - da Monaco di Baviera, ‘urla’ al mondo che sono gli Altri che hanno paura ... di un Occidente che oscura Dio! Dopo Wojtyla (Giovanni Paolo II a Casablanca - nel 1985 - baciò il Corano!), il Libro si è chiuso ... e il cielo si è oscurato

giovedì 26 ottobre 2006

27 ottobreLO SPIRITO DI ASSISI, VENT’ANNI DOPO

di Brunetto Salvarani *

«Non c’è niente di nuovo sotto il sole!». Persino il motto preferito dal biblico Qohelet, amaro ritornello che contrappunta quei dodici straordinari capitoletti capaci di mettere in crisi ogni coscienza religiosa, nulla può di fronte ad un evento come quello accaduto ad Assisi il 27 ottobre 1986. Non c’è nulla di retorico in questa affermazione, si badi! La Giornata mondiale di preghiera per la pace, infatti, fortissimamente voluta da Giovanni Paolo II, rappresentò davvero un novum assoluto nella storia delle relazioni interreligiose: per la prima volta un gran numero di esponenti delle diverse religioni presenti sulla terra si ritrovavano per pregare e testimoniare la natura profonda della pace, la sua qualità trascendente. Fra i commentatori, molti evidenziarono che dietro quanto accadde c’era, nei fatti, un riconoscimento reciproco delle religioni, e in particolare un’ammissione che le religioni e la preghiera - irriducibile a merce, a prodotto di mercato - non svolgono solo una funzione sociale, ma sono efficaci dinanzi a Dio. A dispetto del vento gelido che spirava per l’Umbria quel giorno, i cuori di chi c’era, o di chi partecipò in spirito, erano pieni di calore...

Impossibile non situare questo anniversario anche alla luce delle roventi polemiche suscitate dall’intervento di Benedetto XVI a Regensburg sul rapporto tra fede e ragione, il 12 settembre scorso, finalmente ormai rientrate: incomprensioni che però confermano il bisogno impellente di proseguire su quella strada tracciata vent’anni fa, e semmai di accelerarla ulteriormente, affinandola, in una fase storica che sta vivendo una brusca sterzata verso lo scontro interreligioso. «Volevo invitare al dialogo tra le religioni nel mondo moderno. - ha detto papa Ratzinger alla successiva udienza del mercoledì, fugando ogni interpretazione malevola della sua lezione - Confido quindi che dopo le reazioni del primo momento, le mie parole possano costituire una spinta e un incoraggiamento ad un dialogo positivo, anche autocritico, tra le religioni e tra la ragione moderna e la fede dei cristiani».

LA PREGHIERA E LA PACE

Tornando al raduno di Assisi, Giovanni Paolo II - che lo promosse in prima persona, e superando non poche perplessità intorno a lui - disse che la sintonia di sentimenti verificatasi nell’occasione fece vibrare le «corde più profonde dello spirito umano»[1]. Mentre il cardinal Willebrands, recentemente scomparso, ne parlò come «dell’evento ecumenico più incisivo dopo il Concilio Vaticano II».

La convinzione di fondo che ispirava Giovanni Paolo II era che «la preghiera e la testimonianza dei credenti, a qualunque tradizione appartengano, può molto per la pace nel mondo». Egli volle chiarire il significato più profondo dell’incontro, aggiungendo: «il trovarsi insieme di tanti capi religiosi per pregare è di per sé un invito oggi al mondo a diventare consapevole che esiste un’altra dimensione della pace e un altro modo di promuoverla, che non è il risultato di negoziati, di compromessi politici o di mercanteggiamenti economici. Ma il risultato della preghiera, che, pur nella diversità di religioni, esprime una relazione con un potere supremo che sorpassa le nostre capacità umane da sole»[2]. Se le televisioni trasmisero in tutto il mondo le immagini e ribatterono il messaggio discutendo di pellegrinaggio, digiuno, orazione, da parte sua Wojtyla rilanciò l’idea dell’usanza medievale di una tregua di Dio, uno stop a tutte le guerre in corso almeno in coincidenza di quel momento.

