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MAMMASANTISSIMA. Il grande ordine simbolico del "Che-rùbino" ... tutti e tutto!!!

lL "LOGO" DELLA SAPIENZA, L’UMANITA’, E L’ACQUA. PAESE IMPAZZITO: FORZA "CHE RùBINO" TUTTO E TUTTI !!! PER IL "logo" della "SAPIENZA" DI ROMA, UN APPELLO AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA!!! Una nota, con articoli - a cura di Federico La Sala

sabato 12 luglio 2008
[...] Affinché il "cherubino" non diventi "un diavoletto"... che ha trovato una pietra "cara" e "preziosa" ed esclami: "che - rubìno!" ... Qui non capiscono il valore di un’"ACCA" - H, lo prendo Io: lo venderò a "caro-prezzo" ("caritas"); e fonderò un ’nuovo’ partito, una ’nuova’ chiesa [...]
ITALIA: LA NOSTRA PATRIA E’ LA LINGUA, NON LA TERRA NON IL SANGUE. Dante e Saussure insegnano.
EMERGENZA EDUCATIVA: TRADIMENTO DEGLI INTELLETTUALI.
 (...)

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> lL "LOGO" DELLA SAPIENZA, L’UMANITA’, E L’ACQUA. PAESE IMPAZZITO: FORZA "CHE RUBINO" TUTTO E TUTTI !!! PER IL "logo" della "SAPIENZA" DI ROMA, UN APPELLO AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA. E ANCHE ... A VELTRONI !!!- -- L’America mi vuole l’Italia mi butta (di Giacomo Rizzolatti, Università di Parma).

mercoledì 9 gennaio 2008

ANALISI

L’America mi vuole l’Italia mi butta

di GIACOMO RIZZOLATTI, UNIVERSITA’ DI PARMA *

L’8 dicembre ho ricevuto una lettera da uno scienziato americano di prestigio che lavora al National Institute of Mental Health. Diceva che l’NIMH cerca uno studioso affermato come «lab chief». La lettera finiva con «please consider this seriously for yourself». Il 16 dicembre è stata pubblicata la notizia che il governo in un emendamento della Finanziaria decideva che io, come altri professori universitari, non servivo più e in un paio di anni, nel caso mio, dovevo andarmene a casa.

Da una parte la comunità scientifica più avanzata del mondo cerca di averti, dall’altra una comunità scientifica, purtroppo non eccezionale, mi considerava inutile. Come è possibile? Molto semplice. Da anni negli Usa si considera che discriminare una persona in base all’età non è diverso dal discriminarlo in base alla razza o al sesso. Quindi mandare a casa un professore attivo solo perché ha superato una certa età è illegittimo.

Un esempio calcistico spiega il perché di questa posizione legislativa. Immaginate una squadra formata da giovani ed anziani. Cosa succederebbe se l’allenatore decidesse che la formazione deve essere fatta in base all’età e non al merito? Cacciare via i Trezeguet o i Del Piero? Certo che no. Si direbbe che l’allenatore è un imbecille. Per l’università non è lo stesso? Anzi, se la Juventus perde dispiace ai tifosi, ma se la ricerca va male il Paese va in rovina.

La cosa è ancora più allucinante in quanto in Italia esiste, o meglio, esisteva una legge molto avanzata in questo campo, se non rispetto agli Usa ed al Canada, almeno rispetto a molti altri Stati europei. Secondo la vecchia legge, i professori vanno in pensione a 72 o a 75 anni, secondo l’anno in cui erano entrati un ruolo. Un punto debole della legge è che, negli ultimi anni di servizio, il professore è esentato dall’insegnamento, restando inalterati gli altri obblighi. Questo vecchio privilegio è effettivamente un lusso cui l’università, cronicamente cenerentola nei finanziamenti, oggi ha difficoltà a mantenere. Il problema, però, poteva essere risolto facilmente. Bastava rendere obbligatorio l’insegnamento fino alla pensione e chiedere il pensionamento anticipato di chi si rifiutava.

La gravità del provvedimento governativo non solo sta nelle sue conseguenze, ma anche nell’incapacità di chi l’ha proposto di comprendere chi è e cosa fa un professore universitario. Se i professori facessero solo dell’insegnamento agli studenti, il provvedimento sarebbe stupido, ma non disastroso. La parte però più impegnativa del lavoro del docente non consiste nel raccontare dati acquisiti a giovani studenti, ma nell’insegnare a persone che hanno uno specifico background culturale come si fa la ricerca giorno per giorno, ora per ora: consiste nella capacità di creare una massa critica di persone che sfruttino la sua esperienza, fattore essenziale almeno in campo biologico e medico, e consiste nell’inserire i collaboratori nei circuiti internazionali da cui arrivano quei fondi che il ministero non dà o dà in quantità risibile. Distruggere tutto ciò, che è fondamentale per fare andare avanti i centri di ricerca avanzata decapitando l’università, è un atto distruttivo di cui si pagheranno per anni le conseguenze.

Quali sono le speranze perché ciò non accada? Un ripensamento di questo governo (governo?) o del prossimo, o un intervento della magistratura. Un provvedimento fortemente lesivo dei contratti individuali di una categoria di persone dovrebbe avere buone probabilità di essere cassata dalla magistratura, come spesso avviene negli arditi provvedimenti che ogni tanto questo governo emana. Infine un aspetto personale. Uno è convinto di essere un individuo che ha aspettative, speranze, progetti e non di essere una cosa. Per il ministro no. I professori universitari sono merce che può essere scambiata o buttata via, se il ministro pensa che questo possa migliorare il bilancio del suo ministero e possa nascondere l’incapacità di gestirlo. Si diceva che i grandi rivoluzionari amassero molto l’Umanità, ma poco i singoli. Le caricatura moderna del rivoluzionario mantiene intatta tale caratteristica.

* La Stampa, 9/1/2008


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