Inviare un messaggio

In risposta a:
UNA CATTOLICA, UNIVERSALE, ALLEANZA "EDIPICA"!!! IL MAGGIORASCATO: L’ORDINE SIMBOLICO DELLA MADRE, L’ALLEANZA DELLA MADRE [GIOCASTA] CON IL FIGLIO [EDIPO], REGNA ANCORA COME IN TERRA COSI’ IN CIELO

DONNE, UOMINI E VIOLENZA: "Parliamo di FEMMINICIDIO". Dalla democrazia della "volontà generale" alla democrazia della "volontà di genere". L’importanza della lezione dei "PROMESSI SPOSI", oggi. Una nota di Federico La Sala

IL MAGGIORASCATO. La crisi epocale dell’ordine simbolico di "mammasantissima" ("patriarcato": alleanza Madre-Figlio).
martedì 8 gennaio 2013 di Federico La Sala
Foto. Frontespizio dell’opera di Thomas Hobbes Leviatano.
[...] l’esame della vicenda della monaca di Monza “alle genti svela / di che lagrime grondi e di che sangue” una società basata sulla proprietà e sul maggiorasco e mostra di essere, senza alcun dubbio, un contributo critico di altissimo livello, degno di stare a fianco del Discorso sull’origine della disuguaglianza di Rousseau e della cosiddetta “accumulazione originaria” del Capitale di Marx (ma anche, se si (...)

In risposta a:

> DONNE E UOMINI: "Parliamo di FEMMINICIDIO". Dalla democrazia della "volontà generale" alla democrazia della "volontà di genere". L’importanza della lezione dei "PROMESSI SPOSI", oggi - nell’epoca dei Borromeo-Ratzinger ... degli Innominati, e dei don Rodrigo-Katzsav !!! Una nota di Federico La Sala

giovedì 26 ottobre 2006

Iraq. Le vittime nascoste Le vite piene di dolore delle donne irachene

di Peter Beaumont (The Observer, 8.10.2006: trad. M. G. Di Rienzo) *

Sono venuti per la dottoressa Khaula al-Tallal in una Opel bianca, dopo che lei era scesa dal tassì che aveva preso per andare a casa, nel distretto di Qadissiya a Najaf. La dottoressa lavorava per il comitato medico che esamina i pazienti ai fini di stabilire i benefici che possono ottenere dall’assistenza. Khaula al-Tallal, cinquantenne, stava camminando verso la propria abitazione quando uno dei tre uomini della Opel è saltato fuori e l’ha riempita di pallottole.

Un’attivista per i diritti delle donne, Umm Salam (è ovviamente uno pseudonimo), conosce bene i tre uomini; sono gli stessi che hanno tentato di ucciderla l’11 dicembre dello scorso anno. Era una domenica, ricorda, e quindici pallottole furono sparate all’interno della sua auto, mentre tornava a casa dopo aver insegnato in un internet caffè. La scena fu la stessa: un uomo dei tre, in abiti civili, scese dalla macchina e fece fuoco. Tre pallottole colpirono Umm Salam, una è rimasta incastrata nella sua spina dorsale. Il suo figlio ventenne fu ferito al petto. La donna vide l’arma, era una Glock, in dotazione alla polizia. Umm Salam è convinta che chi ha tentato di assassinarla lavori per lo stato.

Le due vicende non sono incidenti isolati, neppure a Najaf, una città quasi totalmente sciita e largamente intoccata dalla violenza settaria del nord. Corpi di giovani donne sono apparsi nelle polverose strade che confinano con il deserto: è il posto favorito per scaricare le vittime degli omicidi, ed è controllato solo da branchi di cani.

Agli iracheni non piace molto parlarne, ma c’è una diffusa comprensione di ciò che sta accadendo in questi giorni. Se una ragazza viene rapita e uccisa senza che sia stato richiesto un riscatto, è perché lo scopo del rapimento era violentarla. Persino quelle che dopo aver subito violenza vengono rilasciate non sono al sicuro: la risposta di alcune famiglie, nello scoprire che una donna ha subito uno stupro, è ucciderla.

