L’INCHIESTA.
Tornano in Sicilia i figli dei boss scappati negli Usa per sfuggire ai Corleonesi. E si riprendono il potere perduto
La riscoperta dell’America
nuovo fronte di Cosa Nostra
di ATTILIO BOLZONI e GIUSEPPE D’AVANZO *
PALERMO - Chi è Frank Calì, e perché tutti lo cercano? Quel nome - il nome di un siculo-americano - ritorna ossessivamente nelle "parlate" degli uomini di Cosa Nostra. Lo fanno a Palermo, lo ripetono nel New Jersey, lo bisbigliano a Corleone. Di Frank sentiremo ancora parlare, giurateci. Eppure, al Dipartimento di Giustizia, Calì non appare mai nei report sulle cinque "grandi famiglie" di New York, i Gambino, i Bonanno, i Lucchese, i Genovese e i Colombo. Soltanto poche, quasi distratte, righe in un dossier dell’Fbi. Più o meno un "signor nessuno" che deve avere però un potere invisibile o ancora sconosciuto, se negli ultimi tre anni per lo meno una mezza dozzina di "delegazioni" di mafiosi siciliani lo hanno raggiunto dall’altra parte dell’Oceano per discutere di "affari". Ma di quali affari? E, soprattutto, di quale portata e per quali progetti?
Questa è la storia, o meglio il primo paragrafo di una storia che soltanto il tempo potrà scrivere. Vi si rintracciano indizi di un prepotente risveglio di Cosa Nostra dopo un muto decennio di ibernazione. La mafia sembra volersi liberare dall’arcaicità violenta dei Corleonesi per ritrovare dalla Sicilia - come in un passato glorioso - ruolo e protagonismo sulla scena internazionale. Nelle loro casseforti ci vogliono mettere soldi, molti soldi. Non vogliono più cadaveri per le strade o "picciotti" nelle galere. A che cosa sono serviti il sangue, le bombe contro lo Stato, gli ergastoli che hanno umiliato le famiglie? A niente. Ecco perché adesso tutti cercano Frank Calì.
Del "signor nessuno" si può dire subito - per quel pochissimo che se ne sa - che è un uomo di rispetto della Famiglia Gambino designato per trattare, con i Siciliani, la nuova avventura. Se sono buone le intuizioni degli investigatori, i mafiosi vogliono ritornare ad essere brokers nel mercato illegale/legale mondiale. Frank Calì serve a tutto questo. È "l’ambasciatore" americano.
Frank Calì ufficialmente è un imprenditore della Italian Food Distribution a New York. Da almeno tre anni, gli agenti dell’Fbi lo vedono intrattenersi con vecchi trafficanti della "Pizza Connection".
E con giovani rampolli delle Famiglie palermitane, nati però negli Stati Uniti. E con gli emissari di Bernardo Provenzano e Totò Riina, i Corleonesi. Un’agenda di incontri che mette insieme amici e nemici di antiche guerre e di mai dimenticati stermini, tutti a far la fila da Frank Calì. L’elenco è lungo. Da lui vanno in più occasioni Nicola Mandalà e Nicola Notaro della Famiglia di Villabate, Gianni Nicchi della Famiglia di Pagliarelli, Vincenzo Brusca della Famiglia di Torretta. Ma forse la traccia più rilevante per capire che cosa sta accadendo è nelle triangolazioni telefoniche tra le utenze di Calì e i cellulari degli uomini di Salvatore Lo Piccolo, ricercato da 27 anni, oggi al primo posto della lista dei latitanti dopo la cattura di Bernardo Provenzano.
Il suo "scacchiere diplomatico" non è stretto alla Sicilia. Un rapporto congiunto dell’Fbi e della Royal Canadian Mounted Police svela "i legami tra Frank Calì, Pietro Inzerillo e i membri del cartello criminale "Siderno" della ’ndrangheta". Alla sua corte ci sono proprio tutti, dunque. È la circostanza che spinge Fbi e Polizia criminale italiana a lavorare insieme, a scambiarsi informazioni e analisi come negli Anni Ottanta, quando Giovanni Falcone faceva squadra con il procuratore distrettuale Rudolph Giuliani. Si preparano a fronteggiare il nuovo piano di Cosa Nostra: la riscoperta dell’America. Con inaspettati protagonisti. Con nomi che, soltanto fino a qualche anno fa, a Palermo non si potevano nemmeno pronunciare.
