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Terra, come Marte?!

EFFETTO SERRA. LA TERRA AL "CAPOLINEA" ... IL RAPPORTO CHOC dell’economista britannico Nicholas Stern, ex dirigente della Banca Mondiale.

Accelerazione del mutamento del CLIMA. Non solo le rane arlecchino stanno scomparendo, ma la stessa economia mondiale è minacciata.
lunedì 6 novembre 2006 di Federico La Sala
[...] non tutti riescono a sopravvivere spostandosi o mutando le loro abitudini: molti non hanno il tempo, o lo spazio, per scappare. Per le rane arlecchino del Costa Rica il nuovo clima è stato fatale. Le notti sempre più calde e lo strato di nuvole in crescita che durante il giorno blocca parte della radiazione solare hanno favorito la proliferazione di un fungo patogeno che attacca la pelle delle rane impedendo l’assorbimento dell’acqua attraverso i pori. Questa piccola mutazione (...)

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> EFFETTO SERRA. Accelerazione del mutamento del CLIMA. Non solo le rane arlecchino stanno scomparendo, ma la stessa economia mondiale è minacciata. IL RAPPORTO CHOC dell’economista britannico Nicholas Stern, ex dirigente della Banca Mondiale.

lunedì 6 novembre 2006

Si è aperta oggi in Africa la conferenza Onu per la lotta al riscaldamento globale. Si cerca una difficile intesa per ridurre drasticamente i gas serra dopo il 2012

Clima, al via il vertice di Nairobi il mondo davanti alla sfida più difficile

Danni catastrofici se non si tagliano le emissioni del 50% entro il 2050. L’obiettivo deve fare i conti con l’opposizione di Bush e il ruolo di Cina e India

di VALERIO GUALERZI *

NAIROBI - Undici giorni per decidere cosa fare nei prossimi quindici anni. Da oggi fino al 17 novembre si svolge a Nairobi, in Kenya, la dodicesima conferenza internazionale sui cambiamenti climatici organizzata dalle Nazioni Unite. Al vertice partecipano oltre seimila delegati di circa duecento paesi. All’ordine del giorno, gli interventi per ridurre i danni dei cambiamenti climatici già in atto (in primis proprio in Africa), il confronto sull’attuazione degli obiettivi fissati dal protocollo di Kyoto, e, soprattutto, le trattative per cercare di gettare le basi per un suo rinnovo con obiettivi molto più ambiziosi a partire dal 2012, quando scade il termine della prima ratifica che fissa il traguardo di un -5% nelle emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990. La comunità internazionale arriva all’appuntamento sulla scorta di previsioni nefaste e segnali incoraggianti.

Previsioni drammatiche. Da un lato la comunità scientifica è ormai pressoché concorde sul fatto che il tempo a disposizione sta scadendo e rimangono tra i 10 e 15 anni per ingranare la retromarcia e scongiurare gli effetti più drammatici del riscaldamento globale. Secondo Greenpeace, ma il consenso su questo aspetto va ormai molto oltre i ristretti confini del mondo ambientalista, entro il 2020 bisogna arrivare alla riduzione delle emissioni del 30 per cento da parte dei paesi industrializzati, e almeno al 50 per cento entro il 2050. L’obiettivo è infatti quello di scongiurare una concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera in grado di portare entro il 2100 a un aumento della temperatura media di due gradi centigradi, limite oltre il quale la dinamica del clima potrebbe impazzire.

Qualcosa è cambiato. Dall’altro lato, l’aria che si respira rispetto ad altre vigilie è quella di una maggiore consapevolezza della minaccia che incombe sull’umanità. Coscienza che ha conquistato spazio anche negli Stati Uniti, il paese maggiormente responsabile dei rischi (con circa il 5% di popolazione crea quasi il 25% delle emissioni), ma sinora il più ostinato nel negarli. Il presidente Bush formalmente resta un nemico giurato di Kyoto, ma intorno a lui tutto sta cambiando e negli Usa negli ultimi mesi è stato tutto un fiorire di iniziative di singole istituzioni o singole imprese volte a ridurre le emissioni come se il Protocollo fosse stato sottoscritto anche da Washington.

