Donna e libertà
Il manifesto per un nuovo femminismo di Rossana Rossanda
Tutte le sfide della maternità in una società che resta maschilista da una protagonista delle battaglie comuniste il decalogo per la parità
di Rossana Rossanda (l’Espresso, 13 maggio 2019).
Si può pensarla in modi molto diversi su sessualità e filiazione, ma un fatto è incontrovertibile, e cioè che per venire al mondo bisogna passare da un corpo di donna, che deve alimentare l’embrione per nove mesi. È dunque venuto il momento nel quale tutte le donne farebbero bene a esprimersi nel merito. Lo faccio anche io partendo dal presentarmi.
Sono sicuramente una donna, e un po’ qualunque, come milioni di altre donne da quando esistono le civiltà greca, romana e giudaica, che sono le principali dalle quali una donna qualunque europea soprattutto deriva.Di particolare c’è che ho sempre avuto una vera passione politica; in suo nome ho dato vita al “manifesto”, gruppo politico italiano, poi anche quotidiano autofinanziato assieme - fra altri - a Lucio Magri, a Luigi Pintor e Luciana Castellina, che esce ancora oggi. Posso aggiungere che sono una marxista ortodossa, adepta a suo tempo anche di quel marxismo-leninismo, che giustamente si accusa di essere “volgare”, ma che mi ha aiutato anch’esso a capire com’era fatto il mondo e a diventare comunista: lo sono rimasta, non sono dunque di formazione condivisa dai più né in onda con il tempo.
In quella posizione ho diretto il manifesto e in quella veste non ho goduto sempre della simpatia del movimento delle donne, che mi ha definito sovente “figura di potere”, invitandomi a mettermi in gioco, cosa che, a dire il vero, credevo di aver fatto, ma - si vede - non abbastanza; sono stata semplicemente espulsa a suo tempo dal Pci. Ora chi ha preso (e fatto vivere) il manifesto, mi permette di scriverci, ma non di aver voce in capitolo sui suoi indirizzi (e posso capirlo). Quanto al marxismo è una scelta personale e non pretende di essere condivisa: serve a spiegare perché ho esitato un attimo a definirmi “femminista” anche se credo di esserlo, non c’è battaglia delle donne che io non condivida, talvolta con qualche riserva. Non ne ho, ad esempio, nei confronti del testo fatto circolare da “Non una di meno” per convocare uno sciopero generale l’8 marzo scorso.
È importante che la battaglia per i diritti delle donne sia più estesa e condivisa possibile, contro una “cultura maschilista”, intesa anche nell’accezione di “senso comune” di derivazione greca, romana e giudaica, ma si dovrebbe dire anche egizia o cretese, culture che hanno in comune una visione binaria della sessualità, sulla quale si innesta il principio della famiglia patriarcale come “società naturale “, basata sulla divisione gerarchica fra maschio e femmina.
Non penso che questo schema sia da sottovalutare, esso conforma una parte rilevante degli esseri viventi, sia nella zoologia che fra i vegetali, ha determinato gran parte delle nostre culture ed arti, e penso sia utile tenerne conto, limitandomi a riproporre la tesi di un polimorfismo della sessualità, avanzata già da Freud, che non scaricherei così allegramente.
Ne fanno esperienza anche donne e uomini che si iscrivono nello schema binario, anche patendone, o forse appunto patendone; non è detto che la definizione di un terzo sesso non comporterebbe gli stessi inconvenienti della gerarchia binaria, una volta che fosse stabilita come tale (personalmente in genere propendo piuttosto per lo sdoganamento di incertezze e disordini più che di nuove leggi, sempre ultimative).
Forse dovremmo riflettere criticamente sul bisogno di avere o darci una o più leggi, per essere più certe e certi, ma sempre “modi” del potere, cui soggiacciono anche le donne.
Il potere mi sembra sempre la tentazione più pericolosa: in verità anche quello che definiamo potere patriarcale si fonda su un patto con le donne, che nella famiglia si accontentano di un sottopotere cui però tengono moltissimo, e che non rinunciano allo stesso modo ad esercitare.
Ecco dunque come la penso, sia in tema di libertà, sia di filiazione.
1. Ognuno deve essere libero nella scelta della sua sessualità e può praticarla, purché il suo partner sia assolutamente consenziente. Per “assolutamente” intendo che deve sapere di che si tratta ed essere in chiaro con se stesso oltre che con l’altra/o. (Si tratta quindi di regolare l’età in cui si è in grado di capire; e il come assicurarsi il consenso dell’altro/a).
2. Ogni violazione della libertà altrui sul punto 1 va punita come reato grave.
3. Anche la scelta della filiazione deve essere libera con precise garanzie per la creatura messa al mondo. Non mi appartiene perciò né l’attuale legislazione né l’assoluto rifiuto della gravidanza per altri. Non mi pare sostenibile che debba esistere il diritto ad avere un figlio proprio. Il bisogno di maternità non può essere un bisogno proprietario, mentre una donna può adottare uno dei molti bambini abbandonati anche se l’adozione comporta dei problemi. L’esperienza mi ha insegnato che la situazione dei maschi e delle femmine è nel merito molto diversa.
4. In particolare, la donna ha diritto di rivendicare il riconoscimento di paternità, che il maschio ha spesso rifiutato, scegliendo la propria figura di padre sotto il profilo sociale, economico, culturale piuttosto che nei confronti della donna che ha contribuito a mettere incinta. Allo stesso modo si è assicurato una libertà o responsabilità come padre: anche qui l’esperienza mi ha insegnato che in caso di continuazione o interruzione di una gravidanza il maschio di una coppia è perlopiù decisivo, soprattutto con l’argomento che il fare figli è un ruolo storicamente determinato e di interesse collettivo.
5. Anche se può essere non semplice, lo Stato deve assumersi il carico affinché la continuazione o interruzione di gravidanza possa essere libera.
6. Continuare o interrompere la gravidanza può essere difficile; ancora adesso legislazioni laiche, religioni e consuetudini sono lontane dal rispettare questa libertà.
7. Non è ammissibile nessun ostacolo a questa libertà: l’esistenza di coppie genitoriali omosessuali è una delle variabili della libertà stessa.
8. Per quanto riguarda la gravidanza per conto terzi (il cosiddetto utero in affitto), impedirla significa mettere un limite alla libertà della donna o dell’uomo che la vorrebbe, consentirla però comporta un pericolo permanente di mercificazione.
9. Va eliminata dalla Legge 194 la cosiddetta “obiezione di coscienza” da parte dell’operatore della sanità pubblica, che svuota di fatto la libertà di non continuare una gravidanza per le donne che non hanno i mezzi per ricorrere al privato.
10. Si deve considerare “famiglia”, e quindi avvalersi delle misure che la collettività stabilisce come aiuto o supporto, qualsiasi coppia, comunque formata che si proponga di mettere al mondo o crescere un bambino.