Assisi fu un caso esemplare di gesto profetico, di azione che inaugura un orizzonte altro rispetto alla ripetitività del quotidiano, tipico della pedagogia dei gesti così cara al papa polacco: un insieme di immagini e azioni che hanno avuto la forza di scardinare barriere consolidate e dialogare con le altre religioni e il mondo laico. Aveva intuito che, quello della gestualità, è un ambito assai eloquente, soprattutto nel lungo periodo; tanto più che il sistema dell’informazione, ormai da tempo, privilegia la comunicazione più tramite immagini e figure che testi e voci. Ecco un’altra novità! «Ciò che è nuovo nel Novecento cattolico romano - si è scritto in merito - è che nel livello alto della gerarchia alcuni gesti sono divenuti occasione solenne e irreversibile per affermare de facto una comunione ancora distante in dialogo»[3].

LA SCELTA DI ASSISI

La scelta del pontefice, pure nel nostro caso, fu dunque di incidere non tanto su un piano teologico-dottrinale quanto su quello gestuale: un piano che non avrebbe abbandonato anche in seguito, e che già lo aveva visto a più riprese protagonista consapevole. Come in occasione del perdono al suo attentatore Alì Agca (1983), la visita alla sinagoga di Roma (poco prima dell’evento di Assisi), al muro occidentale del tempio di Gerusalemme, a mo’ di cristiano penitente (2000), alla moschea di Damasco, scalzo come di regola in casi simili (2001); ma anche col mea culpa nell’anno del Giubileo, e le visite ad Auschwitz, Hiroshima, Sarajevo, Beirut, Gorée, a ricordare il genocidio degli schiavi africani...

La Giornata fu predisposta con buon anticipo, dato che il suo primo annuncio ufficiale avvenne durante l’omelia di chiusura della tradizionale Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, il 25 gennaio 1986. Nei lavori di preparazione, svolse un ruolo fondamentale il cardinal Roger Etchegaray, allora presidente della Commissione Iustitia et Pax. In piena crisi degli euromissili, si decise di convocare i rappresentanti delle più varie religioni del mondo, e di chieder loro di rendere testimonianza al bisogno di pace: furono invitati rappresentanti delle chiese cristiane pre-calceldonesi, ortodosse, anglicane, riformate, per un totale di 62; e i rappresentanti di giudaismo, islam, buddhismo, shintoismo, hinduismo, religioni tradizionali e così via, per altri 62 presenti.

Il luogo opportunamente scelto fu appunto la bella città umbra, perché, si disse, «la serafica figura di san Francesco» ha trasformato quell’antico borgo «in un centro di fraternità universale». Persino il giorno della settimana fu frutto di riflessioni e attenzioni, fino ad optare per un lunedì, evitando così giorni già connotati come la domenica (giorno dei cristiani), il sabato (degli ebrei), il venerdì (dei musulmani). Il programma prevedeva nella mattina dei momenti di preghiera separati, con i rappresentanti delle religioni divisi in siti diversi, dopo l’accoglienza del pontefice ai partecipanti nella basilica di Santa Maria degli Angeli: poi, nel primo pomeriggio, un cammino di pellegrinaggio verso la meta comune, la basilica superiore di S. Francesco, in cui i diversi gruppi si riunirono e pregarono a turno. Ciascuno si sarebbe rivolto a Dio nel proprio modo. La presenza della televisione diffuse efficacemente, su scala mondiale, l’immagine potente della fila multicolore di leader religiosi sulla piazza san Francesco.

Anche in Vaticano, dicevamo, ci fu chi, abituato a ragionare col conforto del pragmatismo e senza troppo concedere all’utopia, accolse l’iniziativa con qualche perplessità: quale Dio sarà pregato? Non finirà per diventare, nonostante le premesse, una pericolosa concessione al sincretismo? Oppure ad una sorta di folklore buonista, irenico? Probabilmente, non mancava qualcuno ancora convinto che le altre religioni non siano che forme di idolatria, vicine al paganesimo (secondo una visione pre-conciliare ma allora, e forse ancor oggi, diffusa in parecchi ambienti)...

