FEMMINISMO
Le donne, il piacere: cosa è successo
La pillola, legale in Italia da 45 anni, ha rivoluzionato la sessualità femminile. Ma la strada è ancora lunga, tra conquiste ed errori . Quanto ha contribuito il movimento femminista alla liberazione sessuale? Ne parleremo in Triennale l’11 settembre
di Elena Tebano (Corriere della Sera, 05.09.2016)
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L’APPUNTAMENTO IN TRIENNALE
Elena Tebano affronterà l’argomento al Tempo delle Donne cercando di rispondere alla domanda: Quanto ha contribuito il movimento femminista alla liberazione sessuale delle donne? Oggi il loro piacere è davvero più diffuso e riconosciuto nelle relazioni come nella cultura comune?
L’appuntamento è al Triennale Lab, domenica 11 settembre, alle ore 11.30
LA DONNA CLITORIDEA AI TEMPI DI YOUPORN
Il Femminismo e la rivoluzione sessuale: un bilancio
Con Barbara Mapelli, coautrice di Infiniti amori (EDS), Barbara Bonomi Romagnoli, autrice di Irriverenti e libere (EIR), e Yasmin Incretolli, autrice di Mescolo tutto (Tunuè)
Kristeva: uniti, non sottomessi Come rifondare il matrimonio
di Stefano Montefiori (Corriere della Sera, 08.09.2016)
Una 25enne borsista bulgara arriva a Parigi, nel 1966, con cinque dollari in tasca, una non comune padronanza del francese e «idee tanto coraggiose quanto vaghe». La brillante studiosa Julia Kristeva chiede un incontro a Philippe Sollers, di pochi anni più grande e già fondatore della rivista Tel Quel, quella di Roland Barthes, Umberto Eco e alcuni altri monumenti. Julia e Philippe non si lasceranno più, l’estate prossima festeggeranno cinquant’anni di matrimonio. Allo loro unione hanno dedicato «Del matrimonio considerato come un’arte», non una ricetta ma una riflessione su «come vivere insieme, senza sottomissione dell’uno all’altro e senza negare le differenze».
Intanto, Julia Kristeva non crede nella coppia fusionale. «Nella storia recente della cultura francese abbiamo due o tre esempi di coppie date come modello, coppie surrealiste come Nadja e André Breton, dove la donna è allo stesso tempo mito, strega e vittima, oppure la coppia contestataria Beauvoir e Sartre, e poi ancora Elsa Triolet e Aragon, incensati dal partito comunista. Poi si è capito che questi miti si fondavano su errori, abbiamo conosciuto la sofferenza di Beauvoir rispetto alla mancata maternità, o la fuga di Aragon verso l’omosessualità. Non c’è un modello possibile, quel che conta è mettersi in discussione. Io e Philippe abbiamo subito preso la misura delle nostre singolarità ed estraneità, e abbiamo provato a fare della vita di coppia uno spazio di pensiero. Che ciascuno prosegua nella la sua creatività, che si discuta insieme. Coesistenza di due estraneità, rispetto dell’alterità dell’altro, e malgrado tutto cura, cioè preoccupazione dell’altro».
Sulla fedeltà, Kristeva ha delle frasi fulminanti: «Il sentimento di fedeltà risale all’infanzia e al suo desiderio di sicurezza. Personalmente ho ricevuto i miei pegni di fedeltà quando ero bambina». E ancora: «Ci possono essere “all’esterno” delle relazioni sessuali e sensuali che rispettano il corpo e la sensibilità del partner principale. È questa la fedeltà. E non stare sempre insieme, o non conoscere alcun altro uomo o alcuna altra donna». Qual è il ruolo del narcisismo? «Un incontro si basa sempre su un magnetismo sessuale e su una fascinazione, e in questa fascinazione c’è anche la capacità di tendere all’altro uno specchio gratificante. Tu ti vedi in me, io mi vedo in te e i nostri ideali, i nostri narcisismi si incrociano e si incontrano».
Guardando al suo matrimonio, secondo Kristeva «c’era una possibilità su non so quanti miliardi che una donna nata nell’Europa comunista percorresse una linea di pensiero che incrociava l’intelletto di un giovane borghese di Bordeaux. Ma in quella Francia che usciva dalla guerra d’Algeria alcuni intellettuali si interessavano allo strutturalismo, al formalismo russo, alla filosofia post-marxista. Sollers ha incontrato in me una ragazza che veniva dal comunismo del disgelo, l’era di Krusciov contro Stalin, l’apertura all’umanesimo dell’Illuminismo, la rivalutazione di Diderot, Voltaire, Rousseau, il nuovo romanzo dopo Sartre e Beauvoir sul quale avevo appena fato una tesi. Questa corrispondenza intellettuale si è tradotta nella realtà grazie anche al caso. Non ci saremmo mai incontrati se il capo del mio istituto in Bulgaria, un comunista puro e duro, non si fosse assentato permettendo a un altro professore di presentarmi all’Ambasciata di Francia per farmi assegnare la borsa di studio».
Nei giorni scorsi in Italia si è molto parlato di maternità, dopo una discussa campagna della ministra per la Salute. «La maternità ha scosso le femministe, le ha divise. Simone de Beauvoir diceva che un bambino era un tumore che divora la donna, che avere un bambino significa sottomettersi al patriarcato.
All’estremo opposto c’è l’idea di sottomettere la donna al ruolo di riproduttrice della specie.
Bisognerebbe evitare entrambi gli estremi e indagare a fondo la questione della passione materna. Ma non abbiamo abbastanza strumenti, l’umanesimo secolarizzato non ha un discorso sulla maternità, siamo vittime sia del rigetto, sia del discorso religioso, con il modello della Vergine Maria, il burqa o non so che altro. È la prossima sfida delle scienze umane accompagnare le donne nel loro desiderio di maternità, o di non maternità».
