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Terra, come Marte?!

EFFETTO SERRA. LA TERRA AL "CAPOLINEA" ... IL RAPPORTO CHOC dell’economista britannico Nicholas Stern, ex dirigente della Banca Mondiale.

Accelerazione del mutamento del CLIMA. Non solo le rane arlecchino stanno scomparendo, ma la stessa economia mondiale è minacciata.
lunedì 6 novembre 2006 di Federico La Sala
[...] non tutti riescono a sopravvivere spostandosi o mutando le loro abitudini: molti non hanno il tempo, o lo spazio, per scappare. Per le rane arlecchino del Costa Rica il nuovo clima è stato fatale. Le notti sempre più calde e lo strato di nuvole in crescita che durante il giorno blocca parte della radiazione solare hanno favorito la proliferazione di un fungo patogeno che attacca la pelle delle rane impedendo l’assorbimento dell’acqua attraverso i pori. Questa piccola mutazione (...)

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> EFFETTO SERRA. Accelerazione del mutamento climatico.

domenica 14 ottobre 2007

L’altro mondo di Gore

di BARBARA SPINELLI (La Stampa, 14/10/2007)

È significativo che Al Gore abbia fatto rinascere la politica e le abbia dato un nuovo tema oltre che un diverso modo di farla creandosi una specie di seconda patria nella rete internet: una patria-mondo, visto che il territorio internet è il mondo. Alle spalle aveva quel giorno infausto in cui vinse le presidenziali contro Bush, nel 2000, e che perse a seguito del verdetto di una Corte Suprema «eticamente compromessa», come scrive Michael Tomasky sul New York Review of Books dello scorso settembre. Molti narrano l’abbattimento che afflisse per mesi il candidato, ma pochi percepirono l’eccezionale itinerario che egli cominciò a percorrere: forte - sembrerebbe - di una sua segreta convinzione riguardante la nobiltà delle sconfitte. Fu un itinerario di esilio interiore e anche di conversione, di discussione e riscoperta di sé. Fu un distaccarsi dalla politica e al tempo stesso un riattaccarsi ad essa, un ripensarla da capo. Tale fu il suo migrare in altre patrie e nel mondo.

Una sua antica passione era tornata in superficie, sette anni fa: la cura dell’ambiente, la protezione della Terra come questione di pace e di guerra, l’idea di una responsabilità politica che oltrepassa non solo i confini della nazioni ma anche quelli delle generazioni, divenendo quella che Hans Jonas chiama responsabilità per il futuro dell’uomo. Era una passione che non trovava posto nello spazio pubblico, né in America né altrove. Fu allora che emigrò nel world wide web, allo stesso modo in cui De Gaulle scelse di incarnare la Francia migliore standosene fuori, a Londra, per combattere i collaborazionisti di Vichy. Così Al Gore: ritrovare la fortezza della politica non era possibile nello spazio pubblico esistente.

Non era possibile per il semplice fatto che tale spazio a suo parere s’è oggi striminzito, occupato com’è da poteri manipolatori che screditano l’arte del politico e la sua vocazione.

Le verità scomode, che son divenute l’emblema di Al Gore, possono esser dette solo allontanandosi da questi centri di potere (politici, mediatici) e riparando nelle terre del web. Senza quest’altra patria, estesa alla Terra, la sua influenza non sarebbe cresciuta sino a fare di lui un mito; il suo film sulla catastrofe climatica non avrebbe scosso i popoli; la giuria del Nobel non l’avrebbe nominato campione della pace assieme a quella straordinaria istituzione (l’Ipcc, Panel intergovernativo sul cambiamento climatico) che l’Onu creò nell’88, che è composta di 2500 scienziati non retribuiti, e che ha influenzato Al Gore.

Non importa sapere se il premiato profitterà del Nobel per rientrare in politica, armato di questi sette anni di esilio-resistenza. Molti ammiratori lo desiderano, invocando sul web la sua candidatura. Il blog più militante - www.draftgore.com - lo scrive ogni giorno e aggiunge una canzone di Paul Kaplan per incoraggiarlo, «Run Al Run», Corri Al, corri, che riprende il titolo di un libro (Run Boy Run) sulla fuga d’un ragazzo dal ghetto in fiamme di Varsavia. Al Gore è visto così: un ragazzo, con le sue cadute e metamorfosi. Un adolescente che continuamente muore e rinasce, come usano gli adolescenti. È l’intreccio che l’ha trasformato in politico-profeta, e non è detto che abbandoni questa sua immagine inusitata candidandosi come tanti altri.

Occuparsi prioritariamente del clima gli ha fatto scoprire un gran numero di cose, sulla malattia profonda della democrazia e dell’America. Una malattia che preesiste a Bush ma che Bush ha acuito enormemente. Gli ha fatto capire che la potenza Usa ha perduto con gli anni ogni attrattiva morale, che è forte solo della violenza, che la sua leadership globale è in frantumi dopo l’11 settembre. Ed è in frantumi perché imbacuccata nell’illusione di poter fronteggiare da sola, col vecchio Stato-nazione, mali comuni al pianeta come quello delle temperature in aumento. Il clima gli ha fatto scoprire che urge una coscienza collettiva per rispondere a minacce come il riscaldamento della Terra, l’innalzamento dei mari, la prospettiva di inondazioni e di milioni di rifugiati, le guerre già cominciate (l’Iraq è esemplare) attorno a risorse come acqua e petrolio, che sperperiamo o da cui perniciosamente dipendiamo.

