Livi Bacci: «È l’Africa la vera emergenza»
di Umberto De Giovannangeli*
Il grido d’allarme della Fao analizzato da Massimo Livi Bacci, ordinario di Demografia all’Università di Firenze, già presidente dell’International Union for Scientific Study of Population, oggi senatore dell’Ulivo. «L’emergenza delle emergenze - avverte Livi Bacci - si chiama Africa, il continente dove tutti gli indicatori sociali indicano il disastro».
Professor Livi Bacci, qual è il tratto di fondo del grido d’allarme lanciato dalla Fao nel suo rapporto annuale sullo stato dell’insicurezza alimentare?
«Ritengo che questo disastro vada circoscritto soprattutto all’Africa subsahariana: tre quarti dei denutriti si trovano lì. Quello che non trovi in Asia e in America Latina lo trovi tutto in Africa subsahariana, laddove l’ancora velocissima crescita demografica ha una sua parte».
Quali sono le ragioni strutturali del fallimento denunciato dalla Fao?
«Per quanto riguarda l’Africa, questo si inserisce in un problema molto più grande che riguarda tutte le dimensioni dello sviluppo. e di converso tutte le dimensioni della povertà. Anche per altri indicatori l’Africa subsahariana sta andando molto piano, ammesso che si muova. Se noi guardiamo all’andamento della mortalità infantile, all’andamento della natalità, a quello della speranza di vita, alla diffusione dell’aids, a tutte le dimensioni di carattere sociale, troviamo che l’arretramento dell’Africa è abissale. La sottoalimentazione, come la malnutrizione fanno parte integrante di questo quadro di ritardo che non ha una dimensione sola ma ne ha tantissime. In Africa poi sono ancora più aggravati i problemi di disuguaglianza nella distribuzione delle risorse, disuguaglianze dei redditi, disuguaglianze economiche ancora più che in altri continenti. Questo contribuisce a far crescere la proporzione di quelli che sono esclusi.Uno dei problemi non è tanto che non cresca adeguatamente la produzione di risorse ma la loro inefficiente o addirittura iniqua distribuzione. Questi sono i fatti fondamentali».
Al di là dell’aspetto valoriale, che chiama in causa principi come quello della solidarietà, perchè l’Occidente dovrebbe guardare con preoccupazione all’allarme lanciato dalla Fao?
«Noi non possiamo da un lato sostenere e trarre vantaggio dai processi di globalizzazione, e dall’altro, non avere le più grandi preoccupazioni per quelle parti del mondo dove lo sviluppo è assente. Credo che questa sia una contraddizione teorica: se i processi di mondializzazione dell’economia e della finanza hanno dei lati positivi, ebbene, dobbiamo farci carico per quanto sia possibile e preoccuparci di quelle parti del mondo dove i processi di sviluppo restano fortemente indietro. Non ci si può beare solo del lato positivo. Se fossimo ancora a compartimenti stagni, potremmo dirci beh, insomma, quello è un altro mondo, non mi interesso di Marte e neanche dell’Africa...., però i compartimenti stagni non esistono più, i popoli girano, le merci girano, così come le informazioni e le idee, e quindi dobbiamo allarmarci di fronte al gap sempre più crescenti tra chi ha e chi non ha...».
Dall’Occidente all’Italia. Quale misura potrebbe segnalare in concreto l’assunzione di responsabilità?
«Un indicatore macro è l’impegno nella cooperazione allo sviluppo che è anche l’indicatore più facile a migliorare se ci sono risorse. Io dò più soldi e quindi in qualche modo posso indirettamente contribuire allo sviluppo. Questo è un aspetto nel quale tutto il mondo occidentale è in grave ritardo. Pensiamo inoltre alle politiche agricole; politiche che ancora proteggono fortemente l’agricoltura europea, come quelle di Usa e Giappone, implicano indirettamente un freno allo sviluppo dei redditi agricoli degli altri Paesi. Una assunzione di responsabilità potrebbe essere quella di partecipare attivamente al graduale e veloce smantellamento di queste situazioni di favore dell’Occidente».
* www.unita.it, Pubblicato il: 31.10.06 Modificato il: 31.10.06 alle ore 8.44