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Sono tornati gli Inzerillo. Erano stati massacrati dall’aprile del 1981 all’ottobre del 1983 dai Corleonesi. "Di questi qua - disse Totò Riina - non deve rimanere sulla faccia della terra nemmeno il seme". Morì Totuccio, il rispettato capo di Passo Rigano, e poi morì suo figlio Giuseppe. Morirono in ventuno. Fratelli e zii e nipoti e cugini. Molti scomparvero afferrati dalla "lupara bianca", un impero di 27 società di riciclaggio rimase senza padroni. La scia di sangue si interruppe soltanto con l’intercessione dei parenti di Cherry Hill. Uomini potenti. Allora i più potenti d’America come Charles Gambino. Trattarono una resa senza onore. La Commissione siciliana pretese che gli Inzerillo avrebbero avuta salva la vita a condizione che non tornassero più nell’Isola. Mai più. E’ la regola che dettò la Cosa Nostra di Totò Riina. Allora fu nominato, e lo è ancora oggi, un "responsabile" del rispetto di quel patto. Si chiama Saruzzo Naimo. Ma le regole, in Cosa Nostra, esistono per essere violate e interpretate per gli amici e applicate per i nemici. Così alla spicciolata gli Inzerillo sono rientrati a Palermo. Abitano tutti nella loro borgata di nascita, a Passo di Rigano.
E’ tornato Francesco Inzerillo, figlio di quel Pietro che l’Fbi e la polizia canadese "vedono" sempre con Frank Calì. E poi Tommaso Inzerillo, cugino di Totuccio e cognato di John Gambino, il figlio del vecchio Charles. E un altro Francesco, fratello di Totuccio. Espulso come "indesiderato" dagli Stati Uniti è tornato Rosario, un altro fratello di Totuccio. E’ rientrato Giuseppe, figlio di Santo, ucciso e dissolto nell’acido solforico. Soprattutto è tornato l’unico figlio ancora vivo di Totuccio, Giovanni, nato a New York nel 1972, cittadino americano. A lui è toccato riaprire dopo venticinque anni la casa di via Castellana 346. Insieme a loro, sono riapparsi in città gli Spatola dell’Uditore, i Di Maggio di Torretta, i Bosco, i Di Maio, qualche Gambino. Insomma, quell’aristocrazia mafiosa che i contadini di Corleone avevano spazzato via con "tragedie", tradimenti, agguati. A Palermo gli Inzerillo hanno ricostituito la loro Famiglia. Con quale "autorizzazione"? Con quali appoggi? Con quali garanzie e impegni?
Se la questione è un enigma per gli investigatori, impensierisce ancora di più alcuni alleati palermitani dei Corleonesi che erano stati in prima fila, nella strage degli Inzerillo. La preoccupazione diventa apprensione quando, nei viaggi in America, scoprono che accanto a Frank Calì c’è sempre un Inzerillo. A New York come a Palermo, per uscire dall’isolamento e pensare finalmente alla grande, bisogna fare necessariamente i conti con "quelli là" e le loro influenti parentele d’Oltreoceano.
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Nelle ultime intercettazioni ambientali - una vera miniera di inaspettate informazioni - "il discorso dell’America" è un tormentone tra i mafiosi. Riserva un punto di vista inedito su Cosa Nostra. Liquida ogni lettura convenzionale. Cosa Nostra non è il quieto monolite governato con i "pizzini" dalla furbizia contadina del vecchio Provenzano né è attraversata, come pure si è sostenuto, da una frattura territoriale e culturale. Da un lato, i contadini e i paesi di campagna. Dall’altra, i cittadini, la grande città, le borgate. E’ invece un mondo smarrito e, al tempo stesso, eccitato dalle nuove opportunità. Ora, come per un riflesso condizionato, tentato di mettere mano alla pistola per eliminare ogni irritante contraddizione; ora convinto di dover cercare, senza sparare un colpo, compromessi per far valere la sola ragione che tutti può entusiasmare: fare i piccioli. Fare i soldi. Gli esiti della contesa sono del tutto imprevedibili. Nei prossimi mesi, la guerra ha la stessa possibilità di scoppiare quanto la pace. Chi lavora, con ostinazione paranoide, a una nuova contrapposizione si chiama Antonino Rotolo. E’ il capomandamento di Pagliarelli. Basta ascoltare quali erano i suoi argomenti qualche giorno prima di finire in galera.
"Questi Inzerillo - dice Rotolo ai suoi - erano bambini e poi sono cresciuti, questi ora hanno trent’anni. Come possiamo, noi, stare sereni... Se ne devono andare. E poi uno, e poi l’altro e poi l’altro ancora... Devono starsene in America. Si devono rivolgere a Saruzzo (Naimo) e se vengono in Italia li ammazziamo tutti. Come possiamo stare, noi, sereni quando io per esempio - l’ho detto e lo ripeto - so di un tizio che dice a uno dei figli di Inzerillo: "Non ti preoccupare tempo e buon tempo non dura sempre un tempo"... Noialtri non è che possiamo dormire a sonno pieno perché nel momento che noi ci addormentiamo a sonno pieno, può essere pure che non ci risvegliamo più. Alzando la testa questi, le prime revolverate sono per noi. Vero è... Picciotti, non è finito niente. Gli Inzerillo, i morti, li hanno sempre davanti. Ci sono sempre le ricorrenze. Si siedono a tavola e manca questo e manca quello. Queste cose non le possiamo scordare. Questi se ne devono andare, punto e basta, non c’è Dio che li può aiutare... Ce ne dobbiamo liberare e così ci leviamo il pensiero... Per il bene di tutti, noi questo dobbiamo fare. L’avete capito o no che quello, Lo Piccolo, li utilizza già gli Inzerillo? Questa storia non finisce, non finirà mai...". Antonino Rotolo affronta con Alessandro Mannino, nipote prediletto di Totuccio Inzerillo, "il discorso dell’America". Senza giri di parole, in modo brusco.
