Dalla chiesa dei poveri alla chiesa dei manager
di Massimo Faggioli (”L’Huffington Post”, 21 dicembre 2012)
Non è chiaro cosa sarà dell’impegno politico di alcuni notabili cattolici italiani a favore di una “Lista Monti”. Vista dall’America, l’evoluzione del quadro politico italiano con l’agglomerarsi di una lista di centro fatta di industriali, tecnocrati e cattolici neo-liberisti non sorprende per nulla: è frutto non solo della crisi italiana, ma anche dell’onda lunga del reaganismo cattolico, che in America ha fatto di molte curie episcopali delle succursali del Partito repubblicano.
Dal punto di vista della cultura teologica del cattolicesimo contemporaneo, la svolta si era compiuta già da qualche anno, iniziata in modo silenzioso durante e nonostante il pontificato del papa operaio, Giovanni Paolo II, e consumatasi con Benedetto XVI e il crescente americanismo della cultura cattolica prodotta in Vaticano. Siamo passati da una chiesa che cinquant’anni fa proclamava di voler essere “la chiesa dei poveri” ad una chiesa che opera per i poveri ma parla sempre meno dei poveri (per tacer degli operai), che non crede nella politica schiava della “dittatura del relativismo”, e che si affida ai tecnici.
Che la “Lista Monti” sia contornata da esponenti del “cattolicesimo sociale” italiano non deve essere visto come elemento di bilanciamento all’identità “padronale”, ma come conferma di quella identità. Il “cattolicesimo sociale” ha sempre vissuto, dalla fine dell’ottocento dall’enciclica Rerum novarum di Leone XIII in poi, all’ombra di un magistero che rigettava il conflitto di classe: ma allora, e fino a pochi anni fa, rigettava anche la religione del mercato e i costi umani e sociali di un sistema economico e produttivo che allora veniva percepito nei suoi aspetti disumanizzanti. Da qualche tempo invece, in documenti del magistero cattolico forgiati all’ombra di teologi moralisti americani che si occupano di business ethics, la questione principale sembra essere quella di formare business leaders e managers eticamente sensibili ad un’idea di “bene comune” assai vaga e a un’idea di “solidarietà coi poveri” molto più vicina alle opere di carità individuale che alla giustizia sociale.
Parte del cattolicesimo percepisce lo “stato di eccezione” in cui da tempo vive l’Italia come un dato imposto dall’esterno e da cui uscire a tempo dovuto; un’altra parte del cattolicesimo americanizzante vede invece questo “stato di eccezione” come occasione per regolare i conti con una delle eredità più importanti della cultura del concilio Vaticano II. Il ralliement di parte del cattolicesimo italiano alla tecnocrazia ha il sapore di una resa incondizionata del pensiero sociale cattolico nei confronti del Moloch. I preti operai non sono mai stati molto popolari in Vaticano; i manager sembrano invece godere di molta più fiducia.