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Per l’inizio del dialogo, quello vero (B. Spinelli)

ITALIA E PAKISTAN: LA DIVINA COMMEDIA (Dante Alighieri) E IL POEMA CELESTE (Muhammad Iqbal). Ri-leggiamo insieme... le due opere e i due Autori! Un’ipotesi di rilettura di DANTE .... e un appello per un convegno e per il Pakistan!!!

DANTE PER LA PACE, PER LA PACE TRA LE RELIGIONI E TUTTI I POPOLI.
venerdì 9 novembre 2007 di Federico La Sala
[...] W O ITALY ... Dopo di lui, in Vaticano, è tornata la confusione, la paura, e la volontà di potenza e di dominio. Un delirio grande, al di qua e al di là del Tevere, ma La Legge dei nostri ‘Padri’ e delle nostre ‘Madri’ Costituenti è sana e robusta ... Dante è riascoltato a Firenze, come in tutta Italia - e nel mondo. Anche nel Pakistan - memori del “Poema Celeste” (Muhammad Iqbal) - la Commedia non è stata dimenticata!!! [...]
PENSARE UN ALTRO ABRAMO: GUARIRE LA NOSTRA (...)

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> Nobel per la Pace. Malala, cioè Malala Yousafzai, pachistana diciassettenne, e Kailash Satyarthi, attivista sociale indiano, 60 anni, sono i due protagonisti di quest’anno. La commissione di Oslo li ha scelti per la comune lotta, anche se condotta separatamente, contro lo sfruttamento e in favore del diritto dei bambini all’educazione.

sabato 11 ottobre 2014

Nobel per la Pace

Un premio a favore dei diritti dei bambini

La pachistana Malala sopravvissuta a un attacco talebano e l’indiano Satyarthi i due nuovi simboli

di Ugo Tramballi (la Repubblica, 11.10.2014)

«Chi di voi è Malala?». Era il 9 ottobre 2012. Nessuno poteva immaginare - nemmeno il talebano che lo aveva chiesto, convinto di emettere una sentenza di morte - che due anni dopo la vittima designata, centrata alla testa da un colpo di pistola, sarebbe diventata un Nobel per la Pace: all’età di 17 anni, la più giovane di un riconoscimento la cui media dei premiati è di 62 anni. Forse è per questo, per la paura di una straordinarietà ritenuta eccessiva perfino dai giurati del Nobel, che alla fine hanno deciso di dividere il premio, attribuendolo anche a un sessantenne.

Malala, cioè Malala Yousafzai, pachistana diciassettenne, e Kailash Satyarthi, attivista sociale indiano, 60 anni, sono i due protagonisti di quest’anno. La commissione di Oslo li ha scelti per la comune lotta, anche se condotta separatamente, contro lo sfruttamento e in favore del diritto dei bambini all’educazione. La provenienza di entrambi dal Subcontinente indiano è casuale ma non del tutto: musulmani o hindu, è lo spirito millenario di quel luogo che crea persone votate al bene degli altri, con una fede assoluta. È lo spirito gandhiano che nella motivazione della commissione di Oslo, è stato volutamente richiamato.

Uguali le ragioni del premio ma diversi i campi di battaglia nel quale la pachistana e l’indiano lo hanno conquistato. Nel suo Malala deve affrontare un nemico culturale e religioso: l’Islam oscurantista che educa all’ignoranza, soprattutto delle bambine. Già l’anno scorso Malala era nella rosa dei candidati al Nobel: era stata l’età a impedirle di vincere. Quest’anno, per quanto la giovane pakistana fosse ancora minorenne, premiarla aveva una valenza politica.

C’è sempre un messaggio politico nelle scelte fatte a Oslo: a un premiato esplicito corrisponde sempre un implicito biasimo. Si nomina Al Gore per condannare George Bush, un dissidente cinese per punire il regime di Pechino, un attivista del Terzo mondo per evidenziare le colpe del Primo. Il Nobel a Malala, una piccola musulmana dal grande carattere, enfatizza la mostruosità del califfato iracheno; esalta i valori della prima in contrapposizione ai disvalori del secondo.

