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EU-TANASIA: IL DIRITTO DI MORIRE. IL CORAGGIO DELLA PAROLA, NON LA TRAPPOLA DEL SILENZIO. Una nota di Claudia Mancina, e di Luigi Manconi - a c. di pfls

lunedì 25 settembre 2006
[...] Dobbiamo davvero augurarci che l’invito del capo dello Stato - si discuta di eutanasia «nelle sedi più idonee» - sia accolto. E proprio perché, come ha aggiunto Giorgio Napolitano, «il solo atteggiamento ingiustificato sarebbe il silenzio, la sospensione o l’elusione di ogni responsabilità». Questo avrebbe, innanzitutto, una conseguenza assai grave: la morte - resa evento ordinario fino alla banalizzazione e oggetto di consumo, serial televisivo e prodotto di mercato - resterebbe un (...)

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> EU-TANASIA: IL CORAGGIO DELLA PAROLA, NON LA TRAPPOLA DEL SILENZIO. Una nota di Claudia Mancina, e di Luigi Manconi

giovedì 5 ottobre 2006

EUTANASIA E COMPASSIONE

Il colpo di grazia

di Guido Ceronetti *

Da che l’uomo civilizzato esiste, l’eutanasia esiste. Il problema eutanasia, da che sappiamo di essere mortali, esiste. Non potendo sfuggire alla morte, vittoriosa sempre, ci sforziamo di farla meno cattiva che si può. In guerra e nelle esecuzioni capitali il suo nome è colpo di grazia, invenzione tra le più umane. Nella postmoderna attualità bioetica, quando si dice eutanasia si evocano incroci di frontiere del diritto e del pensiero, che bruciano. Qualcosa è cambiato.

La crudele novità propria del tempo, del mondo come oggi è e diviene, è nello stretto rapporto tra i progressi della medicina, l’allungamento della vecchiaia, lo stress esistenziale e modi di morire sempre meno naturali ed in ambienti improprii: l’ospedale, dove per lo più oggi si muore, non è un luogo per morire. La casa lo era, lo è. La camera da letto lo è. In ospedale ci sono tanti viventi-male, nessuno è un vero morente. Moriamo sì, ma da falsi morenti, tra macchinari e tecnici. E dove non c’è vero morire, l’eutanasia è un rimedio falso, pur rappresentando una possibilità di scampo dal dolore e dall’assurdità mostruosa di un coma senza fine, di una fisiologia separata dal corpo sofferente. Qui compare un dolore nuovo: il dolore del pensiero costretto ad accettare la non-verità medica che riempie ospedali e ospizi, trionfalmente, di non-vite, e quindi, necessariamente accogliere come vero il falso rimedio dell’eutanasia ministrata dalla stessa non-verità medica in cui siamo immersi. Con l’unica consolazione filosofica superstite: che in qualche modo e qualunque cosa facciamo, il tragico fondamentale della vita VIVE, porta di salvezza e schiarita sul dolore. Ma tu, uomo semplice, donna pratica, amico preoccupato, vuoi sapere se, caduto in qualche seggio di legislatore, voterei sì o no all’introduzione di questa falsa Buonamorte di cui si discute e che mi trova diffidente, oltre che pensieroso: ebbene posso dire che voterei sì, non per progressismo idiota, ma per pura e rigorosa compassione umana, che per me sopravanza ogni altra motivazione possibile.

Motivato e così motivabile il mio sì di cauto legislatore vale in quanto opportunità e bisogno sociale del presente. Lascio fuori dall’uscio ogni legittimazione ideologica. Il colpo di grazia farmacologico, se ha (e ce l’ha) un futuro, è un futuro di generalizzata fuga dalla vita: la nostra capacità di sopportazione del dolore psichico e di quello fisico, dell’infelicità e delle frustrazioni di un’esistenza che si autodistrugge tra lavoro-dovere familiare-pensionamento, e di sopportare anche l’immane sforzo di una determinazione suicida, si va sempre più riducendo, e la stessa pletora di divertimenti e di consumi di amori indolori ne è un sintomo. L’eutanasia stessa sarà scelta di consumatore. Già oggi, per chi può muoversi, è un semplice viaggio all’estero di sola andata. Il genere di vita che ha ormai consolidato il predominio tecnico è contrario alla natura e all’istinto umano, e in questa enigmatica prigione tutta l’esistenza esteriore e buona parte dell’interiore (leggi anima e lascia lo scandalo agli imbecilli) si fanno sviluppo economico, processi di meccanizzazione costrittiva, che culminano in una specie di sinistra «innovazione tecnologica» della morte. Seguitando a invecchiare, e coetanei e amici intelligenti a rarificarsi, mi domando: troverò ancora qualcuno con cui scambiare pensiero realmente libero, non emanato dal Dio Nulla - che poco meno di due secoli fa Georg Büchner qualificava come Dio nascente - un pensiero davvero vivo, senza barriere di terra e cielo? E della morte con chi parlare? Bisognerà surrogare ogni voce umana con parole di libro?

L’eutanasia è un rimedio: disumano rifiutarla a chi la richiede. Ma, ripeto, affidata al potere tecnocratico, fonte unica della sua legittimazione, questa morte buona è un rimedio falso, messo in coda nell’universale patologia di una falsa e fuorviata vita. E un modello sociale diverso non siamo più in grado neppure di immaginarlo.

Thànatos, crudele amico. Con eu o senza eu, questo è il problema che, in Occidente, in ogni suo punto abitato, morde di più (e sempre di più) i vivi.

*

www.lastampa.it, 04.10.2006


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