Gli dice: "Tu sei il nipote di Totuccio Inzerillo il quale, con altri, senza ragione alcuna sono venuti a cercarci per ammazzarci, ma a loro nessuno gli aveva fatto niente. Ci hanno cercato e ci hanno trovato. Peggio per loro. Non siamo stati noi a cercarli. Così si è creata questa situazione di lutti e di carceri. La responsabilità è di tuo zio e compagni, se ci sono morti e se ci sono carcerati. Quindi io ti dico che non c’è differenza tra voi, che avete i morti, e le famiglie che hanno la gente in galera per sempre, perché sono morti vivi. Quindi, i tuoi parenti devono rimanere all’America, devono rimanere sempre reperibili. Ai tuoi parenti garanzie non ne può dare nessuno. I tuoi parenti se ne devono andare e ci devono fare solo sapere dove vanno perché noi li dobbiamo tenere sempre sotto controllo".
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Anche Antonino Rotolo ha spedito a New York il suo fidato "messaggero", Gianni Nicchi, giovane e "sperto". Al rientro dalla missione, si fa raccontare e quel che ascolta non gli piace. Rotolo, se sono sincere le sue parole, non si fida delle promesse di Frank Calì. Crede che siano soltanto "chiacchiere" per restituire Palermo agli Inzerillo. I suoi sospetti lo isolano dentro Cosa Nostra. Salvatore Lo Piccolo - il suo competitore nelle borgate - ha già chiuso l’accordo con gli Americani. L’ago della bilancia è Provenzano. Però anche a Provenzano fa gola riallacciare i rapporti con i suoi antichi nemici e ritrovarseli dopo un quarto di secolo al suo fianco. Negli ultimi mesi della sua latitanza, finita l’11 aprile del 2006, mette in moto tutta la sua sapienza ambigua. In un rosario di "pizzini" inviati ai suoi, finge di non sapere che gli Inzerillo sono già tutti a Palermo. Minimizza la rilevanza di quel ritorno. Quando gli capita, consiglia di accoglierli "se vogliono passare il Natale con i loro parenti" o se devono scontare scampoli di pena in Italia, una volta espulsi dagli Stati Uniti. E’ l’abituale inganno "corleonese". In realtà, il lavorio di mediazione con gli Americani è l’ultima grande fatica del Padrino di Corleone.
Da due anni, "il vecchio" si adopera per il recupero totale alle fortune di Cosa Nostra degli Inzerillo, soprattutto dei loro legami con la mafia americana. Nicola Mandalà è l’uomo più fidato dell’inner circle di Bernardo Provenzano. Lo aiuta a farsi operare alla prostata in una clinica di Marsiglia. Fa due viaggi a New York per incontrare Frank Calì e Pietro Inzerillo. E’ possibile che Mandalà, generosamente finanziato con 40 mila dollari a trasferta, abbia fatto tutto questo senza un mandato di Provenzano? Un altro "contadino" di Corleone va in America. E’ quel Bernardo Riina che sarà poi arrestato come "ultimo anello" che conduce i poliziotti nel rifugio di Montagna dei Cavalli. Bernardo Riina costituisce una società a New York insieme a suo figlio nel gennaio del 2006. Appena cento giorni prima della cattura del suo Padrino. E’ il ponte lanciato dalla Sicilia all’America. E’ un capovolgimento di schemi e di logiche dove i Corleonesi - dati per spacciati dopo l’arresto dei suoi rappresentanti più famosi - non solo non stanno abbandonando i posti di comando di Cosa Nostra ma, al contrario, provano a penetrare un altro mondo: gli Stati Uniti. Il personaggio chiave è, dunque, il nostro misteriosissimo Frank Calì che distribuisce Italian Food su tutta la costa atlantica. Ancora più misteriose, al momento, sono le occasioni economiche e finanziarie che le due mafie prevedono di cogliere insieme. Tempo e buon tempo non dura sempre un tempo. Cosa Nostra si prepara alla sua nuova stagione.
* la Repubblica, 12 luglio 2007