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Che fare?!

Finalmente sappiamo che cosa è successo a Vicka-Maria, la bambina bielorussa ospite a Cogoleto, in Italia. Una nota (2006) di Ida DOMINIJANNI e, oggi - 2007, una denuncia di Furio COLOMBO - a cura di pfls.

lunedì 12 febbraio 2007 di Federico La Sala
[...] Né la famiglia né lo Stato sono più quelli di una volta: ci sono bambini abbandonati in patria che trovano famiglia fuori, ci sono, nella complessa galassia dei migranti, figli che lasciano madri e padri e madri e padri che lasciano i figli per trovare lavoro altrove, ricongiungimenti familiari difficili, separazioni coniugali inevitabili, amori troncati e amori trovati. E’ il ghenos oltre il ghenos di oggi, quando anche lo Stato dovrebbe andare oltre lo Stato. A Genova un amore era (...)

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> AMORE è PIù FORTE DI MORTE, ma né lo Stato-chiesa né la Chiesa-stato lo sa più. Una nota di Ida DOMINIJANNI, sul "caso " della bambina bielorussa - MARIA

domenica 1 ottobre 2006

Amare un bambino non è quello che ho visto

Maria non è una merce

quei “genitori” hanno sbagliato

di Maria R. Calderoni (www.liberazione.it, 29.09.2006)

No. «Voi cosa avreste fatto al posto dei ”genitori?». E’ il titolo-domanda comparso ieri su Liberazione. Semplice, non ho il minimo dubbio. Avrei fatto esattamente l’opposto dei surrettizi genitori della piccola Maria. E quindi avrei tenuto un comportamento esattamente opposto da quello così ampiamente e appassionatamente propugnato dalla mia amica e compagna Elisabetta Mondello appunto sul nostro giornale. L’avrei festeggiata, cullata, baciata e abbracciata, la mia piccola Maria, e incoraggiata a tornare a casa, colà dove io avrei continuato ad assisterla e ad amarla, da lontano, amorevolmente e dolcemente. L’avrei rassicurata, prendendole la manina, e aiutandola ad incamminarsi, l’avrei circondata di carezze e di fiabe. Le avrei fatto capire - i bambini, come diceva Rodari nelle sue poesie, sanno capire le cose grandi - che intorno a lei c’è tanta gente che le vuole bene e la protegge. Sia qui da noi, che là, al suo paese. Un paese - le avrei detto e ripetuto, fino a farla sorridere - dove non ci sono orchi.

I bambini non sono proprietà dello Stato, certo. Ma non sono proprietà nemmeno dei genitori, naturali o adottivi, che non ne possono disporre a proprio arbitrio o piacimento, vuoi come oggetto di troppo, o di troppo poco, amore; vuoi come esibizione di narcisismo; o vuoi come ostentato possesso esclusivo. O vuoi - ciò che spesso accade persino nelle nostre “famigliole felici” del lombardo-veneto (non solo nella barbara Ucraina) - come materia di ricatti tra le coppie in crisi. Amare un bambino è un esercizio delicato e immenso, una fatica e una gioia che richiedono pudore, gentilezza, forza, immaginazione, generosità; anche il raro equilibrio di saper dire i no e i sì giusti nei momenti giusti.

Amare un bambino, perciò, non è quello che ho visto nei dintorni della coppia Giusto-Bornacin; in loro ho visto uno spasmodico desiderio di genitorialità a tutti i costi, un esagitato sovrapporsi alla correttezza, al lecito e persino alla legge. In nome di un diritto affettivo, di un patrocinio e di “un far da te” protezionistico che collima con la violenza. I Giusto-Bonacin, che si sono esercitati in una sorta di appropriazione indebita, tanto più grave perché l’oggetto del contendere, egregi signori, non è un una merce di scambio, né un premio in palio, ma un bambino. Solo un bambino.

Devo anche dire che vi ho visto persino il riflesso di una revanche di sapore razzistico, il riflesso della famosa pretesa “superiorità” occidentale, e magari cattolica, rispetto ai “barbari” dell’Est.

No. Ai Giusto-Bornacin, oggi come oggi, non darei la piccola Maria. Nè nessun altro bambino.


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