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EUROPA: LA CRISI UNGHERESE E NOI. Per il dialogo. quello vero!!!

"Forza" ITALIA ... e "Forza" UNGHERIA!!! Il paradosso del politico mentitore. Una grande LEZIONE TEOLOGICO-POLITICA, all’altezza della nostra cultura e della nostra dignità di cittadini-sovrani e di cittadine-sovrane. Un’analisi di BARBARA SPINELLI.

lunedì 25 settembre 2006 di Federico La Sala
[...] da tempo l’Ungheria vive nell’illusione e nella menzogna delle cifre. Quel che colpisce nel paradigma ungherese è la confusione degli animi e dei ruoli. I mentitori si contrabbandano come uomini veraci. L’uomo di verità è quello che ammette d’aver mentito e che è giudicato persona non grata, fedifraga, o come dicono le destre ungheresi: «moralmente morto».
Siamo in pieno paradosso del mentitore, quale enunciato da Epimenide: «Tutti i cretesi mentono», pare abbia detto il filosofo (...)

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> "Forza" ITALIA ... e "Forza" UNGHERIA!!! -- L’EUROPA, LA FILOSOFIA, E IL NAZIONALISMO. Conversazione di Donatella Di Cesare con Agnes Heller

domenica 20 maggio 2018

CONFRONTI. Dialogo con la filosofa ungherese sulla modernità (non solo l’attualità dell’autore del «Capitale», ma di Freud, Kierkrgaard, Nietzsche), e sul futuro della democrazia. «Al contrario di quel che si crede il nostro continente è estraneo al liberalismo. Profondamente radicato qui, invece, è il nazionalismo»

Marx è un messia

conversazione di Donatella Di Cesare con Agnes Heller (Corriere La Lettura 20.05.2018)

DONATELLA DI CESARE - Nel 1944 suo padre Pàl Heller, ebreo austriaco, fine intellettuale, uscì e non tornò più. Fu deportato ad Auschwitz e ucciso il 16 gennaio 1945. Lei fu reclusa nel ghetto di Budapest a 15 anni e sopravvisse solo perché Eichmann aveva deciso di deportare prima gli ebrei sparsi fuori dalla città. Sebbene lei si dichiari laica, il suo rapporto con l’ebraismo mi pare molto profondo.

ÁGNES HELLER - Essere ebrea era per me ovvio. Come sarebbe stato possibile altrimenti negli anni della persecuzione? Avevo 10 anni quando in Ungheria, nelle università e nelle scuole, fu introdotto il numero chiuso. Non mi fu possibile studiare, se non al liceo ebraico. Dal momento che ero cresciuta in una famiglia non religiosa, pensai di provocare il rabbino Sámuel Kandel, un uomo straordinario. Mi rivolsi a lui con sfrontatezza: «Io non credo in Dio». Mi aspettavo un finimondo. E invece mi raccontò una storia ambientata ai tempi dei pogrom in Ucraina. «Un cosacco, responsabile di quei massacri, sfidò il rabbino dello shtetl, la piccola città, intimandogli: “Sono pronto a salvare i superstiti della tua comunità, se riuscirai a riassumere l’essenza dell’ebraismo stando in piedi su una gamba sola”. Il rabbino disse d’un fiato: “Ama il prossimo tuo come te stesso”». La storiella mi turbò; ancora oggi avverto quel sentimento. «E tu - chiese il rabbino - ami il prossimo tuo come te stessa?». Replicai: «Ci provo; non so se ci riesco». «Bene - proseguì - allora sei una brava ebrea. A Dio non interessa che tu creda o no, ma che tu segua le sue leggi».
-  Per anni fui convinta che fosse solo un’idea di Kandel; solo dopo mi accorsi che la storiella fa parte della tradizione e capii che l’ebraismo non si occupa dell’esistenza di Dio, bensì dell’agire in conformità alla legge. Non ci sono dogmi, ma interpretazioni. In questo senso posso dire che sono religiosa, provo ad esserlo. Per anni studiai allora la Torah e la storia del popolo ebraico. Poi ci fu l’occupazione tedesca e l’olocausto degli ebrei ungheresi. Quasi tutta la mia famiglia venne sterminata; persi anche molti amici d’infanzia. Il rabbino Kandel fu assassinato con la moglie dai nazisti ungheresi.

