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EUROPA: LA CRISI UNGHERESE E NOI. Per il dialogo. quello vero!!!

"Forza" ITALIA ... e "Forza" UNGHERIA!!! Il paradosso del politico mentitore. Una grande LEZIONE TEOLOGICO-POLITICA, all’altezza della nostra cultura e della nostra dignità di cittadini-sovrani e di cittadine-sovrane. Un’analisi di BARBARA SPINELLI.

lunedì 25 settembre 2006 di Federico La Sala
[...] da tempo l’Ungheria vive nell’illusione e nella menzogna delle cifre. Quel che colpisce nel paradigma ungherese è la confusione degli animi e dei ruoli. I mentitori si contrabbandano come uomini veraci. L’uomo di verità è quello che ammette d’aver mentito e che è giudicato persona non grata, fedifraga, o come dicono le destre ungheresi: «moralmente morto».
Siamo in pieno paradosso del mentitore, quale enunciato da Epimenide: «Tutti i cretesi mentono», pare abbia detto il filosofo (...)

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> "Forza" ITALIA ... e "Forza" UNGHERIA!!! Il paradosso del politico mentitore. Una grande LEZIONE TEOLOGICO-POLITICA, all’altezza della nostra cultura e della nostra dignità di cittadini-sovrani e di cittadine-sovrane, di BARBARA SPINELLI.

mercoledì 27 settembre 2006

Imre Nagy, un comuinista libero

di Roberto Roscani *

A vederlo nelle vecchie foto in bianco e nero Imre Nagy non ha affatto l’aspetto di un eroe. Eppure quest’uomo col prince-nez (gli occhialini tondi agganciati al naso) e i baffi spioventi, sempre con la lobbia, era uno dei quei militanti d’acciaio così tipici (ed eccezionali al tempo stesso) dell’Internazionale comunista. Processato e ucciso dopo che i carri armati con la stella rossa lo avevano deposto nel sangue. Proprio lui che con l’esercito bolscevico aveva combattuto come volontario contro la guardia bianca dopo esser stato prigioniero in Russia durante la prima guerra mondiale.

Come era Nagy? Un comunista che aveva le sue idee e non ci rinunciava. mandato negli anni trenta a Mosca per un congresso del partito clandestino sostenne che la terra doveva essere distribuita ai contadini e non collettivizzata. Proprio mentre Stalin stava avviando la repressione contro i kulaki e la collettivizzazione forzata. Gli costò l’ostracismo, fu costretto all’autocritica. Ne uscì senza dover troppo chinare la testa, anche perché in un partito piccolo e litigioso come quello comunista ungherese Nagy cercò di tenersi fuori dalle battaglie di corrente che si incrociavano con le purghe e le accuse staliniane (così fu ucciso Bela Khun, leader storico del partito e fondatore della breve repubblica dei consigli). Gli anni della guerra li visse in Urss e quando le armate sovietiche liberarono il suo paese lui vi fece ritorno cominciando ad avere da subito incarichi di governo e di partito. Ma è con la morte di Stalin e via via con la destalinizzazione che la figura di Nagy assume incarichi più rilevanti anche se la sua ascesa conosce inciampi e incertezze: i due uomini forti del partito sono Rakosi e Nagy. Rakosi uomo di Stalin prevale per uno di quegli strani giochi del destino che segnarono gli anni confusi tra il ‘53 e il ‘56. Eppure col XX congresso del Pcus si possono misurare le distanze aperte nel partito comunista ungherese. Di quel congresso abbiamo gli appunti presi da Nagy: «Rakosi persevera nell’errore... principi del 20° congresso sono diretti contro il dogmatismo, il dottrinarismo, la "sinistra" settaria i cui rappresentanti principali in Ungheria sono rimasti Rakosi e i suoi...».

In queste carte i prodromi di un mutamento rapidissimo. Nagy è a capo del partito quando scoppia la prima rivolta che lui tenta di gestire politicamente. Chiede ai ribelli di deporre le armi ma annuncia anche l’amnistia per tutti quelli che lo faranno. È il tentativo di disinnescare una tragedia che ha la forma dei tank sovietici schierati alla frontiere. Mosca appare indecisa e alla fine di ottobre la prima invasione seguita alla rivolta finisce, ma poi nei primi giorni di novembre, mentre Nagy e altri rappresentanti del governo e dell’esercito sono impegnati in trattative per impedire l’invasione i carri tornano nelle strade.

Il partito, che con Nagy appare tutto interno alla rivolta si sfalda: uno degli uomini che apparivano più decisi a resistere all’Urss Janos Kadar veste alla fine i panni di Bruto. Mentre nelle strade di Budapest si combatte (alla fine le vittime saranno circa 25 mila) Kadar prende il potere con un governo filosovietico e Nagy è costretto a rifugiarsi nell’ambasciata jugoslava.

Qui inizia la parte più triste, questo vecchio comunista viene indotto da Kadar a credere che se lascia l’ambasciata avrà salva la vita. È una trappola, uscito dal cancello della sede diplomatica con un pulmino in cui si trova anche il capo dell’esercito ungherese Pal Maleter. Verrà condotto in Romania, processato in maniera farsesca e - due anni dopo - fucilato. Con un apparente paradosso Kadar che era riuscito ad aprire anche una trattativa coi rivoltosi e coi consigli operai che per mesi continuarono a lottare non seppe in alcun modo perdonare Nagy. I sovietici vollero con la condanna a morte innviare un segnale atroce agli ungheresi e a tutti i paesi satellite. Tanto che i principali leader comunisti vennero consultati per esprimersi sull’esecuzione. E nessuno fu capace di dire di no.

* www.unita.it, Pubblicato il: 27.09.06 Modificato il: 27.09.06 alle ore 9.46


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