I costi economici. A metà tra auspici negativi e positivi, sta il rapporto commissionato dal governo britannico all’ex economista capo della Banca mondiale Nicholas Stern sulle ripercussioni economiche di un mondo con maggiori inondazioni, maggiore siccità, maggiori rischi di epidemie, e zone costiere fertili rese inaccessibili dall’innalzamento dei mari, con conseguenti maggiori flussi migratori. Il documento, reso pubblico qualche giorno fa, vede nero, prevedendo costi elevatissimi e un mondo alle prese con una crisi ben più dura di quella del 1929. Allo stesso tempo sembra però poter conquistare alla causa della lotta all’effetto serra anche vasti settori dell’economia. Intervenire ora, è il ragionamento di Stern, costa relativamente poco, farlo dopo avrebbe un prezzo esorbitante.

Consapevolezza europea. Il problema dei costi della lotta ai cambiamenti climatici è proprio uno dei nodi principali al centro delle trattative di Nairobi. Gli Stati Uniti rifiutano di sottoscrivere qualsiasi accordo che stabilisca limiti rigidi alle emissioni per due motivi. Il primo è il fatto che secondo l’amministrazione Bush l’economia americana sarebbe costretta a fronteggiare delle spese che ne frenerebbero la crescita. Ma se fino a qualche tempo fa c’erano solo gli ambientalisti a sostenere che passare a uno sviluppo sostenibile può essere un formidabile volano economico, ora affermano di pensarla così molti leader europei, Tony Blair e Angela Merkel su tutti.

Schwarzy contro Bush. Persino il governatore repubblicano della California Arnold Schwarzenegger, che ha fissato per il grande stato americano un ambiziosissimo piano che dovrebbe portare entro il 2020 a una riduzione delle emissioni del 25% rispetto a quelle del 1990, sembra essersi convertito a questo credo. Sorprendentemente, la motivazione di Terminator non è infatti solo di carattere ambientale ma anche economica, con la dichiarata intenzione di rendere le aziende californiane più competitive e di fare della Silicon Valley la nuova patria dell’energia solare.

Aspettando il ricambio. La previsione è quindi che da Nairobi arriveranno dei segnali importanti, ma ancora nulla di concreto perché se è vero che gli Usa sono di fatto avviati verso una politica di riduzione delle emissioni, questo non sarà sancito in maniera solenne fino a quando alla Casa Bianca ci sarà Bush. La vera discussione sul Kyoto dopo 2012 potrà decollare quindi solo nel 2009. E anche con un nuovo presidente americano fissare un nuovo accordo con obiettivi ambiziosi non sarà comunque semplice.

Il problema di Cina e India. Resta infatti aperto il secondo ostacolo all’adesione Usa, quello sul ruolo dei paesi in via di sviluppo. Cina, Brasile e India nella prima fase del Protocollo sono state esonerate dal tagliare i gas serra per non comprometterne la crescita. In questa fase le tre nazioni sono invece oggetto di grandi investimenti in tecnologie pulite e fonti rinnovabili da parte dei paesi occidentali che "pagano" così le riduzioni che non sono in grado di fare in casa propria. Un flusso di fondi e "know how" particolarmente apprezzato, soprattutto da Pechino, alle prese con devastanti problemi ambientali. Guai però a parlare a questi tre paesi di futuri tagli alle emissioni stabiliti per legge. I cambiamenti climatici, è il ragionamento di Cina, India e Brasile, sono responsabilità di chi ha inquinato sino ad ora e spetta quindi all’Occidente risolverli.

Un difficile compromesso. Secondo Washington concedere un’ulteriore deroga rappresenterebbe però dare ulteriori vantaggi alla concorrenza di tre temuti rivali economici. Alla conferenza di Nairobi spetterà quindi il difficile compito di gettare le basi per trovare un punto di possibile mediazione in grado di preparare un Kyoto post 2012 con a bordo gli Stati Uniti, ma anche con un coinvolgimento più stringente dei paesi in via di sviluppo. (6 novembre 2006)

* la Repubblica


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