Il campo di battaglia di Kailash Satyarthi è economico. L’India è uno dei cinque Paesi Brics che già sfidano in crescita le potenze occidentali. Investe molto nell’educazione, la scolarizzazione elementare è ormai garantita al 93%; il Paese produce quasi tre milioni di laureati l’anno nelle sue 17.600 università e mille business schools. Per gli indiani, come per i cinesi e gli ebrei, l’educazione dei figli è un valore assoluto: se sfogliate l’annuario degli alumni di Harvard o Yale troverete migliaia di nomi indiani.

Ma il 25% della popolazione, quasi il 50 di quella femminile, resta analfabeta. È in questa ombra lasciata fuori dal cono di luce della "India Shining", che la povertà continua a prosperare. Si calcola che siano almeno 60 milioni i minori costretti a lavorare spesso in una condizione di reale schiavitù. Satyarthai, con una laurea e un lavoro da ingegnere elettrico, era comodamente dentro il cono di luce dell’India splendente. Ma ha saputo guardare dentro il buio. Viene dal Madhya Pradesh, lo Stato indiano centrale la cui capitale è Bhopal dove nel 1984 ci fu la più grande tragedia industriale della storia: l’esplosione della fabbrica di pesticidi della Union Carbide uccise subito quasi 3mila persone. Ma 500mila ne subirono le conseguenze nei mesi e negli anni a venire, nessuno sa quanti morirono.

Quattro anni prima Satyarthai aveva fondato il Bachpan Bachao Andolan, il Movimento per la salvezza dell’infanzia. Erano bambini la gran parte delle vittime fra gli operai dentro la fabbrica della Union Carbide, e fuori, negli slum a ridosso delle mura del complesso industriale. Negli anni successivi Kailash Satyarthai avrebbe compiuto in tutta l’India degli autentici raid fra i produttori di tappeti, nelle miniere, nelle fabbriche di note marche occidentali per smascherare la condizione di schiavitù nella quale facevano lavorare i minori.

«Chi di voi è Malala?», è invece il culmine di una storia tanto breve quanto più conosciuta e ormai leggendaria. Satyarthi già salvava da anni bambini dando loro un’educazione (sono 80mila a tutt’oggi quelli che gli devono un futuro), quando in una scuola della valle dello Swat, una bambina di due anni e mezzo frequentava le lezioni accanto a bambini di 10. Malala Yousafzai era un prodigio. Nel Pakistan settentrionale tutti ricordano quando i talebani conquistarono lo Swat, imponendo la loro legge islamica e chiudendo 400 scuole. Ancor di più ricordano quando Malala, all’età di 11 anni, convocò una conferenza stampa e gridò nel microfono: «Come osano i talebani, negarmi il mio diritto fondamentale all’educazione?».

«In realtà non volevamo ucciderla, sapevamo che sarebbe stata una cattiva pubblicità sui media», avrebbe poi detto un portavoce dei talebani dello Swat. «Ma non avevamo alternative». Dal loro punto di vista non avevano torto: una bambina ostinata e prima della classe li stava umiliando. Così il 9 ottobre 2012 un talebano salì sullo scuolabus, si fece dire chi fosse Malala e le sparò in testa. Essendoci un Dio pietoso, diverso da quello al quale credono gli estremisti, la ragazzina si salvò. Nove mesi più tardi andò alle Nazioni Unite a tenere un discorso ormai entrato nella storia: «Pensavano che i proiettili ci avrebbero fatto tacere. Ma hanno fallito: da quel silenzio sono venute migliaia di voci». E due anni più tardi, a dicembre a Oslo, Malala riceverà insieme a Kailash Satyarthi il più alto dei premi.


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