Lilith: la libertà della prima donna creata da Dio
di Sofia Russo (Il Chiasmo, 3 agosto 2020)
La leggenda di Lilith, demone-femmina, possiede un’ampia letteratura diffusa sia in epoca antica, medievale e moderna. Questo mito affonda le sue origini nella religione mesopotamica e nei primi culti di quella ebraica che, insieme ad altri miti come ad esempio quello del diluvio universale, potrebbe averlo appreso dai babilonesi durante la prigionia degli ebrei a Babilonia. Nella religione mesopotamica, Lilith, è un demone femminile portatore di sciagure e morte, legata al vento e alla tempesta e alcune trascrizioni che accennano a questo culto sembrerebbero risalire al III millennio a. C.
Nella religione ebraica, invece, Lilith è la prima moglie di Adamo che si rifugia nel Mar Rosso per fuggire dal marito. Lilith, infatti, essendo stata creata da Dio dalla polvere, come Adamo, pretendeva di averne anche gli stessi diritti, che, però, le furono negati. Per questo suo gesto di ribellione viene associata a un demone notturno, che spesso compare nella forma di una civetta, e capace di danneggiare i bambini maschi. Tuttavia, alla fine dell’Ottocento, durante l’emancipazione femminile, Lilith diventa simbolo della libertà delle donne.
Mi sembra, dunque, opportuno esaminare questa figura sia nella religione mesopotamica che in quella ebraica, così da poter identificare e capire la complessità di questa figura archetipica della Femminilità.
Per quanto riguarda il nome di Lilith, le fonti sono scarse. Sicuramente è rintracciabile la radice sumera Lil, che è presente nei nomi di varie divinità assiro-babilonesi e di spiriti cattivi. Nella religione accadica si rintracciano scongiuri e preghiere contro figure maligne e demoniache di nome Lilitu o Lilu. Tuttavia nel 2000 a. C. sembra che il nome fosse diventato Lilake: in merito a questo Robert Graves cita una tavoletta sumera di Ur che riporta la storia di Gilgamesh e il salice. Anche in questo episodio Lilake sarebbe una figura demoniaca femminile che risiede nel tronco di un salice, custodito dalla dea Inanna, Signora del Cielo ed equivalente della romana Venere. Un’ etimologia ebraica, invece, farebbe derivare il nome di Lilith da Layl o anche Laylah, cioè spirito della notte. Tuttavia gli studiosi moderni ritengono che l’origine sia nel sumerico Lulu che significa libertinaggio. Lilith sarebbe, dunque, un demone notturno lascivo e libidinoso.
Il Rilievo Burney è un altorilievo di terracotta, conservato al British Museum, risalente al II millennio a. C. probabilmente di origine babilonese. Raffigura una divinità, non ancora bene identificata, che, però, potrebbe essere Lilith. L’immagine scolpita è una figura ibrida, disposta in piedi frontalmente, con le braccia aperte e piegate come se stesse pregando, le mani congiunte e le dita unite. La bocca è atteggiata in un vago sorriso, ma l’espressione è tipica della plasticità arcaica: impenetrabile e ineffabile. I capelli sono fatti da quattro serpenti sovrapposti e formano un cono. I seni si protendono prosperosi, con evidente funzione sensuale. Le gambe sono femminili ma i piedi sono artigli di avvoltoio che spuntano dalle dita rugose.
Lilith tiene nelle mani due pentacoli che ricordano i segni geroglifici della Bilancia, simbolo di potenza e giustizia. Ai lati sono rappresentati due volatili che ricordano un gufo o una civetta e due leoni. L’altorilievo è scolpito in un triangolo equilatero, il cui vertice superiore è la testa di Lilith. Osservando l’opera si può percepire l’energia aggressiva che la permea e l’espressione agghiacciante e demoniaca di Lilith, così statica. Questa scultura racconta già il mito di Lilith: la prima moglie di Adamo è una creatura demoniaca di cui non fidarsi.
Nella tradizione ebraica il mito di Lilith appartiene alla tradizione delle testimonianze orali raccolte negli scritti rabbinici che formano la versione jahvista della Bibbia, che precede di qualche secolo quella dei sacerdoti. Queste versioni della Genesi sono molto complesse e presentano una serie di contraddizioni e incongruenze che si eliminano a vicenda: probabilmente la leggenda di Lilith è andata perduta o rimossa, proprio nell’epoca del passaggio dalla tradizione jahvista a quella sacerdotale poi ulteriormente modificata dai Padri della Chiesa.
Nella Bibbia ebraica Lilith compare una sola volta in Isaia 34:14:
L’ebraico lilit viene tradotto con civette, ma il libro di Isaia viene datato intorno al VII secolo a. C., cioè il secolo della cattività degli ebrei a Babilonia e, dunque, proprio il periodo in cui essi avrebbero appreso questo culto dalla religione mesopotamica.
