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> DONNE, UOMINI E VIOLENZA -- UN PORTALE WEB IN OTTO LINGUE. Giornata contro le mutilazioni genitali femminili (di Silvia Bia).

lunedì 6 febbraio 2017

DIRITTI

Giornata contro le mutilazioni genitali femminili: un portale web per fermare le violenze

Il portale "United to End Female Genital Mutilation", in otto lingue, si prefigge di informare ed essere una guida per i professionisti. Perché il problema delle mutilazioni ormai riguarda riguarda anche gli Stati europei e l’Italia che con le ondate dei flussi migratori, si trovano ad accogliere le donne che ne sono state vittime

di Silvia Bia (Il Fatto, 6 febbraio 2017)

Parlare delle mutilazioni genitali femminili, informare gli operatori e i professionisti che vengono a contatto con le donne che le hanno subite, creare una rete internazionale per cercare di combattere un fenomeno frutto di retaggi del passato che oggi è tutt’altro che marginale ed è diffuso in tutto il mondo. È l’obiettivo di Aidos (Associazione italiana Donne per lo Sviluppo), che il 6 febbraio 2017, in occasione della giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili, lancia una piattaforma web europea per cercare di porre fine a questa forma di violenza sulle donne e fornire un supporto alle vittime attraverso la formazione di operatori sanitari, personale dei centri di accoglienza e comunicatori che si trovano ad affrontare la tematica da vicino.

Perché il problema delle mutilazioni non riguarda più soltanto i paesi in cui vigono queste tradizioni, ma tutti quelli che, come gli stati europei e l’Italia, con le ondate dei flussi migratori, si trovano ad accogliere le donne che ne sono state vittime, quelle che fuggono proprio per questo motivo dai loro paesi di origine o quelle che ancora devono sottostare a queste disumane imposizioni. Da qui l’idea della piattaforma Uefgm - United to End Female Genital Mutilation, presentata insieme ai rappresentanti di realtà che si battono per i diritti umani, tra cui Unhcr, Oms e il Dipartimento di Pari Opportunità.

Il portale, in otto lingue, si prefigge di informare ed essere una guida per i professionisti che si interfacciano al problema delle mutilazioni genitali femminili, affinché il sistema di accoglienza, il mondo sanitario e sociale, quello legale e i sistemi di istruzione e di comunicazione degli stati europei possano rispondere alle esigenze delle ragazze vittime delle pratiche escissorie attraverso percorsi di formazione, interazione online, dibattiti e confronti tra i vari settori.

“Vogliamo creare una rete tra donne e tra associazioni per iniziare a rispondere senza stigmatizzazioni, stereotipi e preconcetti a una serie di quesiti sull’argomento e per fare chiarezza sulle mutilazioni genitali femminili, che continuano a essere un fenomeno poco conosciuto. - spiega Serena Fiorletta di Aidos - Finora c’era una mancanza di informazioni anche per le persone che prendono in carico donne che hanno subito queste pratiche. Era un limite, che ora cercheremo di colmare con questo lavoro”.

I numeri nel mondo e in Italia - Secondo i dati forniti dall’associazione, in tutto il mondo le donne che hanno subito pratiche escissorie sono più di 200 milioni, di cui oltre 500mila in Europa e circa 57mila in Italia. Ma ogni anno a rischio ci sono 3 milioni di bambine. Secondo il rapporto di Aidos, nel 2010 si stimava che in Italia vivessero circa 57mila donne e ragazze straniere tra i 15 e i 49 che erano state sottoposte al trattamento. Cifre che non sono cambiate nel 2016, in cui si contano in Italia tra le 46mila e le 57mila donne che hanno subito tali abusi. Tra le comunità più colpite, quella nigeriana, che rappresenta circa il 35 per cento del totale delle donne con mutilazioni in Italia, pari a circa 20mila persone. A seguire le egiziane, che rappresentano il 32,5 per cento con 18.600 donne coinvolte, mentre il 15 per cento di esse è originario del Corno d’Africa (dall’Etiopia 3.200 donne pari al 5,5 per cento). Infine l’Eritrea, con 2.800 donne per un totale del 4,9 per cento e la Somalia con il 4 per cento e 2.300 donne.

Cifre importanti, anche se per il momento non esiste un sistema di raccolta sistemico e coordinato che faccia un’analisi del fenomeno in tutto il territorio italiano. Secondo i dati Istat nel 2015 le donne residenti in Italia provenienti da paesi a tradizione escissoria erano 161.457, pari al 6,1 per cento sul totale delle donne straniere, anche se non sono comprese quelle con cittadinanza italiana e non ci sono dati certi, per esempio, sulle migranti irregolari o richiedenti asilo, che secondo l’Unhcr provengono per la maggioranza da Eritrea, Somalia e altri paesi dove la pratica è diffusa (Gambia, Sudan, Guinea, Senegal, Mali, Nigeria). Tra le migranti residenti, le principali comunità interessate dal fenomeno delle mutilazioni sono quella egiziana, senegalese, nigeriana e ghanese.

Cosa dice la legge - In Italia le pratiche escissorie sono un reato penale da una decina di anni che prevede la reclusione dai 3 ai 12 anni, con aggravanti se il reato è commesso su minori. La legge n.7 del 2006 vieta l’esecuzione di tutte le forme di mutilazione genitale femminile, fra cui la clitoridectomia, l’escissione, l’infibulazione e qualsiasi altra pratica che causa effetti dello stesso tipo o malattie psichiche o fisiche.

Inoltre il reato è punibile anche al di fuori del paese, se è commesso da cittadino italiano o uno straniero residente in Italia, o se l’intervento viene fatto su una cittadina italiana o donna residente in Italia. Con la legge 172 del 2012 poi, l’Italia ha ratificato la Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale che contempla pene più severe per una serie di reati tra cui anche le pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili.

Dal 2007 inoltre chi subisce o è sotto la minaccia di mutilazioni genitali femminili può fare domanda di asilo per fuggire dal proprio paese. Le mutilazioni genitali femminili sono infatti comprese tra gli atti di persecuzione (sia passati che futuri) per cui si può fare domanda di asilo, poiché le pratiche escissorie sono considerate una forma di violenza morale e fisica discriminatoria di genere legata all’appartenenza al genere femminile per cui è stata riconosciuta la protezione internazionale nella forma dello status di rifugiato.


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