Le donne irachene vivono con una paura che aumenta, in accordo all’aumento del numero di quelle che muoiono per morte violenta, che è più alto ogni mese che passa. Muoiono perché facevano parte del gruppo sbagliato, o per aver aiutato altre donne. Muoiono perché hanno impieghi che i miliziani hanno deciso esse non devono avere, negli ospedali, nei ministeri e nelle università. Vengono assassinate, anche, semplicemente perché sono i bersagli più facili per le bande di criminali.

Vivono nel timore di dire quel che pensano, di uscire per andare al lavoro, di ignorare le proibizioni ed i nuovi codici d’abbigliamento e di comportamento imposti su tutto l’Iraq dai militanti islamisti, sunniti o sciiti. Vivono nel timore dei loro mariti, perché i diritti delle donne sono stati erosi dalla nuova Costituzione, ed hanno tolto il potere ai tribunali per darlo ai chierici. “Le donne vengono sempre di più prese di mira.”, dice Umm Salam. Suo marito era un docente universitario che fu giustiziato nel 1991 sotto Saddam Hussein, dopo l’ascesa sciita. Lei è sopravvissuta gestendo la fattoria di famiglia. Con l’arrivo degli americani ha cominciato a lavorare per le donne, insegnando a quelle analfabete come leggere e votare, come riempire i moduli per l’assistenza sanitaria, ed ha aperto una scuola di cucito.

Nel fare ciò si è posta a rischio di omicidio. E dopo che questo è stato tentato, come su molte altre donne a Najaf, ha scoperto che il suo impegno incontra maggiori difficoltà. E’ ciò che gli uomini della Opel volevano: zittire le donne come Umm Salam, che ha 42 anni. “Le donne hanno tante difficoltà qui. C’è un’alta pressione rispetto alle nostre libertà personali. Nessuna di noi pensa più di poter avere un’opinione su qualcosa. Se lo facciamo, siamo a rischio di essere ammazzate.”

E’ una storia familiare alle donne in tutto l’Iraq, che si considerano tradite da quel 25% di posti garantito loro dalla nuova Costituzione in parlamento: la garanzia è diventata la foglia di fico per nascondere quella che le attiviste chiamano ora “la catastrofe dei diritti umani per le donne irachene”.

Dopo un mese d’indagini, The Observer si sente di sottoscrivere la dichiarazione, perché in ogni area dei diritti umani ha testimoniato le gravi discriminazioni a cui le donne vengono sottoposte, le cui condizioni in alcuni casi paiono tornate al Medioevo. In zone controllate dalla milizia sciita, come Sadr City, abbiamo visto donne venire picchiate perché non indossavano calze. Persino la sciarpa in testa e il juba, il cappotto largo che si abbottona al collo, non sono abbastanza per gli zeloti. Alcune donne sono state minacciate di morte in relazione al loro abbigliamento anche se indossavano la completa abbaya, una veste nera che le copre dalla testa ai piedi. Testimonianze simili le abbiamo raccolte a Mosul, dove gli estremisti sunniti stanno infrangendo qualsiasi legge, e a Kirkuk. Donne di Kabala, Hilla, Bassora e Nassiriyah ci hanno raccontato esperienze identiche: dell’insidioso diffondersi delle milizie e del controllo da parte dei partiti religiosi, e di come questi paradossalmente siano i maggiori responsabili degli stupri e degli omicidi di donne che non appartengono alle loro sette e comunità.

“C’è un’attivista della mia organizzazione che è cristiana.”, racconta Yanar Mohammed, che guida l’Organizzazione per la libertà delle donne irachene, più volte minacciata di morte a causa della protezione che offre alle donne dalla violenza domestica e dai “delitti d’onore”, “Per tornare a casa, ogni giorno deve attraversare un’area controllata da una delle milizie islamiche sciite, la Jaish al-Mahdi. Dato che non indossa un velo, viene continuamente insultata da questi uomini. Circa tre settimane fa, uno di loro l’ha seguita sino a casa, dicendo che vuole avere una relazione sessuale con lei. Le ha detto esattamente cosa vuole fare con lei, e anche che se lei non è d’accordo verrà rapita. Quest’uomo pensa che poiché è armato e minaccia la sua esistenza, lei acconsentirà ad un “matrimonio di piacere” (un’unione sessuale temporanea sancita da un chierico)”.

