Il capitalismo e questa terra sfinita
di Piero Sansonetti *
Se sfogliate un giornale di ieri - uno qualsiasi - troverete questa schizofrenia: in prima pagina c’è scritto che la terra ha gli anni contati, cioè gliene restano 44 (perché un gigantesco sviluppo dei consumi in occidente, in nessun modo governato e controllato, la sta portando al collasso con milioni di anni di anticipo sul disegno della natura); in seconda pagina c’è scritto che in Italia (per la verità, non solo lì) le classi dirigenti e il ceto politico si stanno dando da fare per aumentare la velocità dello sviluppo e per incrementare i consumi. Se andate avanti, e sfogliate ancora il giornale, trovate la discussione sulle pensioni, tutta costruita su questo assioma: la vita media sta aumentando e questo rischia di fare saltare i tetti della spesa pubblica. Scusate l’ingenuità (e la paradossalità) della domanda: come è possibile prevedere un aumento della vita media (che oggi è di circa 80 anni) se gli scienziati ci dicono che l’anno X è, per tutti, il 2050, e dunque che noi vecchietti ce la caviamo ma i nostri figli, i bambini, hanno poche speranze di raggiungere la sessantina?
Detta così può darsi che sembri un ragionare scherzoso. Non lo è. Il contrasto tra la serietà con la quale si prende qualsiasi previsione economica di Luca Cordero di Montezemolo o di Tito Boeri, e la leggerezza (l’ignoranza: la completa ignoranza) con la quale si affrontano gli ammonimenti degli scienziati sul destino della Terra, è impressionante. Dice Montezemolo: “la mia azienda se non mi riempite di soldi pubblici e se non punite un po’ gli operai, perde competitività”. Ok. Dicono gli scienziati: “il pianeta, se non si ferma lo spreco di consumi e risorse dei grandi paesi dell’occidente, non ce la fa, e entro mezzo secolo inizia la corsa verso la catastrofe”.
La grandissima parte dell’intellettualità e del ceto politico occidentale si allarma e si agita per la denuncia di Montezemolo e neanche prende in considerazione la minaccia - cioè la previsione - degli scienziati. Dice: è vero. E poi tranquillamente prosegue a discutere, a ragionare, ad agire, lungo l’unica via che conosce: lo “sviluppismo puro”, cioè quel tipo di mondo nel quale l’unico metro per distinguere tra bene e male è misurare quanto uno produce e quanto uno consuma (più produce e più consuma più è bene...). Un’altra parte di intellettualità e di ceto politico (e anche una piccola porzione di scienziati esperti) nega il rischio catastrofe, anzi accusa le “cassandre catastrofiste”. Naturalmente è vero: i dati offerti dal “Living Planet Report” (pubblicati, appunto, ieri) sono catastrofisti. Nel senso che dicono: “o ci fermiamo, o correggiamo le politiche e le economie mondiali, e in particolare quelle dell’occidente, o ci sarà una catastrofe”. La catastrofe però non è la forma di una specie di ricatto, è la più probabile delle conclusioni di un ciclo economico e politico ormai fuori controllo.
Naturalmente possiamo dividerci finché vogliamo tra chi dice che la catastrofe è imminente e chi dice che è ancora lontana. Alcuni scienziati pensano che il pianeta possa sopportare gli attuali livelli di “violenza” e di rapina delle sue energie e risorse, per molto più di 50 anni. Forse potrà sopportare tutto questo per uno o persino per due secoli. Non c’è però nessuna possibilità di negare un fatto: le risorse del mondo sono limitate, noi ne stiamo consumando più di quelle che il pianeta riesca a riprodurre, e lo stiamo facendo in modo del tutto squilibrato (perché l’occidente consuma 10 volte più del resto del mondo); tutto questo, in un tempo che nessuno è in grado di indicare con chiarezza, porterà al collasso, e il collasso avrà conseguenze terrificanti sull’umanità.
Si capisce o no la portata di questa riflessione, e l’enorme sproporzione tra questo problema e tutti gli altri? Temo di no. Del resto l’informazione (la stampa la Tv) è molto sensibile all’influenza aviaria, che già, nell’ultimo lustro, ha provocato un centinaio di morti, e rischia di diventare una pandemia (dicono, ma non è sicuro, anzi per la verità è improbabile), ma in nessun modo si preoccupa della pandemia in corso, quella per mancanza di acqua potabile, che provoca migliaia di morti al giorno, milioni all’anno. Non è strano? Non ci hanno insegnato da bimbi che i numeri sono numeri, e sono oggettivi, e hanno un peso nel determinare il senso della realtà?
Cos’è allora che dobbiamo rivedere e mettere in discussione? Una cosa semplicissima: il modello, il sistema nel quale stiamo vivendo - quello che i politologi e gli esperti definiscono sistema capitalistico - il quale sicuramente ha molti vantaggi ma porta nel suo “dna” un enorme e definitivo difetto: la dittatura della crescita dei consumi e quindi il rischio di rovina del pianeta. E’ roba da bolscevichi ottusi pensare che quel sistema vada rivisto e in alcune sue parti rovesciato?
* www.liberazione.it, 26 ottobre 2006