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Il Van - gélo di Costantino e dell’Oro, di "Mammona" (= Caritas)

IL CATTOLICESIMO CON LA CROCE UNCINATA. L’apertura degli archivi del vescovo filonazista Alois Hudal, rettore per decenni del Collegio pangermanico di Santa Maria dell’Anima a Roma ripropone la necessità di una analisi in profondità dei rapporti tra la gerarchia cattolica tedesca e l’ideologia hitleriana

venerdì 26 gennaio 2007 di Federico La Sala
[...] Ma da questo punto di vista è desolante constatare quanto superficiale sia stato finora, in generale, l’approccio analitico al fenomeno del consenso cattolico nei confronti dei regimi autoritari fioriti in mezza Europa tra le due guerre mondiali. Che non si sia compreso come il sostegno di Hudal al nazismo, lungi dal rappresentare il singolare esito patologico di una qualche deviazione individuale, riassuma in miniatura una intera stagione teologico-intellettuale, e forse persino (...)

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> IL CATTOLICESIMO CON LA CROCE UNCINATA. --- Leggi del 1938 e cultura del razzismo. Storia, memoria, rimozione -a cura di Marina Beer, Anna Foa e Isabella Iannuzzi (di Andreaa Cortellessa - con un art. di Giulio De Benedetti, "Berlino 1921).

lunedì 22 marzo 2010

Berlino 1921 qui si prepara la Shoah

di Andrea Cortellessa *

Non sempre gli atti di un convegno sono riservati agli specialisti. Lo dimostra Leggi del 1938 e cultura del razzismo. Storia, memoria, rimozione, appena uscito da Viella (a cura di Marina Beer, Anna Foa e Isabella Iannuzzi, pp. 223, € 23), soprattutto rivolto ai giovani, prime vittime delle campagne neo-razziste oggi sfrontatamente proposte da certi media. Ci appaiono talmente folli, i paradigmi razzisti, che fatichiamo ad accorgerci di come facciano breccia nella cultura di massa (basti pensare agli slogan delle tifoserie calcistiche).

Il libro mostra come l’episodio più nefando della nostra storia recente - appunto le Leggi razziali con le quali il Fascismo privò dei loro diritti gli ebrei italiani - sia stato a lungo «rimosso» dalla nostra cultura (gli ultimi dispositivi correlati sono stati abrogati solo nel 1987!): dando così vita a un mito, quello del «buon italiano», che ci impedisce di fare i conti con le pagine più buie della nostra storia.

Fra i contributi spicca quello di Giorgio Fabre su Giulio De Benedetti: nel dopoguerra per due decenni mitico direttore della Stampa, ma già brillante columnist durante il Ventennio. Prima vezzeggiato poi malvisto dai gerarchi (si iscrive al Fascio nel 1927), cade definitivamente in disgrazia - com’è ovvio - con le Leggi razziali.

Ma in tempi non sospetti fu il primo giornalista ad avvisare dell’orrore antisemita che si andava preparando (fu anche tra i primi, in Europa, a intervistare il giovane Adolf Hitler, tuttavia sottovalutandolo). Fabre riporta una sua corrispondenza dalla Germania, uscita sulla Gazzetta del Popolo il 10 luglio 1921 con il titolo «La croce uncinata», che fa venire i brividi. Specie quando il leader antisemita di allora serenamente contempla, per gli ebrei, la prospettiva della «morte, del massacro, dell’espulsione e della confisca dei beni».

*** * ***

-  Berlino 1921
-  I tedeschi cercano un capro espiatorio

-  di Giulio De Benedetti

Così il futuro direttore della Stampa, in anticipo sui tempi, denunciava i pericoli dell’escalation antisemita.

La Germania, dopo la rivoluzione, è diventata il centro del movimento antisemita. Da Berlino e da Monaco non si organizzano naturalmente i progroms [così nel testo, ndr] in Galizia e in Ucraina, ma si dirige questo movimento spirituale che ha millenni di storia e nell’interno del paese si è scatenata contemporaneamente una bassa e volgare agitazione come non ha esempio in nessun paese civile.

[...] La Germania ha perduto la guerra sui campi di battaglia. [...] Ciò non impedisce che vi siano diecine di quotidiani ed alcuni milioni di tedeschi sicuri che la sconfitta, il crollo dell’Impero, la rivoluzione e la pace di Versailles siano stati un’opera degli ebrei. Considerati questi principii, si comprende quali sono le basi del movimento politico antisemita che si svolge attualmente in Germania. [...]

Il conte Reventlow, uno dei capi riconosciuti di questo movimento, mi diceva giorni or sono in un lungo colloquio che ha avuto la cortesia di accordarmi: «Il nostro problema giudaico non rappresenta che una parte di quello mondiale. Esso non può trovare una soluzione radicale che in forma internazionale». Come risolverlo però il conte Reventlow non sa: la morte, il massacro, l’espulsione e la confisca dei beni sono misure di cui comprende le difficoltà. Spera in un miracolo: « [...] Innanzi tutto propagandare l’idea, poi, quanto ai mezzi, si vedrà». [...]

Nell’attesa di misure più energiche egli si accontenterebbe che si ponesse un limite alla loro attività riapplicando quella serie di misure restrittive che il soffio di libertà della seconda metà del secolo scorso aveva abbattuto in tutti i Paesi civili. Il conte Reventlow, sicuro di fare parte di una crociata per la liberazione del mondo, non vuole riconoscere insomma la legge morale che impone di giudicare ogni individuo per quello che è, per quello che fa e non dalla sua origine o dal luogo di nascita dei suoi antenati.

A fianco della lotta politica [...], si è scatenata in Germania una campagna brutale ed incosciente contro una minoranza. Vi sono diecine di quotidiani che eccitano i più bassi istinti della popolazione contro la razza semita, vi è una serie di giornali che non hanno altro programma di questa propaganda; si sono formate delle società, si pubblicano libri, opuscoli, riviste, settimanali che dimostrano come tutte le turpitudini, tutte le vergogne di questa disgraziata generazione ricadono sugli ebrei. [...] Si crea così nel Paese uno stato d’animo da progroms, malgrado il carattere civile del popolo tedesco faccia escludere questa possibilità, ma non è raro il caso di trovare tutta una strada segnata colla croce uncinata (incontrate quotidianamente centinaia di persone per le vie di Berlino che portano questo simbolo della lotta antisemita), o che gli ebrei siano assaliti nelle vie da studenti nazionalisti o da membri delle organizzazioni militari ora disciolte e quotidianamente si legge che in Università od in Scuole superiori si impedisce agli insegnanti israeliti di parlare. [...]

Ieri ancora la Deutsche Zeitung definiva il prof. Einstein, il creatore della teoria della relatività, come il più grande ciarlatano del secolo; un settimanale invitava anzi apertamente ad assassinarlo ed il direttore fu condannato a mille marchi di multa per eccitazione a delinquere. (Un esempio ancora tra i molti: in una scuola una maestra domanda ad una ragazza di tredici anni perché non è battezzata: «Mio padre è ebreo, mia madre è cristiana». Risposta della maestra: «Così la patria ha perduto una madre ed una figlia e fisicamente questo matrimonio può essere paragonato all’unione tra un Bulldog ed un S. Bernardo»).

Il tedesco è antisemita oggi come lo è sempre stato, ma nei periodi della miseria, come dimostra la sua storia, cerca più che mai un capro espiatorio alla sua collera impotente: perché è un popolo questo che manca di tolleranza, di fantasia e soprattutto ignora - non bisogna mai dimenticarlo - cosa sia la bontà.

* La Stampa, 22 marzo 2010


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