Arcivescovo preveggente e illuminato
Pappalardo, una pastorale più ampia dell’antimafia
di Giuseppe Savagnone (Avvenire, 12.12.2006)
Un vescovo e il suo popolo: questa l’immagine che si impone, davanti all’ininterrotto flusso di gente che da ieri pomeriggio sfila per rendere il suo muto omaggio alla salma del cardinale Pappalardo. Un legame che sopravvive anche alla morte e che sarà custodito nella memoria non solo della comunità cristiana, ma dell’intera città di Palermo. Perché Salvatore Pappalardo non è stato soltanto la guida spirituale della sua diocesi: nell’immaginario collettivo dei palermitani ha costituito, in tempi difficili, il simbolo di una Chiesa capace di parlare il linguaggio degli uomini, per farsi portavoce di sentimenti e di esigenze condivisi non soltanto dalla comunità ecclesiale, ma da quella civile. È in questa luce che bisogna leggere anche le prese di posizione nei confronti della criminalità mafiosa. Si deve in larga misura al cardinale Pappalardo se la Chiesa palermitana ha preso definitivamente coscienza della gravità del fenomeno e ne ha messo in luce con tutta la chiarezza e la fermezza necessarie il carattere fondamentalmente antievangelico. Questo non significa che l’opera del cardinale si possa ridurre alla "lotta contro la mafia", come sbrigativamente è stato fatto dai mass media. Si guardi, per esempio, al documento con cui la Conferenza episcopale siciliana, sotto la guida del cardinale, prendeva spunto dal cinquantesimo anniversario dello Statuto speciale della Sicilia (1946-1996) per denunziare non solo le offese subite dal bene comune ad opera dei mafiosi, ma anche e soprattutto quelle dovute alle gravissime carenze e responsabilità dell’intera classe politica isolana.
In realtà, il cardinale Pappalardo teneva molto a sottolineare che il suo non era tanto un "combattere contro" qualcuno, quanto piuttosto lo sforzo di promuovere una cultura e una società diverse. Questa positività emerge chiaramente dalla sua attenzione alla cultura e alla dimensione missionaria. Quindici anni prima che il terzo convegno delle Chiese d’Italia lanciasse il Progetto culturale, il cardinale aveva già colto che proprio sul terreno della cultura si sarebbero giocate le sorti dell’evangelizzazione e aveva costituito un apposito Centro pastorale. Si deve a lui anche il sorgere, a livello regionale, della Facoltà teologica "S. Giovanni Evangelista" e, all’interno della diocesi palermitana, delle scuole teologiche di base, volte alla formazione intellettuale dei semplici fedeli.
Come si deve a lui l’iniziativa delle "missioni popolari", per cui il vangelo veniva portato al di fuori delle mura delle parrocchie, nelle case, nei condomini, ad opera di laici che testimoniavano la loro fede ad altri laici, anticipando di fatto quella "conversione missionaria della parrocchia" di cui si sarebbe parlato (e molte volte purtroppo solo parlato) molti anni dopo. Dove è evidente la piena fiducia che il cardinale Pappalardo ha sempre dato al laicato, valorizzandone le qualità e promuovendone effettivamente - e non solo a parole - la responsabilità. Un ultimo cenno merita il coordinamento regionale della pastorale, garantito, per suo impulso, da un’apposita Segreteria della Conferenza episcopale siciliana, che - senza intaccare l’autonomia delle singole diocesi - le ha aiutate a coordinare il loro impegno nei diversi settori della pastorale, promuovendo anche la celebrazione di quattro grandi convegni regionali. Limiti, errori, problemi irrisolti, in questa intensa attività, non sono evidentemente mancati. Le intuizioni e le iniziative precorritrici non sempre sono state seguite da una coerente attuazione. Alcuni progetti sono rimasti sulla carta. Critiche e polemiche hanno accompagnato alcune scelte. Su tutto questo la storia avrà modo di fare chiarezza, distinguendo le luci dalle ombre. Ma a noi rimane l’immagine di un vescovo che il suo popolo - al di là della distinzione tra credenti e non credenti - non dimenticherà.