Per questo è essenziale il web, che questa coscienza può accenderla più di altri mezzi, resuscitando al contempo la politica: il web e i blog che non disseminano verità - come fanno i giornali e soprattutto la televisione - ma la cercano instancabilmente (la distinzione tra disseminare e cercare è nell’ultimo libro di Al Gore, L’Assalto alla Ragione, che Feltrinelli pubblicherà in autunno).

La battaglia di Al Gore non è solo contro Bush, o contro politici che hanno supinamente accettato l’idea di una guerra «di più generazioni» contro il terrorismo, con l’abnorme accrescimento dei poteri presidenziali che tale guerra comporta, a scapito di libertà individuali e stato di diritto. Nell’Assalto alla Ragione l’ex candidato democratico dice che questi sono sintomi della malattia democratica e che le vere cause sono altrove: sono la scomparsa di un’autentica conversazione democratica pubblica, che crei nei cittadini fiducia nella politica e attaccamento a essa (il riferimento è esplicito alle teorie dell’attaccamento, sviluppate dagli psichiatri John Bowlby e Mary Ainsworth). Televisione e grandi giornali uccidono quotidianamente la conversazione, propinando dall’alto verità convenienti che nessuno lettore o telespettatore può mettere in questione, generando in questi ultimi un crescente senso d’impotenza, nascondendo i crudi fatti dietro velami ideologici.

La messa in questione è consentita tuttavia nei blog, nuovi strumenti di attaccamento alla politica e di conversazione «non a senso unico». Solo in internet si può entrare senza appartenere a lobby o corporazioni, senza titoli speciali e sovente abusati: dicendo la propria, e facendo della democrazia qualcosa di condiviso. Internet ha certo i suoi pericoli, che Al Gore enumera: insidiato dall’approssimazione, anch’esso può manipolare. Ma introdurre regole nel web ed evitare che le corporazioni se ne impossessino non è impossibile.

Le peripezie del dibattito sul clima sono significative. Giornali e tv si sforzano ogni volta di dare l’opinione contraria, quando espongono i dati a disposizione sui disastri della biosfera. Pretendono di farlo in nome del pluralismo, ma in realtà trasformano i fatti rivelati in opinioni, e falsano il dibattito mettendo tutto sullo stesso piano: idee e cifre, ideologie cucite sugli interessi e dati scientifici. Nel suo libro Una scomoda verità (Rizzoli), Al Gore lo spiega bene: giornali e tv danno alle opinioni contrarie un eguale peso, mentre praticamente nessun articolo scientifico sulla stampa specializzata contesta ormai i dati forniti da istituzioni come Ipcc e le responsabilità umane nel clima degradato.

Al Gore restituisce alla politica il primato che sta perdendo, reinventandola e riempiendo un vuoto come fece la socialdemocrazia nella seconda parte del XX secolo. In un primo tempo, il ’900 fu letale perché il conflitto fra mercato e democrazia era stato sottovalutato, e vinsero dottrine che fecero tesoro del risentimento e della paura nati dal conflitto. Oggi siamo a un bivio simile, e non a caso Al Gore cita quel che Churchill disse nel ’36: «Il periodo dei rinvii e delle mezze misure è finito (...) Adesso inizia il periodo delle conseguenze». E ancora: «Questo è un momento morale (...). Quando viene meno la visione, la gente perisce».

Anche oggi le forze del mercato tendono a ignorare il clima, mettendo da parte la politica, le regole, la visione. Molti politici son succubi di tali forze - anche a sinistra, dove son chiamati coraggiosi - e giungono sino a disfarsi dell’innovativo principio di precauzione, che impone cautela quando l’economia cresce in offesa alla terra (è il caso del francese Attali, cooptato da Sarkozy, che propone di eliminare il principio incorporato da Chirac nella costituzione). Ma i politici sono particolarmente succubi in Stati-nazione come l’America, e non a caso Jeremy Rifkin è del parere che l’Europa sia, su numerosi temi, più avanzata (la Repubblica, 13-10-07).

Ma anche in Europa occorrono figure profetiche, che escano dalla politica fossilizzata per rientrare in essa con idee non ortodosse. Rifkin cita Prodi, quando alla presidenza della Commissione europea si batté per il clima sfidando l’ottusa sordità di Washington. Anche lui, a suo modo, era un emigrato della politica italiana. Al Gore con le sue iniziative rifonda la politica, superando i limiti dello Stato-nazione e guardando il mondo con occhi spesso più europei che americani. Ripensa il rapporto fra informazione e partecipazione, fra monologo dei media dominanti e inedite pratiche di conversazione cittadina. È sperabile che il suo sguardo resti profetico, quale che sia il suo avvenire politico.


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