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MAMMASANTISSIMA. Il grande ordine simbolico del "Che-rùbino" ... tutti e tutto!!!

lL "LOGO" DELLA SAPIENZA, L’UMANITA’, E L’ACQUA. PAESE IMPAZZITO: FORZA "CHE RùBINO" TUTTO E TUTTI !!! PER IL "logo" della "SAPIENZA" DI ROMA, UN APPELLO AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA!!! Una nota, con articoli - a cura di Federico La Sala

sabato 12 luglio 2008
[...] Affinché il "cherubino" non diventi "un diavoletto"... che ha trovato una pietra "cara" e "preziosa" ed esclami: "che - rubìno!" ... Qui non capiscono il valore di un’"ACCA" - H, lo prendo Io: lo venderò a "caro-prezzo" ("caritas"); e fonderò un ’nuovo’ partito, una ’nuova’ chiesa [...]
ITALIA: LA NOSTRA PATRIA E’ LA LINGUA, NON LA TERRA NON IL SANGUE. Dante e Saussure insegnano.
EMERGENZA EDUCATIVA: TRADIMENTO DEGLI INTELLETTUALI.
 (...)

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> lL "LOGO" DELLA SAPIENZA --- cronaca da hostaria romana (con l’acca, però). La bravura non ha nome e cognome, dice Luigi Frati, rettore alla Sapienza di Roma (di Claudio Fava).

sabato 3 marzo 2012

La bravura non ha nome e cognome

Altrove i ministri tornano a casa perché non hanno pagato i contributi alle colf. Da noi quelli come Luigi Frati si arrabbiano

di Claudio Fava (l’Unità, 03.03.2012)

La bravura non ha nome e cognome, dice Luigi Frati, rettore alla Sapienza di Roma. Nel corso degli anni, la «sua» facoltà di medicina (Frati ne è stato preside per quasi una vita) gli ha sistemato la moglie Luciana Rita Angeletti (laurea in lettere, cattedra di storia della medicina), la figlia Paola (laurea in giurisprudenza, cattedra di medicina legale) e adesso il figlio Giacomo, ricercatore a ventotto anni, associato a trentuno, diventato ordinario di cardiochirurgia a trentasei anni dopo aver superato l’attentissimo vaglio di una commissione d’esame formata da tre dentisti e due igienisti.

D’impronta britannica il commento di Frati senior sulla carriera del figlio: «Giacomo mio s’è fatto un culo come un pajolo... il merito, ahò, ‘ndove lo metti il merito?». Già, dove lo mettiamo il merito? Frati junior l’ha applicato ad alcuni manichini, esercitandosi ad operare a cuore aperto su di loro in attesa di diventare professore e di ricevere in dote il suo reparto, pazienti inclusi.

La notizia non è questa cronaca da hostaria romana (con l’acca, però). La notizia è che non c’è notizia, nel senso che non è successo nulla. Il rettore è al suo posto, i famigli pure, la straordinaria coincidenza di un intero nucleo familiare sistemato a prescindere da tutto (dai percorsi universitari, dai legami di parentela, da un elementare senso di decenza) è stata letta, commentata e archiviata come si fa con le partite della nazionale: andrà meglio la prossima.

In altri Paesi, non più civilizzati del nostro, i ministri tornano a casa perché non hanno pagato contributi alle colf, i capi di stato si dimettono perché hanno sollecitato contributi per la moglie, i manager pubblici si autosospendono perché si sono fatti offrire una cena non dovuta. In Italia quelli come Frati invece s’incazzano, minacciano querela e restano inchiavardati al loro posto, ossequiati e inamovibili. Colpa loro? No. Colpa di chi tollera, tace e guarda altrove.

S’è perduto il valore dei gesti, il linguaggio di chi mostra con un gesto da che parte sta da dignità delle cose e delle persone. Senza scomodare il re della Danimarca che s’appuntò sul petto la stella gialla di David quando i nazisti chiesero alle loro nuove colonie europee di procedere col censimento a vista dei giudei (con quel gesto salvò la vita ad alcune centinaia di migliaia di ebrei), senza evocare la sobria coerenza di quei dodici docenti (dodici su milleottocento...) che nel ’38 si rifiutarono di giurare fedeltà al duce (e persero il posto, ma preservarono un briciolo d’onore all’università italiana), senza dover ricorrere a Bartleby lo scrivano che disse, senza aggiungere altro, «preferirei di no» (e non cambiò idea), insomma senza scivolare nelle celebrazioni, è però possibile che non ci sia alta e pubblica istituzione che non proponga una parola, un pensiero preoccupato, una critica ai comportamenti e ai ragionamenti del rettore della più grande università d’Europa?

Dal Quirinale, nei giorni scorsi, è stata recapitata ai giornali una lettera del Presidente che, garbatamente ma puntualmente, lamentava la critica formulata nei suoi confronti da un deputato del Pd: quella critica era solo un’opinione, ma è stata ritenuta meritevole di una replica personale dalla più alta carica dello Stato. Anche sul siparietto familiare del rettore della Sapienza, che intanto ci fa sapere di aver ricevuto anche la proposta di una candidatura per la carica di sindaco di Roma, il paese si sarebbe aspettato un qualche inarcarsi di sopracciglia.

Per esempio, al posto del ministro dell’Università, anche per puro scrupolo di verità, avremmo chiesto che ci venissero inviati gli atti relativi al concorso vinto da figlio del rettore (quello che opera i manichini): se non altro per far sapere a igienisti e dentisti che - da commissari d’esame devono decidere sulla competenza di un futuro cardiochirurgo, che la salute materiale dei cittadini e quella morale dell’università sono in cima ai nostri pensieri.

Perché se nei nostri pensieri non c’è spazio per le fulminee carriere dei figli del rettore, con che titolo ce la prendiamo con i vigili urbani romani che chiedevano la mazzetta per arrotondare la paga e concedere licenze abusive e certificazioni taroccate? Lo so, quelli truffavano, è un reato, è colpa grave... Poi però s’è saputo che i colleghi, anche quelli onesti, sapevamo. Ma tacevano. Ecco il punto: a far sempre finta di niente, sul magnifico rettore o sui vigili urbani romani, si finisce per abituarsi a tutto. Anche al peggio.


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