PORTATRICI DI VALORI SALUTARI

In realtà, va rimarcato in questi giorni in cui se ne fa memoria, Giovanni Paolo II stava dando continuità allo spirito e alle costituzioni del Concilio Vaticano II, che - soprattutto grazie alla dichiarazione Nostra Aetate - riconoscevano alle altre religioni elementi di verità: egli era consapevole che bisognava superare l’antica formula ricorrente per cui «extra ecclesiam nulla salus», e impattava di fatto il sogno di quei teologi che parlavano di dialogo intra-religioso e non solo inter-religioso, un dialogo alla ricerca dell’integrazione della verità percepita nell’altra religione, pur restando nella propria tradizione.

La chiesa di Roma rompeva così, mediante un gesto concreto, con gli equivoci di una visione aggressiva dell’evangelizzazione, per cui i credenti delle altre fedi dovevano essere oggetto di proselitismo, figlia del tempo in cui il cristianesimo manteneva naturalmente stretti legami con l’espansione coloniale e l’eurocentrismo. Il pontefice invitava i cristiani a cogliere il kairòs che si stava manifestando, ad abbandonare l’abito mentale di chi si sente superiore e guarda alle altre religioni con una punta di disprezzo, come si scrutano le copie imperfette o i prodotti della preistoria. Così il teologo Marie-Dominique Chenu sintetizzava la nuova visione che ne derivava: «non si tratta solo di affermare che gli uomini di buona volontà possono trovare la loro via di salvezza nelle altre religioni; bisogna anche ritenere che le grandi religioni non-cristiane possono essere portatrici di valori salutari che preparano al riconoscimento della pienezza della verità che si trova nel cristianesimo»[4]. E così spiegò le sue intenzioni il papa, per fugare definitivamente ogni equivoco: «il fatto che noi siamo venuti qui non implica alcuna intenzione di ricercare un consenso religioso tra noi o di negoziare le nostre convinzioni di fede. Né significa che le religioni possono riconciliarsi sul piano di un comune impegno in un progetto terreno che le sorpasserebbe tutte. Né esso è una concessione ad un relativismo nelle credenze religiose, perché ogni essere umano deve sinceramente seguire la sua retta coscienza nell’intenzione di cercare e di obbedire alla verità. Il nostro incontro attesta soltanto che nel grande impegno per la pace, l’umanità, nella sua stessa diversità, deve attingere dalle sue più profonde e vivificanti risorse, in cui si forma la propria coscienza e su cui si fonda l’azione di ogni popolo»[5].

FIGLI DELL’UNICO DIO

A distanza di due decenni, è indispensabile - infine - domandarsi cosa sia rimasto di quello spirito, di quell’esperienza così forte (che sarebbe stata reiterata in un secondo incontro a pochi mesi dall’11 settembre, il 24 gennaio 2002, sempre ad Assisi); e quale sia il messaggio che ne deriva per l’oggi. Certo, lo accennavamo sopra, è cambiato profondamente il contesto culturale, sociale e politico. La divisione tra i due classici blocchi su scala planetaria ha ceduto il posto all’azione di un’unica superpotenza, incalzata sul piano economico dai giganti asiatici, che gli analisti chiamano Cindia; l’illusione (sperata o temuta) di una secolarizzazione generalizzata e di una fine delle religioni ad un’ambigua rivincita di Dio e ai sentori di un vero e proprio scontro di civiltà; le timide speranze di esaurimento dei conflitti in corso ad una guerra preventiva e infinita ad un terrorismo tremendo quanto pervasivo. Non è invece cambiata, peraltro, l’ansia di conseguire una pace giusta, mentre è aumentata esponenzialmente la percezione che i mondi religiosi possono avere un ruolo centrale a tale proposito, così come l’hanno avuto in negativo, negli ultimi anni, nella ex Yugoslavia, in Iraq, negli Stati Uniti e altrove, nel giustificare strumentalmente il ricorso alla forza e alla violenza. Alta e prepotente, infatti, è la voce di chi convoca a chiusure identitarie, se non addirittura ad imbracciare le armi perché Dio lo vuole!