Le donne e il femminismo al bivio della maternità
di Lucetta Scaraffia (Corriere della Sera, 08.09.2016)
Questo articolo si inserisce nel confronto - suscitato dall’inchiesta giornalistica «Sesso e amore» sviluppata dal Corriere - che sarà al centro della manifestazione «Il Tempo delle Donne» in programma alla Triennale di Milano da domani all’11 settembre.
M i è capitato di recente: una ragazza bella, intelligente, molto impegnata nella sua professione, raccontandomi la situazione che stava vivendo, mi ha detto: «sono tre mesi che non batto chiodo» alludendo cioè all’assenza di rapporti sessuali recenti. Un linguaggio che un tempo - ma neanche poi tanti anni fa - avrebbe usato solo un soldato con un commilitone. E, dal momento che la conosco bene, so che è una ragazza che sognerebbe solo un amore vero, e una famiglia con dei figli, ma sa bene che la cultura post-rivoluzione sessuale non le permette di esprimere pubblicamente - ma forse neppure a se stessa - questa aspirazione, se non a costo di vedersi definita come una retrograda antiquata.
Proprio lei è l’esempio più chiaro della situazione delle giovani donne a rivoluzione sessuale realizzata: possono fare di tutto, nessuno si permette un giudizio su di loro partendo dal loro comportamento sessuale - e questo è senza dubbio un bene - ma questa libertà le rende veramente libere? O - se ancora è possibile parlare in questi termini - più felici? Per esempio più felici delle loro nonne, che vivevano in mezzo alle proibizioni ma che potevano dire a se stesse e agli altri che aspiravano all’amore e alla famiglia? Con la pillola, le donne hanno potuto vivere una libertà sessuale fino ad allora sperimentata solo dagli uomini, ma si sono trovate a vivere un tipo di rapporti modellati sulla sessualità maschile. Promiscuità, leggerezza, superficialità di relazioni. Rapporti che forse non erano poi così congeniali alla sessualità femminile.
Per di più si sono dovute assumere, con la pillola, tutto il peso della contraccezione, anche a costo di pagarne un prezzo non irrisorio per la loro salute. Non è un caso che oggi, in Francia e in area anglosassone, molte giovani donne si rifiutino di utilizzare la pillola per salvaguardare la loro salute, e preferiscano ricorrere a metodi naturali. Sì, proprio quei metodi naturali che proponeva Paolo VI nell’ Humanae Vitae, suscitando al tempo sghignazzi e irrisione.
Del resto, bisogna anche considerare che i profeti della «liberazione sessuale» erano tutti uomini - da Reich a Kinsey - mentre alle donne era stato lasciato solo il compito di confermare le loro teorie con libri autobiografici. Le donne, probabilmente, non avrebbero mai sviluppato un programma utopico di tal portata sulla sessualità, conoscendone troppo da vicino anche gli aspetti negativi - che ovviamente non consistono solo nel timore di una gravidanza - che non sono certo stati cancellati in questi decenni di liberazione. Ma certo il femminismo degli anni Settanta ha in grande misura fatto propria questa utopia, travestendola da utopia di liberazione della donna. Di liberazione da cosa? In primo luogo liberazione dalla maternità, attraverso due strade che sono state pagate dalle donne sul loro corpo, cioè la pillola e l’aborto.
Oggi le giovani donne, che hanno tutta la libertà sessuale che vogliono, non hanno quella di fare figli, soprattutto di fare figli da giovani. E non solo perché il mercato del lavoro non glielo permette, ma anche perché non trovano facilmente giovani maschi che abbiano il desiderio di assumersi la responsabilità di fare i padri.
In passato, i maschi diventavano padri nel matrimonio, che coincideva più o meno con l’inizio della loro vita sessuale: oggi non hanno certo bisogno di sposarsi per avere rapporti sessuali, e in più non hanno problemi di tempo. Per loro infatti non esiste l’orologio biologico che invece continua a condizionare la possibilità di diventare madri per le donne, che non è superato neppure grazie ai progressi della procreazione assistita. I tempi della fecondità femminile sono rimasti invariati, infatti, ma la società sembra non tenerne conto, non vuole vedere questa nuova occasione di differenza fra i sessi che penalizza le donne.
In sostanza le donne, nei Paesi occidentali, stanno pagando il mancato riconoscimento culturale e sociale attribuito alla procreazione. Proporre il dilemma fra creazione di qualsiasi tipo (la creazione di una linea di abbigliamento, di un nuovo piatto o di un marchio pubblicitario...) e procreazione - e svalutando la seconda a favore della prima - significa, infatti, negare valore al ruolo biologico della donna e spingerla ad assumere un ruolo maschile. Mentre la procreazione dovrebbe essere considerata una ricchezza essenziale per tutta la comunità umana.
L’antitesi alla libertà sessuale, intesa sempre, in fondo, come libertà dalla procreazione, non è solo il Fertility day proposto dalla ministra della salute Lorenzin. In Francia ci sono filosofe femministe che stanno elaborando una visione nuova e critica del femminismo cercando di affrontare la questione fondamentale: come rinnovarsi senza perdere il senso profondo e ricco delle relazioni femminili tradizionali? Senza condannarci a una società fredda e dominata dall’utile, dall’utopia del piacere?
Come fare perché le donne, anche dal punto di vista del comportamento sessuale, non diventino «un uomo come un altro» ma possano restare se stesse? C’è ancora molto lavoro da fare, molto da riflettere senza lasciarsi incantare dalle ideologie del passato, che ormai hanno fatto il loro tempo, e in sostanza hanno fallito la loro promessa utopica di felicità.