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Per l’inizio del dialogo, quello vero (B. Spinelli)

ITALIA E PAKISTAN: LA DIVINA COMMEDIA (Dante Alighieri) E IL POEMA CELESTE (Muhammad Iqbal). Ri-leggiamo insieme... le due opere e i due Autori! Un’ipotesi di rilettura di DANTE .... e un appello per un convegno e per il Pakistan!!!

DANTE PER LA PACE, PER LA PACE TRA LE RELIGIONI E TUTTI I POPOLI.
venerdì 9 novembre 2007 di Federico La Sala
[...] W O ITALY ... Dopo di lui, in Vaticano, è tornata la confusione, la paura, e la volontà di potenza e di dominio. Un delirio grande, al di qua e al di là del Tevere, ma La Legge dei nostri ‘Padri’ e delle nostre ‘Madri’ Costituenti è sana e robusta ... Dante è riascoltato a Firenze, come in tutta Italia - e nel mondo. Anche nel Pakistan - memori del “Poema Celeste” (Muhammad Iqbal) - la Commedia non è stata dimenticata!!! [...]
PENSARE UN ALTRO ABRAMO: GUARIRE LA NOSTRA (...)

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> ITALIA E PAKISTAN: LA DIVINA COMMEDIA (Dante Alighieri) E IL POEMA CELESTE (Mohammad Iqbal). Ri-leggiamo insieme... le due opere e i due Autori! -- IL FRUSCIO DELLE ALI DI GABRIELE. L’incubo del pavone di Suhrawardi (di Rosita Copioli). -

sabato 19 aprile 2008

islamica

L’incubo del pavone di Suhrawardi

di ROSITA COPIOLI (Avvenire, 12.04.2008)

Tutte le mattine all’alba, Suhrawardi si levava per contemplare la luce del sole. Come una lampada accesa da quei raggi, la sua anima scintilla¬va, sollevandosi dal mondo materiale. Scorgeva una porta spalancata sul deserto.

Lì un anziano bello e luminoso, l’angelo Gabriele, diventava suo maestro. Era la decima e ultima intelligenza angelica, l’intelletto attivo che talora si fonde con l’Universale, e che è il primo Verbo e Spirito Santo per la terra: colui che trasmette l’anima agli uomini: di questo contatto con la natura terrena è segno l’ala sinistra color porpora, mescolanza tra lo scuro della materia e la luce del divino. Tramite estremo dell’Essere, Gabriele insegnava a Suhrawardi la conoscenza del creato, e la via per raggiungere Dio. Le parole e le visioni prendevano forme di parabole, miti, metafore, come questi dieci racconti iniziatici, che Nasrollah Pourjavady ha estratto e commentato da un’opera immensa, sostanzialmente ancora inedita in Italia, e che Sergio Foti ha tradotto per l’eccellente collana «Islamica».

Varcando la porta, Suhrawardi entrava nel mondo immaginale, dove gli spiriti prendono corpo e i corpi si spiritualizzano. Viveva tutte le condizioni dell’anima esiliata, incarcerata, che aspira a tornare al suo nido. Imparava a sollevarsi come il falco, l’upupa, il pavone, che trascendono le loro singole nature, per congiungersi con Simorgh, lo spirito alato che dall’albero Tub? del paradiso sulla montagna Qaf, spicca incessantemente il volo e ritorna per rigenerare i fiori e i frutti della terra: ulteriore immagine di Gabriele: riflesso di Dio: padre delle anime alate, che nutre tutte le creature.

In uno degli apologhi sulla figura di Dio come principio del Bene e del Bello trasmessi ad Adamo, Suhrawardi presenta un sovrano che possiede un giardino perenne. Le piante fioriscono in profumi ogni stagione dell’anno, vi scorrono profluvii di acque, uccelli di ogni specie fanno risuonare i loro canti tra i rami verdissimi. Un gruppo di pavoni meravigliosi l’ha preso a dimora. Un giorno il re fa catturare uno di loro, lo fa cucire in un sacco di pelle vecchia che nasconde ogni sua piuma colorata. Gli fa gettare sul capo un cesto con un solo buco, per il po’ di miglio necessario a sopravvivere. Nell’involucro sporco, il pavone oblia se stesso, il parco, il re, i compagni, e finisce per credere che anche la terra sia grande quanto il fondo del suo sacco. Ma talora dalla fessura gli proviene una brezza, un profumo, e sempre più essi lo fanno sognare, in nostalgia di qualcosa di dimenticato. Infine il re ordina di toglierlo di lì. Il pavone teme di essere fatto a pezzi perché crede di essere una cosa sola con l’immonda pelle. Quando si risveglia, si rivede al centro del giardino, ritrova i colori, le voci, i profumi, il parco, le forme, gli spazi, e li rimira in eterno.

Come nelle grandiose configurazioni di Dante o di Ildegarda di Bingen le immagini e le parole-simbolo condensano una filosofia dell’illuminazione e una teologia ardue, che inviano a sensi e rispecchiamenti infiniti. Suhrawardi li eredita dalla Bibbia, da Platone, dai neoplatonici, da Avicenna, dal Corano, resuscitandovi la sapienza dell’Avesta persiana dei propri padri.

Non è sincretista. Henry Corbin lo chiarì. Suhrawardi è musulmano e ortodosso. Ma allora come oggi tra i legalisti e i wahabiti che alimentano l’integralismo senza respiro d’anima dove è nato il terrorismo, il suo linguaggio è il più pericoloso per i giuristi che usurpano il posto dei filosofi: non è quello astratto della logica razionalista, né quello freddo dell’arida allegoria: è quello caldo, colorato, dinamico, concreto dei simboli: quello del mito, delle storie religiose, della teologia, della poesia e dell’arte: quello della vita intera, nella sua libertà: è il linguaggio supremo della bellezza che il mondo odierno non sa riconoscere né difendere più.

Il Saladino lo condannò a morte. Suo figlio, che pur gli era amico, fu costretto a fare eseguire la sentenza del padre. Così era accaduto ad Hallaj, che aveva preso a modello Cristo, e fu un modello di Suhrawardi. La vita gli fu strappata nel 1191 ad Aleppo: Suhrawardi aveva trentasei anni e un’opera sterminata compiuta con la consapevolezza che «perder tempo a chi più sa più spiace».

Quando i sufi vorticano danzando come per spezzare l’involucro del corpo nella nostalgia di una musica delle sfere, che giunge con il fragore di una catena di metallo trascinata su scogli massicci, e le giunture si sciolgono per l’estasi terribile; quando con impeto Hallaj dice «Io sono il Vero» intendendo che Dio si è impossessato di lui; quando Suhrawardi vuole oltrepassare la conoscenza e l’amore, per giungere al vertice del desiderio ardente che unisce a Dio come in una cosa sola, non dobbiamo pensare che questi mistici desiderino la morte perché disprezzano la carne. Il loro eros brucia per imitazione: si consuma in agape, nell’amore che Dio riversa con abbondanza, senza limiti.

-  Shihab al-din Yahya Suhrawardi
-  IL FRUSCIO DELLE ALI DI GABRIELE
-  Mondadori. Pagine 230. Euro 16.00


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