DONATELLA DI CESARE - Trovo molto importante quello che lei osserva nel libro Breve storia della mia filosofia, che il grande problema è perché mai sia esistita ed esista una «questione ebraica». Giustamente lei connette antisemitismo e antiebraismo nel bel libro Gesù l’ebreo. Rivendicando la figura di Gesù all’ebraismo («Gesù non ha infranto la legge, l’ha radicalizzata») si chiede perché questo fatto sia stato così a lungo taciuto.

ÁGNES HELLER - Il mio libro è legato al rabbino Kandel, che ci parlava di Gesù sostenendo che apparteneva alla corrente ebraica degli esseni. Per me Gesù non è mai diventato un biondo tedesco, ma è sempre rimasto un amato profeta. Sebbene questo primo amore abbia contribuito in modo decisivo al mio interesse per la sua figura, quel che mi ha spinto allo studio non è stata un’esperienza personale, bensì un interrogativo storico e filosofico. Perché non solo i cristiani, ma anche gli ebrei hanno dimenticato per secoli il Gesù ebreo? La questione filosofica riguarda la memoria e l’oblio - la memoria di una comunità e l’oblio collettivo. Perché i testi - ad esempio i testi evangelici - sono stati letti in modo selettivo e ha prevalso sempre un’unica interpretazione? In che modo questa lettura ha finito per alimentare un terribile e ingiustificato odio contro gli ebrei? E perché negli ultimi 70 anni è stato riscoperto il Gesù ebreo?

DONATELLA DI CESARE - Lei ha più volte rivendicato il diritto di richiamarsi a Marx senza essere marxista. E lo ha pagato a caro prezzo con persecuzioni e vessazioni. Il suo ultimo libro su Marx, appena uscito in italiano, ha un titolo per alcuni versi sorprendente: Marx. Un filosofo ebreo-tedesco. Che cosa c’è di ebraico nell’opera di Marx? Questo lei si chiede. E la risposta è: la «liberazione dell’umanità». Lei inserisce Marx in una prospettiva messianica. Quasi come Walter Benjamin... Il ruolo messianico è quello del proletariato.

ÁGNES HELLER - All’università, dal 1946 in poi, sono stata allieva di György Lukács, famoso marxista. Quella è stata la mia formazione. Tuttavia, a parte il primo volume del Capitale, non conoscevo altro. Per quanto possa apparire paradossale, non c’erano in quel tempo molte possibilità di studiare Marx, perché fino al 1953 tutti i suoi libri erano «materiale secretato». Solo in seguito, quando cominciai a leggere Marx, diventai una vera marxista, ma critica e selettiva. Lasciai perdere il Marx economista e scelsi invece quello giovane dei manoscritti di Parigi, che profetizza il nuovo Messia, e cioè i «proletari di tutto il mondo». Alcune importanti tesi di Marx, come il paradigma della produzione, mi sono sempre parse lontane ed estranee. Era quasi obbligatorio allora definirsi marxista o postmarxista. Ho imparato infine, grazie a Michel Foucault, che la filosofia è personale (non privata!) e non è quindi necessario identificarsi in uno dei tanti «ismi», per essere riconosciuti come filosofi.

DONATELLA DI CESARE - La sua teoria dei bisogni, che proprio in Italia ha avuto negli anni Settanta grande successo, resta più che mai attuale. A partire da Marx, lei identifica nei «bisogni radicali» - una vita piena di senso, un lavoro gratificante, l’esigenza di tempo libero, cultura, amore - i bisogni che, proprio perché mirano a una liberazione radicale, non possono essere soddisfatti in una società ingiusta. Sono perciò antitetici ai bisogni alienanti - il consumo di merci gratificanti, la necessità di conformarsi - che creano sempre ulteriore assoggettamento. Nell’egocentrismo illimitato del tardo capitalismo manca infatti sempre qualcosa.

ÁGNES HELLER - Continuo a vedere in Marx una delle voci più radicali del pensiero moderno che insieme a Kierkegaard, Nietzsche e Freud, ha influenzato profondamente il mondo di oggi. In particolare Marx e Nietzsche, loro malgrado, sono stati oggetto di una ricezione per certi versi esiziale. Nietzsche è stato utilizzato dai nazisti, Marx da Stalin. Ma non si è responsabili di una recezione contro cui non è possibile farsi valere (semplicemente perché non si è più in vita).

