La provocazione:
«Manzoni? Nichilista più che cattolico»
L’ardita tesi viene sostenuta da uno studioso di economia Aldo Spranzi che getta una diversa luce sui «Promessi sposi»
di Roberto Carnero (l’Unità, 26.04.2012)
Uno studioso di economia, Aldo Spranzi, si è occupato dei Promessi sposi, giungendo a sostenere una tesi bizzarra: il testo manzoniano non è un romanzo cattolico, bensì un’opera pervasa di un forte nichilismo anticristiano. Una tesi, paradossalmente, espressa in un volume pubblicato da un editore cattolico, Ares: Alla scoperta dei Promessi sposi (pagine 864, euro 26,00).
Prima di seguire Spranzi, facciamo un piccolo passo indietro. Antonio Gramsci, nel negare l’esistenza, in Italia, di una letteratura «nazional-popolare», affermava che neppure I promessi sposi di Alessandro Manzoni, un libro pure diffuso presso ampi strati della popolazione, potevano rientrare in questa categoria. E scriveva: «I promessi sposi non sono mai stati popolari: sentimentalmente il popolo sentiva Manzoni lontano da sé e il suo libro come un libro di devozione, non come un’epopea popolare». Lo scrittore lombardo - continua l’autore dei Quaderni del carcere - è infatti «troppo cattolico per pensare che la voce del popolo sia voce di Dio: tra il popolo e Dio c’è la chiesa, e Dio non s’incarna nel popolo, ma nella chiesa». Insomma, persino Gramsci attribuisce a Manzoni un’indubbia patente di cattolicità. Manzoni, del resto, è l’autore degli Inni sacri, e nessuno aveva mai messo in dubbio il suo cristianesimo, la sua visione provvidenzialistica della realtà umana e della storia, pur nel dramma derivante dal porsi di fronte al dolore e alle sofferenze dei deboli e dei buoni. La Provvidenza appare infatti forza centrale nelle dinamiche narratologiche dei Promessi sposi.
Eppure Spranzi non ha dubbi: Manzoni non è affatto uno scrittore cattolico e il suo romanzo non veicola per nulla una visione cristiana dell’esistenza; anzi, al contrario, la sua opera e la sua stessa vita trasuderebbero, al di là di un’abile capacità dissimulatoria, un perniciosissimo nichilismo anticristiano. È questa l’idea del docente di Economia dell’arte presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università degli Studi di Milano. Il suo primo libro sull’argomento risale al 1994. Nel frattempo l’autore ha moltiplicato gli studi e ora ne offre una versione sintetica nel volume che abbiamo citato, il quale offre il testo del romanzo manzoniano corredato dalle chiose di Spranzi. Il libro è una sorta di requisitoria contro Manzoni, o, meglio, contro le letture che dell’opera manzoniana sono state offerte nel corso del tempo e che, da parte sia cattolica che marxista, hanno consolidato l’immagine di un Manzoni scrittore devoto. Una visione che Spranzi smonta pezzo per pezzo, a partire dall’analisi dei personaggi e degli episodi più significativi dei Promessi sposi.
Come ha reagito la comunità scientifica di fronte a queste affermazioni inaudite? Gli italianisti hanno accolto con freddezza le tesi di Spranzi, sottolineando alcuni errori nel suo metodo di indagine: ad esempio il fatto di isolare alcune pagine del romanzo di Manzoni e di leggerle fuori contesto; oppure la confusione, nella sua esposizione, tra il concetto di «autore» e quello di «narratore» (due termini che, come dovrebbe sapere qualsiasi studente del primo anno di Lettere, non sono affatto sinonimi).
Lui, per parte sua, si difende, riconoscendo di non essere un critico letterario di professione, ma rivendicando, proprio per questo, una maggiore capacità di leggere il testo, in maniera libera e anticonformista, senza farsi influenzare dalla vulgata ermeneutica e da concetti consolidati ma poco verificabili. A nostro giudizio si tratta certamente di tesi ardite, ma che hanno il merito di provocare una riflessione e di richiamare l’attenzione su un’opera, I promessi sposi, togliendole quella polvere depositatavi da una certa tradizione accademica e scolastica.