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UNA CATTOLICA, UNIVERSALE, ALLEANZA "EDIPICA"!!! IL MAGGIORASCATO: L’ORDINE SIMBOLICO DELLA MADRE, L’ALLEANZA DELLA MADRE [GIOCASTA] CON IL FIGLIO [EDIPO], REGNA ANCORA COME IN TERRA COSI’ IN CIELO

DONNE, UOMINI E VIOLENZA: "Parliamo di FEMMINICIDIO". Dalla democrazia della "volontà generale" alla democrazia della "volontà di genere". L’importanza della lezione dei "PROMESSI SPOSI", oggi. Una nota di Federico La Sala

IL MAGGIORASCATO. La crisi epocale dell’ordine simbolico di "mammasantissima" ("patriarcato": alleanza Madre-Figlio).
martedì 8 gennaio 2013 di Federico La Sala
Foto. Frontespizio dell’opera di Thomas Hobbes Leviatano.
[...] l’esame della vicenda della monaca di Monza “alle genti svela / di che lagrime grondi e di che sangue” una società basata sulla proprietà e sul maggiorasco e mostra di essere, senza alcun dubbio, un contributo critico di altissimo livello, degno di stare a fianco del Discorso sull’origine della disuguaglianza di Rousseau e della cosiddetta “accumulazione originaria” del Capitale di Marx (ma anche, se si (...)

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> DONNE, UOMINI E VIOLENZA ---- Donne ferite a morte (di Angelo Guglielmi)

lunedì 25 marzo 2013

Donne ferite a morte

di Angelo Guglielmi (l’Unità, 25 marzo 2013)

Con «ferite a morte» Serena Dandini scrive un bel e utile libro «politico». Ferite a morte sono le donne uccise da mariti, fidanzati e amanti che non sopportano (e puniscono) il loro tentativo di difendere il diritto all’autonomia.

Il fenomeno del femminicidio ha avuto qui in Italia negli ultimi anni una ripresa allarmante, se è vero, come è vero, che ogni due e tre giorni veniamo informati di uomini che, in nome dei diritti di proprietà sul corpo della donna, uccidono (spesso con efferatezza) la loro compagna (e qualche volta figlia).

La situazione provoca dovunque sdegno e irritazione insieme alla volontà sincera di porvi riparo. Ma come? I modi sono mille (ma nessuno fin qui messo in atto delle Istituzione pubbliche del nostro Paese) a cominciare dall’educazione alla sessualità nelle scuole elementari e medie, all’accesso libero e gratuito alla contraccezione, alla preminenza data al matrimonio civile, all’accelerazione dei tempi per l’ottenimento del divorzio, alla definizione della violenza come crimine contro la persona e tante altre anche più particolari e efficaci. Ma perché queste pratiche almeno di contenimento diano i risultati auspicati è necessario slegarle dalla contingenza che le rende non rinviabili e inserirle in una riflessione più larga sulla figura della donna e il loro riconoscimento da parte della società degli uomini.

Qualche tempo fa, durante il mio quinquennio di assessore, conobbi a Bologna il professor Flamigni (il più autorevole ginecologo italiano - che ha dato realtà al desiderio di molte donne di avere un figlio) e mi capitò di leggere un suo libro Casanova e l’invidia del grembo. Rimasi atterrito scoprendo che mille anni di cultura occidentale, quelli alle nostre spalle e che fanno la grandezza della nostra Storia, sono responsabili di una campagna di denigrazione e di umiliazione della figura della donna, quale è difficile immaginare.

Aristotele considerava le donne uomini mutilati; Alberto Magno e Tommaso d’Aquino le ritene-vano maschi difettosi; prima di loro Tertulliano le rimprovera di avere infranto l’immagine di Dio che l’uomo testimonierebbe; Agostino le accusa di essere la porta del Diavolo e sostiene che nella donna è presente un difetto di ragione che la avvicina al malato di mente. Ma non basta: la donna veniva offesa e colpita anche nel suo corpo spregiandone la natura e il suo funzionamento.

Nei primi secoli del millennio scorso veniva vietato alle donne mestruate di entrare in chiesa e il divieto si protraeva per ottanta giorni. E perché? Perché il sangue mestruale veniva considerato così impuro che «impedisce ai frutti di maturare, fa marcire i cibi e seccare l’erba dei prati, arrugginire il ferro e oscurare il cielo». E ancora: non è la vocazione antifemminista della cultura europea che nei secoli cinque e sei dello scorso millennio inventa la donna-strega quale presenza del male nel mondo, destinandola alle angherie e alle persecuzioni più crudeli? Né nei secoli successivi le cose cambiano: non è possibile non prendere atto che anche l’intellettualità laica partecipa alla campagna di denigrazione (il filosofo Campanella non rinunciava a sostenere che le donne sono sporche e maleodoranti, anzi scriveva «puzzano»).

Finché nell’Ottocento, quando la scienza azzarda i primi passi nella modernità, spuntano i Lombroso che scoprono che la circonferenza della testa delle donne è più piccola di quella degli uomini, mentre il bacino è più largo: che è come dire che le donne non sono fatte per pensare ma per fare figli. E Mobius, il famoso scienziato tedesco, insiste: «Una eccessiva attività della mente fa della donna un essere abnorme e malato. Esiste in effetti un antagonismo tra attività cerebrale e capacità procreativa...così che quando l’una tende a dominare l’altra declina».

Ho voluto dilungarmi sul trattamento riservato da mille anni di cultura europea e occidentale (ancora dominante) alla figura della donna per dire che il problema che oggi Serena solleva ha radici antiche mostrandosi in forma ormai pietrificata e ha bisogno di un enorme energia per essere rimosso. Certo ora sembra più opportuno (come fa Serena) sollecitare e pretendere che si dia realtà a quel tanto che al momento si può (e deve) fare in termini di atti delle Istituzioni e altri rimedi pur contingenti, senza dimenticare tuttavia che siamo noi tutti che dobbiamo cambiare, la cultura in cui siamo nati sulla quale misuriamo ancora i nostri comportamenti andando a disfatte sempre più clamorose non solo riguardo al rapporto uomo-donna ma alle nostre stesse prospettive di vita (come l’attuale situazione politica dimostra).

Quanto poi al libro vedo che Serena per allontanarsi da facili speculazioni ha adottato il metodo di trasformare in racconti di fantasia i tanti casi di femminicidio più o meno recentemente accaduti ovviamente non nascondendo l’orrore che li ha generati. Sono racconti vispi e dolorosi ricchi di vigore ironico, che si richiamano (è la stessa Serena a confessarlo) ai canti dell’Antologia di Spoon River di Lee Masters.

Mi chiedo (ma non so darmi una risposta) se in questo caso non sarebbe stato più efficace (rispetto agli scopi perseguiti) di conservare ai racconti la crudezza dei fatti accaduti riportandone il reale sviluppo. È vero che il bello della scrittura letteraria è non copiare la realtà ma guardare sotto il suo vestito, ma quando il vestito è la morte non ci sono più strati in cui frugare. Sarebbe stato meglio il metodo Zola? Non lo so, ma so che Serena Dandini è una donna di grande coraggio e che il suo talento (cui giustamente e per fortuna rimane fedele) è la capacità di orientarci verso giudizi e riflessioni duri e necessari facendo finta di niente (con levità ustoria).


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