DONATELLA DI CESARE - Sebbene lei abbia difeso una «filosofia radicale», il suo atteggiamento verso la democrazia liberale non è critico come si potrebbe immaginare. Lei sostiene che non c’è bisogno di trasformazione rivoluzionaria e che le istituzioni democratiche odierne hanno un potenziale nascosto che non siamo riusciti ancora a liberare.

ÁGNES HELLER - Prima con la teoria dei bisogni, poi con il saggio sulla rivoluzione della vita quotidiana ho preso questa posizione avvicinandomi alla Nuova Sinistra. Si è trattato anzitutto di un cambio di paradigma nell’interpretazione di Marx.

DONATELLA DI CESARE - Nel suo libro Paradosso Europa, lei ha più volte sottolineato giustamente la contraddizione tra diritti del cittadino e diritti dell’uomo che segna la democrazia occidentale almeno dalla rivoluzione francese. Nel frattempo questa contraddizione è divenuta - io credo - un vero contrasto, anzi un conflitto: quello fra i cittadini di uno Stato-nazione e i migranti. Di qui la crisi dei diritti umani, calpestati ovunque, che si è tradotta in criminalizzazione di chi, fra gli Stati, tenta ancora di innalzare il vessillo della solidarietà. Tengo a dire che considero la prospettiva dell’universalismo cosmopolita un fallimento; penso che occorra guardare a un’articolata politica dell’accoglienza e allo sviluppo di comunità aperte. Mi pare che su questo punto lei assuma una posizione che non condivido, quando sostiene - più o meno apertamente - che i cittadini sono sovrani, che hanno insomma il diritto di escludere, di respingere. Per lei è valida la distinzioni tra profughi politici e immigrati economici, che io considero invece fittizia, un retaggio della guerra fredda. Di più: lei afferma che l’Europa si deve difendere, deve chiudere le porte a coloro che sono «estranei» alla sua civiltà e che ne metterebbero a repentaglio il futuro. Non le sembra una posizione reazionaria?

ÁGNES HELLER - La Rivoluzione francese ha proclamato i diritti dell’uomo e quelli del cittadino. Sappiamo già da tempo che i diritti umani possono essere preservati solo dove sono garantiti i diritti dei cittadini - come fa lo Stato. Negli ultimi anni è all’ordine del giorno la questione del conflitto tra questi due tipi di diritti a causa della crisi migratoria. Per quel che riguarda i diritti umani, tutti sono nati liberi e hanno il diritto di vivere lì dove vogliono. Ma per quel che riguarda lo Stato, i cittadini possono e devono decidere con chi coabitare. Sono contraria a recinti e confini; ma occorre riconoscere questo diritto dei cittadini che limita purtroppo i diritti umani. C’è il rischio di conflitti e guerre. Ma temo soprattutto che paure, legittime e comprensibili, verso un altro che non conosciamo, possano essere strumentalizzate dai populisti.

DONATELLA DI CESARE - Lo Stato nazionale mostra però oggi il suo lato peggiore, più aggressivo e violento. Basti pensare ai muri, ai fili spinati, ai campi di internamento per i migranti. La xenofobia dilaga, in Ungheria, ma anche in Italia.

ÁGNES HELLER - Sì, il razzismo è presente ovunque, in forme vecchie e nuove. L’antisemitismo è in particolare odio per Israele. La miccia che ha riacceso il nazionalismo è stata la crisi economico-finanziaria. I leader populisti hanno raggiunto grandi consensi fomentando l’odio e attingendo ai sentimenti più bassi. Il populismo autoritario ha precedenti in quello che chiamo «bonapartismo», un fenomeno inaugurato da Napoleone. Di fronte a problemi complessi, che richiederebbero condivisione, responsabilità, solidarietà, si ricorre all’uomo forte, che incarna lo Stato, rivendica verità, promette soluzione a tutto quel che affligge il «popolo». In realtà rappresenta interessi parziali e agisce senza scrupoli. La scorciatoia del bonapartismo resta purtroppo una tentazione, malgrado la rovina portata da tutti quei leader populisti che promettevano salvezza. Nel mio Paese, l’Ungheria, il populismo di Orbán ha assunto caratteri autoritari e sempre più preoccupanti. Ma vedo che ormai rischia di non essere un’eccezione in Europa...

DONATELLA DI CESARE - Il sovranismo populista, che si nutre di complottismo, odio per l’altro, stereotipi razzisti, non è più una tendenza marginale, ma sta diventando forza di governo.

