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Per l’inizio del dialogo, quello vero (B. Spinelli)

ITALIA E PAKISTAN: LA DIVINA COMMEDIA (Dante Alighieri) E IL POEMA CELESTE (Muhammad Iqbal). Ri-leggiamo insieme... le due opere e i due Autori! Un’ipotesi di rilettura di DANTE .... e un appello per un convegno e per il Pakistan!!!

DANTE PER LA PACE, PER LA PACE TRA LE RELIGIONI E TUTTI I POPOLI.
venerdì 9 novembre 2007 di Federico La Sala
[...] W O ITALY ... Dopo di lui, in Vaticano, è tornata la confusione, la paura, e la volontà di potenza e di dominio. Un delirio grande, al di qua e al di là del Tevere, ma La Legge dei nostri ‘Padri’ e delle nostre ‘Madri’ Costituenti è sana e robusta ... Dante è riascoltato a Firenze, come in tutta Italia - e nel mondo. Anche nel Pakistan - memori del “Poema Celeste” (Muhammad Iqbal) - la Commedia non è stata dimenticata!!! [...]
PENSARE UN ALTRO ABRAMO: GUARIRE LA NOSTRA (...)

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> ITALIA E PAKISTAN: LA DIVINA COMMEDIA (Dante Alighieri) E IL POEMA CELESTE (Muhammad Iqbal). ---- Intervista a Kamila Shamsie:il Pakistan vuole normalità non fanatismo (di Daniela Pizzigalli).

giovedì 21 gennaio 2010

intervista Shamsie: il Pakistan vuole normalità non fanatismo

La scrittrice a Milano parla del suo nuovo romanzo: «C’è troppa diffidenza reciproca fra islam e Occidente. La provo sulla mia pelle. Ma la cultura può davvero servire a vincere la paura»

DI DANIELA PIZZAGALLI (Avvenire, 21.01.2010)

La giovane Hiroko, mar­chiata dall’esplosione atomica di Nagasaki nel corpo e nell’anima, arriva a Nuova Delhi nel 1947, in tempo per innamorarsi di un indiano musulmano che do­vrà forzatamente lasciare l’a­mata città e andare a vivere in Pakistan a causa della Parti­zione. E’ una storia di irri­mediabili perdite ma anche di ostinata speranza, quella raccontata dalla pakistana Kamila Shamsie nel roman­zo Ombre bruciate (Ponte al­le Grazie, pagine 386, euro 18,60): nonostante gli eventi della vita di Hiroko contem­plino anche un figlio recluta- to in un campo afgano di mujaheddin, un marito uc­ciso da un agente della Cia e si trovi infine a New York l’11 settembre 2001, lei non per­de la voglia di sopravvivere e di guardare avanti. Hiroko è un personaggio di tale forza da essersi imposta anche al­l’autrice: «Il protagonista do­veva essere il giovane paki­stano Raza», ci dice Kamila Shamsie, già nota in Italia per il successo dei romanzi pre­cedenti, Sale e zafferano e Versi spezzati «e gli ho attri­buito una madre giappone­se per il richiamo alla bom­ba atomica, perché il ro­manzo doveva iniziare al tempo dei test nucleari di In­dia e Pakistan, con il conse­guente pericolo di una defla­grazione mondiale. Ma la personalità della madre e le ragioni del suo arrivo in Paki­stan mi hanno tanto preso da costringermi a mettere al centro dell’attenzione la ge­nerazione precedente, con Hiroko a fare da simbolo di un nuovo tipo di donna, u­scito più volitivo e autonomo dal crogiuolo infuocato del­le tragedie inflitte dalla Sto­ria ».

Ombre bruciate , già tradotto in 17 lingue e finalista in In­ghilterra all’Orange Prize, in­treccia destini privati e rifles­sione storica: «Creiamo la de­solazione e la chiamiamo pa­ce », dice un personaggio del romanzo, un idealista che ha creduto nell’intervento ame­ricano in Afghanistan contro l’invasione sovietica, ma do­po il 2001 vede infrante le prospettive di una democra­zia esportata. La scrittrice ha molta familiarità con questo argomento, perché vive tra gli Usa, dove ha studiato all’U­niversità, Londra, dove scri­ve e collabora come opinio­nista per il Guardian , e Kara­chi, dove vive la sua famiglia.

«Ero in America l’11 settem­bre 2001, e mi ha colpito co­me la gente fosse presa alla sprovvista: non avevano idea dell’accumularsi dell’odio contro gli Stati Uniti, non sa­pevano quanto si fosse acui­to e diffuso il fanatismo. Una parte significativa del ro­manzo si svolge in Afghani­stan, perché come paki­stana è una si­tuazione e­splosiva che abbiamo alle porte, anche nel recente attacco suici­da è morto qualcuno che conoscevamo, a Karachi non c’è famiglia che non abbia subito disagi e lutti. La mia opinione è che gli americani non dovevano lasciare l’Af­ghanistan dopo aver caccia­to i sovietici, dovevano resta­re a lavorare per la ricostru­zione. Lo sbaglio è stato di non avere un programma a lungo termine, in quel mo­mento Al Qaeda non dispo­neva ancora di un vasto se­guito, poteva essere annien­tata. Di questo vuoto hanno approfittato i talebani, ora tutto è distrutto, e tutti sono armati, dunque la possibilità di una ricostruzione è sem­pre più remota».

Nell’ultima parte del roman­zo, che si svolge a New York, prende spazio una giovane amica americana di Hiroko, Kim, che sogna, grazie ai suoi studi ingegneristici, di co­struire grattacieli indistrutti­bili da attacchi nemici e, pur volendo essere ottimista sul futuro del mondo, si lascia sopraffare dai sospetti verso un giovane afgano che esal­ta i martiri della jihad. «Que­sta strisciante diffidenza re­ciproca - osserva Kamila Shamsie - io la provo sulla mia pelle. Ho sempre viag­giato molto fra un mondo e l’altro, e mi accorgo con fa­stidio di una crescente reto­rica ’ della differenza’, dei pregiudizi che impediscono una convivenza rilassata e sincera. Fra pochi giorni an­drò a Karachi, che fra l’altro è sempre stata una città con grande voglia di vivere: i tea­tri sono pieni, la vita intellet­tuale è intensa, si fa di tutto per vincere la paura, che è sempre in agguato. Ogni at­to ’normale’ richiede corag­gio, anche solo quello dei ge­nitori nel portare i bambini a scuola».


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