Alcuni passaggi oscuri della Genesi hanno poi fatto pensare ad un’altra donna che precedette Eva. Nel primo libro della Genesi, infatti, si legge:
Dunque ci si riferisce a due individui e la creazione di Eva è descritta nel secondo libro della Genesi, successiva a quella di Adamo, da una sua costola (Genesi 2:22):
Seguendo il passo biblico si avverte un altro particolare interessante nella reazione di Adamo alla vista della sua compagna (Genesi 2:22-25):
Lo stupore di Adamo che questa volta la donna sia carne della sua carne conferma che ci deve essere stata una prima volta, riferito dunque a una donna precedente creata dal suolo come lui. Che in queste righe aleggi una rimozione è evidente.
Una fonte interessante che parla di Lilith come della prima figura femminile vista da Adamo è sicuramente L’alfabeto di Ben-Sira di un autore anonimo, scritto nel X secolo d. C. Nell’opera si racconta che Lilith abbandonò il giardino dell’Eden, lasciando Adamo. Viene raccontato che quando i due si accoppiavano, evidentemente Lilith giaceva sotto e Adamo sopra, per questo la donna mostrava insofferenza, domandando al compagno perché dovesse stendersi sotto di lui, pur essendo stati creati insieme dal suolo. Propone, quindi, di invertire le posizioni. La domanda di Lilith è, fondamentalmente, una domanda di uguaglianza per stabilire una parità e un’armonia fra i corpi e le anime. Ma Adamo rifiuta nettamente:
A questo rifiuto Lilith pronuncia infuriata il nome di Dio e, accusando Adamo, abbandona il paradiso terrestre. Si rifugia nel Mar Rosso dove, accoppiandosi con Asmodai, demone biblico, crea un’infinita generazione di demoni detti Lilim.
Il rifiuto di obbedire a Adamo che Lilith rivendica, oltre ad essere un atto di ribellione nei confronti dell’uomo è anche un atto di ribellione verso Dio che, infatti, la esilia nel regno delle ombre, Edom. Quello che è interessante è notare come questo mito sia stato rimosso dalle Sacre Scritture, rimanendo però vivo in quelle incongruenze della Genesi già menzionate e, soprattutto, in Eva. Sarà infatti Eva, spinta dall’istinto di curiosità e trasgressione, a mangiare il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male. Da questo momento in poi non solo Lilith, ma anche Eva e tutte le altre donne verranno, consciamente o inconsciamente, associate dalla cultura giudaico-cristiana al simbolo demoniaco del serpente e quindi del Male.
Nell’immaginario collettivo Lilith è un demone, simbolo di trasgressione e peccato e, nella cultura cristiana, ha subito una vera e propria damnatio memoriae. L’archetipo che, però, rappresenta non può essere rimosso in nessun modo, perché vive nel nostro inconscio, e simboleggia la forza, la disobbedienza e la trasgressione del Femminile, di tutti quei divieti posti sui desideri, non solo sessuali, delle donne. Lilith rappresenta un tabù culturale e religioso che sopravvive ancora ai nostri giorni.
Rimuovendo la creazione della prima donna si è rimosso anche l’energia vitale delle donne, la capacità di difendere i propri diritti, la legittimazione del desiderio sessuale e la giusta parità con l’uomo, in ogni ambito, anche nella divisione del potere. Da secoli si esalta solo la dimensione materna del Femminile, a svantaggio di tutto il resto, della complessità dell’ Anima, cioè delle sue aspirazioni e dei suoi desideri. Agendo in questo modo le donne sono state tagliate totalmente fuori dalla costruzione della società che è, ancora oggi, prettamente maschile, e si è creato uno sbilanciamento degli equilibri tra i due sessi.
La cultura giudaico-cristiana, da Lilith in poi, ha premiato solamente l’archetipo della donna in quanto madre per due ragioni: perché si garantiva la sopravvivenza della specie e perché più facile da controllare.
Nel corso della storia dell’Occidente, la concezione giudaico-cristiana che vede la donna come fonte di peccato e perdizione ha decisamente influito sul pensiero patriarcale, e questo ha portato le donne a stare blandamente ai margini di una società controllata e costruita da uomini per gli uomini e che, non tenendo conto della diversità e della pluralità del genere umano, è destinata al collasso. Questo è il momento di riscoprire la figura di Lilith, in quanto archetipo della ribellione e della disobbedienza a un potere assoluto che non accetta confronti, poiché è un mito che agisce nella psiche di tutti ed è, quindi, risorsa dell’umanità intera.
Per saperne di più:
Per una conoscenza maggiore dei temi trattati si consiglia la lettura di: Eva o Lilith? Identità femminile nella società (post)-patriarcale di Flaminia Nucci (Roma, Alpes Italia s.r.l, 2015), Lilith, la luna nera di Roberto Sicuteri (Astrolabio, Roma, 1980) e Lilith di Salvator Gotta (Baldini & Castoldi-editori, Milano, 1943).