ÁGNES HELLER - L’espressione «populismo» è fuorviante. Perón è stato un populista, una sorta di dittatore, che tuttavia aveva la sua forza nei sindacati. I populisti attuali, come Trump o Orbán, sono appoggiati dalle oligarchie, più o meno velate. Oggi viviamo in società dove i tiranni possono essere votati liberamente. Gli interessi di classe non hanno più un ruolo significativo in campo elettorale; le ideologie, invece, sono decisive. In Europa vedo nei prossimi anni lo scontro tra due forze: da una parte la tradizione autoritaria, dall’altra il federalismo, di cui il primo esempio fu Roma antica. Certo, i partiti populisti possono vincere le elezioni, ma non governare a lungo. La democrazia, intesa come governo di maggioranza, non basta a garantire la libertà.

DONATELLA DI CESARE - Lei ha fatto ritorno in Europa, malgrado il lungo esilio, prima in Australia, poi in America. Vuol dire che ripone ancora speranze nel vecchio continente... Io penso che l’Europa avrebbe dovuto diventare una forma politica postnazionale. E invece è rimasta un agglomerato di Stati nazionali.

ÁGNES HELLER - L’Europa si è ridotta a mero progetto burocratico. L’occasione mancata è la Costituzione europea, senza la quale appare difficile fermare le derive populiste e autoritarie. Al contrario di quel che si crede, l’Europa, con il suo passato tetro, è estranea alla democrazia liberale. Profondamente europeo è, invece, il nazionalismo che oggi si riafferma. Il motivo? È mancata una coscienza europea, la costruzione di un’identità unificante. Non si possono incolpare solo i governi; anche i cittadini hanno perseguito interessi nazionali.

DONATELLA DI CESARE - La liberazione delle donne è forse le rivoluzione più significativa, perché rimuove l’unica disuguaglianza che nei secoli è stata ritenuta ovvia, naturale. Perciò lei ha scritto, non senza una punta di provocazione, che lo stato di minorità delle donne è oggi «autoinflitto». Che cosa intende? Si riferisce alla paura della libertà?

ÁGNES HELLER - Sì. La liberazione delle donne è stato anche obiettivo della Nuova Sinistra. Sono molte le «ovvietà» dominanti messe in questione. È una lunga e difficile storia. Ma dal 1968 a oggi noi donne abbiamo ottenuto più riconoscimento di quanto fosse mai avvenuto prima.

DONATELLA DI CESARE - «Oggi sosteniamo che la Nuova Sinistra è stata sconfitta, ma è una sciocchezza». Così lei ha scritto qualche anno fa precisando che «le speranze rivoluzionarie non possono essere realizzate, ma ciò non significa che la rivoluzione sia un inganno». Lo pensa ancora?

ÁGNES HELLER - La Nuova Sinistra mi ha attirato per molti motivi. Sin dall’inizio è stata ostile al comunismo sovietico. Inoltre al suo interno non era necessario concordare su tutto. Infine è sempre stata internazionale - è fiorita in Francia, in Italia, negli Usa, in Sudamerica. I suoi obiettivi erano concreti e diversi. Sotto il profilo filosofico ha contribuito al passaggio dal moderno al postmoderno. Questa rivoluzione per me non è sconfitta né tanto meno conclusa, nonostante le disillusioni e, anzi, proprio per questo. Ma è chiaro che serve mobilitare la società civile sia per ridistribuire le ricchezze sia per coinvolgere tutti in un grande impegno per l’istruzione. Altrimenti attecchiranno i populismi.

DONATELLA DI CESARE - Contro i becchini della filosofia, che vanno proclamandone ormai da tempo la fine, lei dice che la filosofia non è morta, a patto che non si riduca a puro gioco speculativo.

ÁGNES HELLER - Occorre essere cauti quando si parla di futuro, specie nel campo della filosofia. Nell’epoca postmetafisica le opere filosofiche di maggior rilievo sono state prodotte nell’ambito della fenomenologia e dell’ermeneutica. Adesso sembra quasi che il pensiero creativo si sia esaurito. Mentre i filosofi analitici non fanno che risolvere enigmi, gli storici coltivano una filosofia da museo. Tutto ciò serve a poco - come i nodi di un fazzoletto che dovrebbero ricordarci quel che non vorremmo dimenticare... Vedo però anche nella filosofia continentale, in cui mi riconosco, il rischio di un’eccessiva popolarizzazione.


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