Ecco perché c’è tuttora necessità di custodire intatto lo spirito di Assisi, in una stagione che registra un grande disorientamento diffuso a causa del pluralismo religioso e culturale, del processo di meticciamento, delle enormi migrazioni dal sud al nord del pianeta. Su questa linea, del resto, si è posto lo stesso Benedetto XVI, nel messaggio inviato al riguardo al vescovo d’Assisi, Domenico Sorrentino, a margine delle celebrazioni indette dalla Comunità di Sant’Egidio e dalle diocesi umbre agli inizi di settembre, in cui l’iniziativa è presentata come avente avuto «il carattere di una puntuale profezia». Specificando inoltre che «nonostante le differenze che caratterizzano i vari cammini religiosi, il riconoscimento dell’esistenza di Dio, a cui gli uomini possono pervenire anche solo partendo dall’esperienza del creato (cfr. Rm 1,20), non può non disporre i credenti a considerare gli altri esseri come fratelli.

A nessuno è dunque lecito assumere il motivo della differenza religiosa come presupposto o pretesto di un atteggiamento bellicoso verso altri esseri umani»[6]. Papa Ratzinger coglieva qui l’occasione di ribadire il rifiuto di qualsiasi interpretazione sincretistica fondata su una concezione relativistica della realtà, tanto per l’incontro di allora, quanto per qualsiasi autentico itinerario di dialogo interreligioso e interculturale, che - come ha ribadito il 25 settembre a Castelgandolfo nel delicato incontro con gli ambasciatori dei paesi islamici e i membri della Consulta per l’islam - «costituisce una necessità per costruire insieme il mondo di pace e di fraternità ardentemente auspicato da tutti gli uomini di buona volontà». Quel dialogo che, all’epoca, poteva ancora apparire un optional suggestivo dell’essere cristiano, mentre ora (e si può facilmente immaginare che la tendenza sia all’aumento oltre che irrevocabile, nonostante difficoltà, resistenze e impedimenti) viene sempre più colto come un suo elemento vitale. Nonché, auguriamocelo, capace di produrre quei semi di pace e di giustizia di cui tutte le genti hanno un bisogno quanto mai urgente.

L’acquisizione del dialogo come caso serio, ecco il frutto più saporito di una celebrazione che non risulti puramente retorica e ornamentale, ancor più urgente - semmai - dopo l’episodiodi Regensburg. Da questo punto di vista, come ebbe ad auspicare lo stesso Wojtyla, se lo spirito di Assisi si è rivelato davvero un «dono provvidenziale per il nostro tempo», esso è chiamato oggi a servire di ispirazione per una maggiore audacia nel percorrere le vie del dialogare, «dal momento che uomini e donne di questo mondo, a qualsiasi popolo o fede appartengano, possono scoprirsi figli dell’unico Dio e fratelli e sorelle tra loro»[7]. Un auspicio che è anche una speranza, virtù teologale di cui Assisi ha reso una splendida testimonianza.

Brunetto Salvarani


[1] GIOVANNI PAOLO II, Ut unum sint (1995), n.76 (in EV 14, EDB, Bologna 1997, 1659).

[2]GIOVANNI PAOLO II, «Discorso ai rappresentanti delle diverse religioni convenuti in Assisi per la Giornata Mondiale di Preghiera per la Pace del 27 ottobre 1986», n..1

[3] A.MELLONI, «I gesti ecumenici nel cattolicesimo contemporaneo», in Concilium n.3 (2001), p.174s.

[4] M._D. CHENU, «Incontrarsi è un dovere, parola del Concilio», in Jesus, ottobre 1986, p.4.

[5]GIOVANNI PAOLO II, «Discorso ai rappresentanti delle diverse religioni convenuti in Assisi per la Giornata Mondiale di Preghiera per la Pace del 27 ottobre 1986», n. 2.

[6] Avvenire (5/8/2006), p.6.

[7] GIOVANNI PAOLO II, «Le dialogue interreligieux est devenu réalité», in La Documentation Catholique 2236 (2000), p.958.


* Ringraziamo l’amico Brunetto Salvarani, direttore di CEM-Mondialità, per averci messo a disposizione questo suo testo su Assisi 20 anni dopo uscito su Settimana n.36 del 2006.

www.ildialogo.org,Giovedì, 26 ottobre 2006


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