L’organizzazione di Yanar Mohammed e l’Iraqi Women’s Network (Rete delle donne irachene), diretto da Hanna Edwar, hanno una vasta raccolta documentaria su tali episodi. Quest’ultima associazione suggerisce che lo stupro viene anche usato come arma nella guerra settaria, per umiliare le famiglie delle comunità rivali. “E’ quello che potresti chiamare “stupro collaterale”, dice Besmia Kathib dell’Iraqi Women Network, “Fa segnare punteggio nella guerra tra sette.” Yanar Mohammed racconta di una ragazza sciita che è stata rapita, stuprata e gettata via come uno straccio nella zona Husseiniya di Baghdad: la ritorsione consistette nel rapimento e nello stupro di diverse ragazze sunnite nella zona Rashadiya.

“Sì, gli stupri continuano.”, dice Aida Ussayaran, ex vice ministra per i diritti umani ed ora membro del parlamento, “Noi diciamo che sono le milizie, ma quando diciamo milizie dobbiamo tener presente che molti dei loro membri fanno parte anche della polizia. Qualsiasi famiglia abbia una ragazza in casa non vuole mandarla a scuola o all’università, e non la lascia uscire senza velo. Questo è il periodo peggiore che le donne irachene abbiano mai vissuto. In nome della religione vengono rapite, uccise, stuprate. E nessuno ne parla.” Le morti delle donne per i media non fanno notizia. L’incremento dei delitti d’onore non viene riportato, e spesso le famiglie contraffanno i certificati di morte per nasconderne le cause. Le attiviste per i diritti umani lamentano anche il fatto che viene loro impedito di esaminare i corpi all’Istituto di medicina forense, o di prendere fotografie delle scene dei delitti.

La violenza contro le donne è stata a lungo il segreto sporco della guerra in Iraq, ma ora i suoi livelli si sono innalzati al punto che essa sta venendo allo scoperto. La scorsa settimana a Samawah, a 246 chilometri da Baghdad, tre donne e una bambina sono state uccise da uomini armati entrati violentemente in casa loro, per effettuare l’inspiegabile massacro. Come la dottoressa al-Tallal a Najaf, erano musulmane sciite in una città sciita. Le tre donne sono state uccise a colpi di arma da fuoco, alla bimbetta è stata tagliata la gola. Anche nel nord del paese le uccisioni di donne sono diventate più visibili: al-Jazeera ha riportato gli attacchi alle donne avvenuti nella città di Mosul, che hanno portato ad un incremento senza precedenti nel numero di cadaveri femminili ritrovati. Fra essi Zuheira, una giovane casalinga, morta per un colpo d’arma da fuoco alla testa nel sobborgo di Gogaly. Un vicino di casa, Salim Zaho, intervistato da al-Jazeera ha detto: “Non potevano uccidere suo marito, un ufficiale di polizia, così sono venuti a prendersi la moglie.”

La violenza che le donne irachene narrano non sarebbe possibile senza una vasta e impunita brutalizzazione delle loro vite, un’attitudine che permea interamente il “nuovo” Iraq. Perché non sono solo le milizie ad aver trasformato le vite delle donne in un inferno: per esempio, anche il governo fa la sua parte. Ha permesso ai ministeri assegnati a partiti religiosi di segregare gli impiegati per genere, agli uffici pubblici di imporre la sciarpa per la testa, ha chiuso uno dei rifugi gestito dal gruppo di Yanar Mohanmmed. Le donne ricevono minacce di morte semplicemente perché vanno a lavorare, persino quando lavorano negli uffici governativi. Zainub (uno pseudonimo) lavora in un ministero a Baghdad. Una mattina, arrivando in ufficio, ha trovato una lettera che era stata inviata a tutto il personale femminile. “C’era solo una frase, ripetuta: Tu morirai.”

