Chi ha paura della Filosofia?
Così l’Ungheria criminalizza gli intellettuali
L’obiettivo è quello dell’intimidazione: farti tacere educatamente se non vuoi essere denunciato
Sono stata tacciata di essere una pensatrice "liberale" che nel loro lessico è sinonimo di "antipatriottico"
La Heller, celebre studiosa, racconta la campagna di diffamazione che il governo di Budapest ha organizzato contro di lei e altri suoi colleghi
di Ágnes Heller (La Repubblica, 18.03.2011 - Le Monde 14 mars 2011) *
Dall’Illuminismo in poi, scrittori, teatranti, musicisti e redattori e cronisti dei giornali di qualità si sono fatti carico delle responsabilità che derivano dalla libertà di opinione. In altre parole, i loro pensieri e le loro convinzioni hanno cominciato a essere dettati dalla propria coscienza e dalla propria ragione, e non più dai loro signori e maestri. Nel campo della filosofia, invece, la riflessione indipendente è da sempre una delle "malattie professionali" del filosofo, ma l’Illuminismo ha esteso questo morbo a tutti coloro che successivamente sono stati designati con il termine di "intellettuali".
Gli intellettuali critici ebbero il loro momento di gloria sotto le dittature. Furono loro a incarnare l’idra a sette teste in rivolta contro la tirannia. E se una delle teste cadeva, per corruzione, assassinio, invio in campi di internamento o di sterminio, o ancora per esilio forzato o incarcerazione, altre spuntavano a prendere il loro posto. Un drago che si è dimostrato invincibile. Con l’arrivo della democrazia, finisce l’eroismo! Ma il coraggio civico resta sempre di attualità. È questione di investire tempo ed energia, di rifiutare le promozioni facili per mantenere desto lo spirito critico. È la tensione che scaturisce dal dibattito, lo scambio incessante di argomentazioni e controargomentazioni che alimentano la dinamica della società moderna Per anni ho creduto che la filosofia fosse diventata una disciplina universitaria come le altre, una professione che si occupava del proprio passato e dalla museificazione della sua storia, che interessava soltanto i suoi rappresentanti. La funzione critica che tradizionalmente svolgeva ormai veniva assolta dai vari media.
E poi, la sorpresa. Il nuovo Governo ungherese, appena entrato in carica, ha lanciato una campagna di diffamazione contro i filosofi ungheresi, e attraverso di loro contro tutta la filosofa critica, sottoposta ad attacchi in serie lanciati simultaneamente da tre quotidiani e tre reti televisive. La campagna è durata quasi due mesi, insistendo sempre sulle stesse accuse, asserzioni stucchevoli e reiterate da tempo smentite. L’accusa, ripetuta fino alla nausea, era che «la banda Heller», con mezzi sospetti e con il pretesto di lavori di ricerca, aveva rubato, sottratto mezzo miliardo di fiorini (quasi 2 milioni di euro).
Di che si trattava? Su un centinaio di progetti sono sei quelli sotto accusa. Le cifre destinate ai vari lavori in questione (ricerca, traduzione, curatela di opere...) sono state sommate, e una persona è stata additata come capro espiatorio. Perché proprio io, che su sei direttori di progetto non ho mai percepito un centesimo? Gli accusatori non hanno fatto mistero delle loro ragioni. Sono stata tacciata di «filosofa liberale», e «liberale», nel lessico del Governo attuale, è sinonimo di «opposizione», «diabolico», «antipatriottico». Questi sei bersagli selezionati sono stati scelti perché rappresentano il gruppo ideale per criminalizzare tutti coloro che mettono in discussione la politica del Governo ungherese, in particolare la recentissima legge sui mezzi di informazione.
Quali sono gli obbiettivi politici di questa criminalizzazione? Tanto per cominciare l’intimidazione degli intellettuali critici, in particolare dei filosofi. Costringerli a stare sul chi vive, indurli a tacere educatamente se non vogliono essere denunciati e trattati come vengono trattati i criminali comuni.
Inoltre, questa campagna consente di criminalizzare anche numerosi esponenti del Governo precedente e l’ex primo ministro social-liberale. In generale sulla base del pretesto che in questi ultimi dieci anni l’indebitamento dell’Ungheria ha raggiunto un livello preoccupante. Questo fatto, che è una questione di politica economica, ora viene presentato come un atto criminale, come se la precedente dirigenza si fosse intascata milioni di euro.
Assistiamo a un Kulturkampf, a un’offensiva del potere contro gli intellettuali. La maggior parte delle personalità di rilievo dell’élite culturale è stata «eliminata». È il caso, ad esempio, del direttore artistico e direttore d’orchestra dell’Opera di Budapest Adam Fischer, famoso a livello mondiale, o ancora del direttore del Balletto e di un gran numero di direttori di teatro, di redattori televisivi, di presentatori, di opinionisti, di giornalisti. Ed è in questo contesto che si inserisce l’attacco contro i filosofi.
Abusando della sua maggioranza parlamentare di due terzi, questo Governo di destra che si proclama «rivoluzionario» ha fatto approvare una legge sui mezzi di informazione gravemente in contraddizione con lo spirito democratico europeo. È stata creata una commissione ad hoc, composta unicamente da esponenti del partito di maggioranza, con la missione di controllare e definire sanzioni nei confronti dei media, inclusa la carta stampata (fino ad ora, la competenza per giudicare un reato mediatico - che si trattasse di diffamazione o di altro - spettava a un tribunale indipendente).
Quando molti deputati europei sono insorti contro questa grave violazione della libertà di stampa, il capo del Governo, Viktor Orbán, se l’è presa con gli intellettuali critici (i famosi «liberali»), accusati di aver pugnalato alla schiena il Governo legittimo del loro Paese, di essere dei nemici della patria, attribuendo a loro la responsabilità del fatto che l’Unione Europea non abbia apprezzato a dovere la particolarità di questo hungaricum, come chiamiamo noi le specialità magiare. Questo non lo nego, e mi dichiaro colpevole, come tantissimi altri colleghi. Ma la stampa europea non ha avuto bisogno di noi per lanciare l’allarme, perché la limitazione della libertà di stampa si può propagare come una malattia contagiosa, e bisogna fermarla fin dal manifestarsi dei primi sintomi.
Tuttavia, il Governo è ricorso a ogni genere di riforme per mettere alla prova i nervi degli intellettuali, sensibili al rispetto dei diritti. Ad esempio, eliminando metodicamente i contrappesi istituzionali, concentrando i poteri, nazionalizzando i contributi versati alle casse pensionistiche private, limitando l’indipendenza della Banca centrale, introducendo e applicando leggi a effetto retroattivo e altre misure ancora. Gli economisti e i politologi «liberali» si ritrovano in questo caso alleati dei filosofi. Un motivo di soddisfazione però c’è, in tutta questa triste faccenda. La solidarietà che ci è stata manifestata dai filosofi del mondo intero, e dagli intellettuali e dai liberi pensatori in genere, ci riconforta. L’eco è stato più ampio di quello che ci si sarebbe potuti immaginare. Petizioni e lettere di protesta sono affluite dai quattro angoli del pianeta, da tutti i Paesi d’Europa. Ovunque, la stampa si è mobilitata.
Sembra finalmente che la libertà di espressione, la libertà di opinione, la libertà di pensiero siano concetti che non conoscono confini. E che anche la filosofia, alla fine, non sia diventata un vecchio leone sdentato.
(Traduzione di Fabio Galimberti)