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Due ... e UNO

IL DUE E’ ALL’ORIGINE: LA COMUNITA’ IN DIVENIRE. LA lezione di MARTIN BUBER, nell’analisi di Maria Felicia Schepis - a c. di Federico La Sala

sabato 23 settembre 2006
[...] Certo l’invito del filosofo a fare parte di questa comunità dialogica non è indolore. Accettare di aprirsi di nuovo alla comunità come alla propria originaria dimora vuol dire abbandonare l’abitudine alla scorza protettiva di una conclusa totalità. Significa lacerare la quiete per catapultarsi all’esterno. Significa esporsi nudi al mondo, donarsi senza riserve fidandosi dell’altro o, meglio, affidandosi all’altro come ad uno sconosciuto. Sporgersi verso il tu, riscoprirlo come (...)

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> IL DUE E’ ALL’ORIGINE: LA COMUNITA’ IN DIVENIRE. --- GOG E MAGOG, ripubblicato (di Fulvio Panzeri - Martin Buber tra veggenti e santi ebrei).

domenica 31 gennaio 2010


-  Martin Buber tra veggenti e santi ebrei

-   Ristampato dopo un lungo silenzio «Gog e Magog» in cui lo scrittore, alla vigilia della seconda guerra mondiale, si ispira per la narrazione chassidica a due comunità del ’700, Lublino e Pzysha: gli uni si affidavano ai miracoli, altri al rinnovamento interiore
-  E l’autore sente l’avvicinarsi di una «crisi tellurica»

DI FULVIO PANZERI (Avvenire, 30.01.2010)

Finalmente ritorna in libreria uno dei grandi libri del Novecento, in Italia non ancora conosciuto ab­bastanza per l’importanza che riveste nel mettere a frutto due potenzialità quali l’estrema lucidità del pensiero e l’accurato voler essere nella realtà at­traverso la tradizione.

Parliamo di Gog e Magog, il grande ro­manzo epico che ha come sfondo la Polonia di fine settecento e le guerre napoleoniche di e­spansione e porta in primo piano il mondo chassidico attraverso una serie di per­sonaggi e di storie, ognuna legata all’altra, in quella che l’autore stesso, definisce co­me un metodo strutturale differente: «Qui, non si trat­tava, come si fa normalmente con del materiale di carat­tere leggendario, di mettere un aneddoto vicino all’altro; al contrario quello che biso­gnava mettere in risalto era proprio il filo, esteriore e in­teriore, che univa queste dif­ferenti tradizioni».

E qui Buber fa riferimento al­le due differenti convinzioni tra le comunità chassidiche, quella di Lublino e quella di Pzysha, che diventano l’ani­ma e rappresentano l’epicità del racconto. Ognuna è ca­ratterizzata da un grande Maestro, il «Veggente di Lu­blino » e il «Santo Ebreo» di Pzysha.

Le visioni teologiche sono diverse: il primo sostie­ne una tradizione mistica che ammette il ricorso alla magia per giungere al «mira­colo »; il secondo crede fer­mamente nella necessità di una trasformazione interiore.

Una contrapposizione di questioni teo­logiche che ha un suo fondamento e riscontro storico, come riferisce lo stes­so Buber, quando dice che «alcuni zad­diqim hanno tentato, per mezzo di at­ti teurgici (la cosiddetta Qabbalà pra­tica) di fare di Napoleone il ’Gog del Paese di magog’ di cui è scritto in Eze­chiele, e alle cui guerre, come dicono alcuni testi escatologici, deve seguire la venuta del Messia; ed è anche vero che altri zaddiqim hanno opposto a questi tentativi l’ammonimento che non per mezzo di atti esteriori ma so­lo attraverso il completo ’ritorno’ del­l’uomo si possa preparare il terreno per la Redenzione».

Sono questioni assai complesse, so­prattutto da riportare nel contesto e­pico di una narrazione così caratteriz­zata dalla tradizione chassidica come quella che interessa a Buber, tanto da rendere complessa la scrittura del te­sto, a cui lo scrittore aveva iniziato a la­vorare dopo la fine della prima guerra mondiale, ma che non ebbe né una pri­ma, né una seconda stesura.

Buber non abbandona questa idea: a­spetta, sa che è necessario maturarla piano piano dentro di sé: «Tutta la mia esperienza di lavoro mi ha insegnato che quei libri che uno ha l’incarico di scrivere maturano lentamente e so­prattutto quando non ci si occupa di lo­ro».

All’autore, poi non resta altro che «trascriverli». Arrivò così anche il mo­mento tragico che mise alla strette il suo autore: la seconda guerra mondia­­le, «quell’atmosfera di crisi tellurica, il tremendo ponderarsi delle forze e il se­gno di un falso messianesimo d’ambo le parti».

Così questo grande libro, pubblicato nel 1949, che si nutre della grande tra­dizione leggendaria chassidica, trae la sua forza in questo susseguirsi natura­le di storie emblematiche sui rabbini, che mettono a fuoco caratteri e grandi questioni teologiche. Si tratta di quel­lo che Buber definisce «il sacro aned­doto», ovvero «la concatenazione di un avvenimento con una enunciazione» e porta al suo culmine, attraverso lo sviluppo di un’autentica epi­cità, la necessità del suo au­tore di ricostruire, anche in modo critico, e di portare ad un diverso grado di cono­scenza, il senso e la natura di questo movimento religioso di origine popolare, sorto nelle comunità ebraiche e galiziane.

Del resto Buber precisa: «Certo io non sono del mon­do dei chassidim con tutta la mia esistenza - in simile condizione si sono trovati coloro che hanno voluto rendere così attuale per gli uo­mini qualche cosa di passa­to, da fargli produrre nuovo effetto - ma il mio fonda­mento è lì, e i miei impulsi sono imparentati ai loro».

È un libro che lancia sempre, ad ogni diversa lettura, una serie di allarmi e pone l’at­tenzione sulla necessità del dialogo e soprattutto sul ri­fiuto dei fanatismi. E si pone all’insegna della speranza, quella che auspica Buber, di­chiarando di essere senza «dottrina», ritenendo che questa comunque sia del tut­to superflua.

Le sue parole risuonano, do­po più di sessant’anni, anco­ra oggi attualissime, là dove indica la necessità forte «di riconoscere la realtà eterna, per poter, con la sua forza, te­ner testa alla realtà presente». Da qui la convinzione che «in questa notte o­scura non si tratta di mostrare una stra­da; si tratta di aiutare a perseverare con anima pronta finché sorgerà l’aurora e una strada si mostrerà ai nostri occhi là dove nessuno la supponeva».

-  Martin Buber

-  GOG E MAGOG

-  Guanda. Pagine 300. Euro 18,50


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