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PER L’ITALIA: "W O ITALY" !!!

L’Urlo del Cardinale Pappalardo da Palermo e di Giovanni Paolo II da Agrigento, contro "mammasantissima", dà ancora coraggio!!! DALLA SICILIA A VERONA, al 4° Convegno ecclesiale, 150 delegati - come loro testimone, il giudice ROSARIO LIVATINO (ucciso dalla mafia nel 1990)- "per riportare speranza in un territorio che l’ha perduta".

sabato 23 settembre 2006 di Federico La Sala
[...] «La giustizia è necessaria, ma non sufficiente, e può e deve essere superata dalla legge della carità, che è la legge dell’amore, amore verso il prossimo e verso Dio». Rosario Livatino cercava di guardare tutti, mafiosi e criminali compresi, con gli occhi di Dio. Fede e diritto, nella storia di questo giovane magistrato agrigentino ucciso dalla mafia nel 1990, sono due realtà interdipendenti e indispensabili. E anche per il suo modo cristiano di interpretare il ruolo di giudice, Papa (...)

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> L’Urlo del Cardinale Pappalardo da Palermo e di Giovanni Paolo II da Agrigento, contro "mammasantissima", dà ancora coraggio!!! DALLA SICILIA A VERONA, al 4° Convegno ecclesiale, 150 delegati - come loro testimone, il giudice ROSARIO LIVATINO (ucciso dalla mafia nel 1990)- "per riportare speranza in un territorio che l’ha perduta".

martedì 12 dicembre 2006

TESTIMONI DI CRISTO

Palermo dà l’addio al cardinale Pappalardo

La sua bussola: il Vaticano II. Si è spento domenica il pastore che fu tra i primi a dire «no» alla mafia nel nome del Vangelo

Da Palermo Alessandra Turrisi (Avvenire, 12.12.2006)

Tre suore sono raccolte in preghiera. Una giovane donna singhiozza come se avesse perso suo padre. Un sacerdote attraversa velocemente il salone proprio come quando era segretario di quel vescovo al quale migliaia di persone da due giorni vengono a rendere l’ultimo omaggio.

Ognuno sceglie il suo modo per essere vicino per l’ultima volta al cardinale Salvatore Pappalardo, arcivescovo emerito di Palermo, morto domenica mattina all’età di 88 anni nella casa diocesana di Baida, la frazione palermitana divenuta la sua residenza dopo essere andato in pensione. La sera dell’Immacolata aveva voluto raggiungere la sorella a Catania, ma sabato aveva cominciato ad avere la febbre alta. Così domenica il medico ha deciso di trasportarlo in ambulanza a Baida.

Il cardinale Pappalardo era un uomo che, nei suoi 26 anni di episcopato a Palermo, aveva saputo portare il vento di rinnovamento del Concilio in Sicilia, promuovere il laicato, affrontare la sfida di una società in grande trasformazione, drammaticamente colpita dalla stagione delle stragi di mafia. «Ci ha lasciato più soli - dichiara commosso il cardinale Salvatore De Giorgi, arcivescovo di Palermo - ma, come ci ha insegnato lui che ha predicato la speranza cristiana della Resurrezione, il cardinale Pappalardo lavora per Palermo in modo ancora più intenso di prima. Continueremo il nostro cammino senza dimenticare il messaggio che ci ha rivolto in 26 anni, ricordando il coraggio della fede che ha sempre manifestato contro ogni forma di prepotenza». E alla camera ardente allestita nel palazzo arcivescovile sono decine i ricordi e gli aneddoti che affiorano nella mente di chi ha lavorato con lui, dai quali emerge la figura di un pastore lungimirante, capace di dare fiducia e autonomia ai suoi collaboratori.

«Teneva conto dei contributi che ciascuno poteva dare - racconta don Carmelo Cuttitta, segretario negli ultimi sei anni di episcopato -. Era un vescovo infaticabile, senza orari, attento all e parrocchie. La gente amava stargli vicino, perché aveva una capacità di relazione improntata alla semplicità. Era uno che, se arrivavamo in ritardo in arcivescovado, scendeva dalla macchina e apriva lui il portone con le chiavi. Amava scherzare, sdrammatizzare e imparare, fino alla fine. Lo ha dimostrato diventando bravissimo ad usare il computer».

E credeva nel ruolo dei laici. «Pappalardo è stato un uomo che ha avuto una visione globale dell’uomo e della società - afferma Ina Siviglia Sammartino, docente di antropologia teologica alla Facoltà teologica di Sicilia -, capace di progettualità graduale e prudente. Ha dato responsabilità ai laici, ha inserito i religiosi nella rete diocesana, ha puntato sulla formazione dei giovani sacerdoti. Ma ha capito anche che bisognava lavorare sul piano culturale. Da questa consapevolezza nasce la Facoltà teologica San Giovanni Evangelista». E una scelta controcorrente fu mandare un giovanissimo don Salvatore Lo Bue a studiare scienze sociali all’Angelicum negli anni ’70: «Non era facile trovare allora nella Chiesa un’apertura alla sociologia. Pappalardo lo fece. Da lì nacque poi il mio impegno per realizzare le strutture di accoglienza per tossicodipendenti, sieropositivi, donne vittime della tratta, che il cardinale Pappalardo ha sempre seguito personalmente e sostenuto fino all’ultimo».

Un impegno nel rinnovamento delle parrocchie, nella promozione culturale, nell’attenzione agli ambienti più disagiati con la Missione Palermo, nell’evangelizzazione casa per casa con le Missioni popolari, che camminò parallelamente alla denuncia della violenza mafiosa che si colloca in contrasto col Vangelo. «Non fu mai un cardinale antimafia - ricorda Maria Saccone, che ha sempre curato il suo archivio di omelie e discorsi - perché, diceva, un sacerdote non può essere anti, ma per l’uomo. "Io sono un pastore", diceva. Ma ebbe il merito riconosciuto da tutti, anche dal procuratore Caselli, di essere stato la prima istituzione ad aver pronunciato pubblicamente la parola mafia». «Il cardinale Pappalardo era cittadino della storia - aggiunge Ina Siviglia -, si è occupato della società perché la Chiesa è per il mondo. La denuncia era conseguenza dell’essere pastore, non era ingerenza».

Suo fedele collaboratore, come vicario generale e vescovo ausiliare, fu monsignor Rosario Mazzola, oggi vescovo emerito di Cefalù: «Ha saputo creare la comunione delle Chiese e dei vescovi, ha promosso una pastorale unitaria a livello regionale». Un episcopato costellato da grandi segni di rinnovamento e da grandi dolori e amarezze. «Soffriva per i tristi eventi degli anni di fuoco - ricorda don Pippo Oliveri, segretario dal 1983 al 1991 -. Le sue omelie hanno segnato una svolta, prima di tutto nella consapevolezza all’interno della Chiesa». «E soffrì come un padre per aver perso un figlio, quando giunse la notizia che avevano sparato a don Puglisi - aggiunge don Cuttitta -. Andammo subito in ospedale, lo accarezzava con dolcezza. Prima del trigesimo si sedette e scrisse personalmente le frasi da mettere nell’immaginetta-ricordo. Perché il cardinale Pappalardo conosceva bene in suoi preti, li conosceva come un amico, come un padre».


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