La situazione è stata esacerbata dalle regressioni introdotte nel codice di famiglia; quello stabilito nel 1958 garantiva alle donne una larga misura di eguaglianza in aree chiave, come il divorzio e l’eredità. La nuova Costituzione ha permesso che il codice di famiglia venisse revisionato da chierici e dai nuovi tribunali religiosi, ed il risultato è che ora esso è fortemente discriminatorio nei riguardi delle donne. Grazie ai chierici è stata reintrodotta la poligamia, e vengono permessi i “matrimoni di piacere”. E sono gli stessi chierici a premere perché una società un tempo laica, in cui le donne raggiungevano le più alte cariche pubbliche e lavoravano come professoresse, mediche, ingegnere ed economiste, si trasformi in una società che costringe le donne sotto un velo e dentro le case. La mappa di questi sforzi si può leggerla ogni giorno sulle strade irachene, negli atti di intimidazione e in quelli di brutale violenza fisica. E così a Salman Pak, sul Tigri, a quindici miglia da Baghdad, membri della Brigata Kaara del ministero degli interni arrestano un po’ di uomini sunniti. Dopo qualche ora fanno ritorno nelle case di questi stessi uomini, e promettono alle donne preoccupate che le aiuteranno a ritrovare gli uomini “scomparsi”, in cambio di sesso.

Nel quartiere sciita di al-Shaab a Baghdad, miliziani di Jaish al-Mahdi hanno affisso in giro un’ordinanza in cui proibiscono alle donne di indossare sandali e certi altri tipi di scarpe, gonne e pantaloni. Chi viene trovata con i vestiti sbagliati è picchiata per strada. Ad Amaryah, enclave sunnita a Baghdad, i miliziani radono la testa di tre donne che indossavano i vestiti sbagliati, e frustano ragazzi che indossavano pantaloni corti.

A Zafaraniyah, largo sobborgo sciita nel sud di Baghdad, i miliziani di Jaish al-Mahdi aspettano le bambine fuori dalle scuole, e prendono a schiaffi quelle che non indossano l’hijab.

E’ una situazione registrata dai nudi dati dell’Ufficio per i diritti umani della missione d’assistenza delle Nazioni Unite in Iraq: “In alcuni quartieri di Baghdad alle donne viene ora impedito di andare al mercato da sole. In altri casi sono state minacciate perché guidavano automobili e assalite perché indossavano pantaloni. Le donne hanno anche testimoniato che l’indossare l’hijab non è una questione di scelta religiosa, ma di semplice sopravvivenza in molte zone dell’Iraq. Le studentesse universitarie continuano a dover affrontare costanti pressioni in questo senso nelle loro università.”

“Sin dall’inizio di agosto le cose sono andate sempre peggio.”, dice Nagham Kathim Hamoody, attivista dell’Iraqi Women’s Network a Najaf, “Sempre più donne vengono uccise e si trovano sempre più cadaveri abbandonati nei cimiteri. Io non so perché le uccidono, so che sono le milizie ad ucciderle. Siamo andate all’obitorio, qui a Najaf, ma le autorità non vogliono collaborare al riconoscimento delle donne uccise. Uno dei medici, però, ci ha detto che alcuni corpi mostravano segni di essere stati percossi prima dell’omicidio.” E le vite piene di dolore delle donne irachene continuano ad andare avanti così.

* www.ildialogo.org, Giovedì, 26 ottobre 2006


Questo forum è moderato a priori: il tuo contributo apparirà solo dopo essere stato approvato da un amministratore del sito.

Titolo:

Testo del messaggio:
(Per creare dei paragrafi separati, lascia semplicemente delle linee vuote)

Link ipertestuale (opzionale)
(Se il tuo messaggio si riferisce ad un articolo pubblicato sul Web o ad una pagina contenente maggiori informazioni, indica di seguito il titolo della pagina ed il suo indirizzo URL.)
Titolo:

URL:

Chi sei? (opzionale)
Nome (o pseudonimo):

Indirizzo email: