Se le famiglie dicessero no
di Gabriele Romagnoli (la Repubblica, 30.5.09)
Il diavolo è sempre in cerca di anime da comprare, ma vendergli la propria resta una libera scelta. L’ultima, probabilmente. è quanto viene da pensare riconsiderando da una diversa angolazione l’ultimo "caso Berlusconi".
Se dal punto di vista politico quel che conta è l’incapacità di un presidente del consiglio di affrontare la verità dei fatti, che le sue contraddizioni hanno finito per rendere rilevante, dal punto di vista sociale a colpire è l’atteggiamento della famiglia Letizia, ragazza e genitori, la loro incapacità di dire, a suo tempo, un semplice (e ragionevole) no che avrebbe cambiato la storia. Quale storia? Quella di un piccolo nucleo umano alla periferia di Napoli, ma anche quella d’Italia. Perché è evidente che quel nucleo è lo specchio di un Paese. E’ la superficie sulla quale può vedere il proprio volto rivelato quella maggioranza consapevole di italiani che (a prescindere da come ha votato) si è consegnata non tanto a un uomo, a una guida, quanto a uno stile di vita, a un’ideale che preferisce la scorciatoia all’etica.
Prendiamo solo gli eventi acclarati ed esaminiamoli staccandoci dal particolare, senza relegarli ai nomi che ne nascondono la dimensione universale. In un luogo lontano dal cuore dell’impero e dalla luce dei riflettori (tendenti a coincidere) una coppia di genitori alleva una figlia sperando, come tutti tendono a fare, che la sua vita sia più fortunata della loro. La madre augurandole il successo nello spettacolo che lei non ha potuto avere. Il padre, l’accesso a quel potere di cui lui ha solo conosciuto l’anticamera. A un certo punto, per circostanze che qui non rilevano, book o cartolina, entra in contatto con la ragazza un uomo al di fuori della sua portata. Di cinquant’anni più grande, potente e, si aggiunga, sposato.
Saltiamo i preliminari e consideriamo una sola tra le cose accertate: quest’uomo invita la ragazza a passare un capodanno nella sua villa in Sardegna. Che sia ospite insieme ad altre dozzine di esemplari può essere considerata un’attenuante o un’aggravante, dipende dai punti di vista. Il fatto resta. E qui sorge la domanda sul rapporto con i figli, che non è quella mal mirata posta dal segretario del pd Dario Franceschini. La domanda è: se hai una figlia minorenne e un settantenne, maritato e potente l’invita a casa sua per le feste, come reagiresti?
Che cosa induce i genitori a guardarla fare la valigia e magari aiutarla a infilarci le calzette rosse? Non pensano a possibili rapporti piccanti, certo: pensano al bene di lei, alla carriera che potrà schiudersi, come è già per altre, nello spettacolo o nella politica. Questo sognano la ragazza, i suoi genitori, l’Italia in cui da almeno una generazione, viviamo.
Ora, è luogo comune a questo punto scagliare l’anatema contro il diavolo: è stato lui a venderci questi sogni, a far deviare dalla strada maestra asfaltando scorciatoie verso direzioni che sono altrettanti precipizi. Più che una spiegazione un alibi, una copertura per la mancanza di spina morale che nessun palinsesto avrebbe potuto piegare se fosse esistita.
E’ vero che le tentazioni sono tante e facili. Un qualunque pulcino ballerino può attraversare una passerella di presunti talenti , tuffarsi nell’altro canale e vincere, chessò, il Festival di Sanremo. Una qualsiasi faccia da citofono può piazzarsi in una casa, cicalecciare a comando e diventare una celebrità. Se, in un’altra epoca, Montanelli scriveva che l’ingresso al governo di Giovanni Goria ridava speranza a tutte le mamme con un figlio non troppo dotato, l’investitura delle Carfagna, Brambilla, Gelmini ha prodotto madri pronte a preparare alle figlie il trolley rosa per la Sardegna. Volere questo, volerlo in questo modo, non è un delitto. Proporre questo, proporlo in questo modo, non è un delitto. Il diavolo fa il suo mestiere. Quelli a cui telefona rispondono come possono. La vera domanda è una: perché non riescono a dire no?
Quando e come hanno perso gli anticorpi? Quando questo scambio è diventato la normalità del vivere qui e ora? Quando ne è valsa la pena? Quando? A quale risveglio e dopo quanto sonno? E non è questione che riguarda uno spicchio di società, individuabile politicamente o economicamente. E’ una situazione generalizzata, trasversale. Ognuno incontra il proprio diavolo, prima o poi. E può decidere come rispondere alla sua proposta. Può accettarne l’invito: in Sardegna, nel salottino televisivo che dà la popolarità, alla tavola dei signori che distribuiscono le cariche. O può proseguire nella sua, lunga, strada. Non è una decisione in cabina elettorale, è molto più di così. Riguarda la capacità di essere se stessi, lottare da soli contro i limiti imposti dal caso e dalle virtù, sconfiggerli o accettarli senza l’aiutino del presentatore o l’affettuosa benevolenza di chi dà e trucca le carte. Riguarda, soprattutto, la possibilità di costituire un esempio per le generazioni a seguire, affinché la prossima sappia da sé rispondere allo squillo del cellulare:
"Pronto, ciao: sono papi..."
"Lei ha sbagliato numero".