L’approvazione della riforma alla Camera è un importantissimo primo passo
il dibattito politico ripropone il contrasto tra due visioni del futuro
Sanità Usa, inizia la rivoluzione ma la strada è ancora lunga
di ARTURO ZAMPAGLIONE *
NEW YORK - Esortati da Barack Obama "ad ascoltare il richiamo della storia", i democratici sono riusciti a far approvare il loro piano per la riforma sanitaria, passato alla Camera con 220 voti a favore e 215 contrari. Un margine molto esiguo, per colpa di 37 blue dogs (cani blu), come vengono chiamati i democratici conservatori, che hanno voltato le spalle al partito, mentre un solo repubblicano ha tradito il suo. Eppure per Obama rappresenta la più grande vittoria di politica interna della sua presidenza.
Intenso e passionale come ai tempi delle leggi sulla Social security e sul Medicare, il dibattito parlamentare ha visto contrapposte due visioni molto diverse del futuro degli Stati Uniti: la destra ha difeso il modello ultraliberista della sanità, basato sulla centralità dell’individuo, la filosofia del mercato e un ruolo margionale dello stato; i democratici hanno mantenuto fede alle istanze sociali e alle promesse elettorali con un piano che darà allo stato funzioni importanti e permetterà ad almeno 36 milioni di americani, che ora non hanno alcuna forma di assicurazione medica, di essere tutelati.
"E’ un voto storico che permetterà finalmente ai nostri concittadini di avere cure mediche di qualità a prezzi abbordabili e al tempo stesso conterrà la spesa pubblica", ha commentato Obama. "Sono orgogliosa di questo risultato storica", gli ha fatto eco il presidente della Camera Nancy Pelosi.
Certo, la strada della riforma è ancora molto lunga e tortuosa. Il Senato comincerà tra poco a discutere e ad approvare un suo piano. Poi si dovrà trovare un accordo su un testo unificato, da sottoporre a un altro voto delle due Camere. Nella migliore delle ipotesi la firma di Obama in calce al provvedimento non si vedrà prima di gennaio o febbraio 2010, anche se il presidente spera ancora di chiudere la partita entro la fine dell’anno. Eppure per la Casa Bianca, che nelle settimane scorse cominciava a soffrire di un declino di popolarità (e di fiducia in se stessa), il voto di ieri è sicuramente una svolta.
Lo è anche per gli Stati Uniti: a differenza di ogni altro paese industrializzato non hanno mai avuto un sistema sanitario nazionale, e il cambiamento indicato dal voto di ieri equivale a una vera rivoluzione. Finora infatti il governo ha avuto un ruolo marginale nel settore, limitandosi solo a tutelare gli impiegati pubblici, i pensionati e i ceti particolarmente poveri. Il piano dei deputati democratici, lungo ben 1.990 pagine, stabilisce invece l’obbligo per ogni americano di avere una assicurazione medica (chi non ce l’ha pagherà una tassa) e impone alle aziende con un monte salari superiore al mezzo milione di dollari di pagare circa due terzi del costo della polizza per ogni dipendente.
Il piano della Camera crea anche una "borsa" delle assicurazioni mediche, dove aziende e singoli potranno comprare le polizze in modo competitivo: a farsi concorrenza non saranno solo le compagnie di assicurazioni già esistenti, ma anche cooperative ad hoc e lo stesso governo che offrirà un suo contratto assicurativo (la cosiddetta "public option"). I giovani fino a 27 anni potranno essere inseriti nelle polizze dei genitori. Le compagnie assicurative non potranno più respingere coloro che hanno problemi medici pre-esistenti. E il costo della riforma sarà pagato con una tassa speciale sui redditi molto alti ed eliminando alcuni aiuti fiscali per le multinazionali.
Pur non prevedendo un sistema gratuito nazionale, come nei paesi europei, il piano sanitario è stato attaccato ferocemente dai gruppi di interesse, a cominciare dalle società farmaceutiche, e soprattutto dai repubblicani, che hanno cercato in tutti i modi - anche ieri durante le discussione procedurali - di mettere i bastoni tra le ruote, denunciandone il carattere "socialista", i costi eccessivi in tempi di recessione e l’indebita ingerenza dello stato nelle scelte mediche dei cittadini.
E’ stata dunque una battaglia durissima, combattuta non solo nelle aule parlamentari, ma anche nelle piazze e sulle televisioni a botte di spot pro e contro la riforma. Obama e il presidente della camera Nancy Pelosi hanno potuto contare sull’appoggio di organizzazione influenti, come quelle di medici, pensionati, consumatori e agricoltori.
Ieri, tra gli scogli dell’ultima ora, c’è stata soprattutto l’opposizione di un gruppo nutrito di parlamentari cattolici (e ovviamente anche della Conferenza episcopale americana) a ogni finanziamento indiretto per le interruzione di gravidanza. Grazie a un compromesso, che i liberal e i difensori della libertà dell’aborto hanno subito denunciato come un cedimento e un attacco alla libertà delle donne, è stato consentito ai democratici anti-abortisti di sottoporre al voto un emendamento per impedire al governo di pagare per le interruzioni di gravidanza attraverso le sue polizze assicurative. E la norma è stata approvata, con il voto compatto dei repubblicani.
© la Repubblica, 8 novembre 2009