Inviare un messaggio

In risposta a:
UNA CATTOLICA, UNIVERSALE, ALLEANZA "EDIPICA"!!! IL MAGGIORASCATO: L’ORDINE SIMBOLICO DELLA MADRE, L’ALLEANZA DELLA MADRE [GIOCASTA] CON IL FIGLIO [EDIPO], REGNA ANCORA COME IN TERRA COSI’ IN CIELO

DONNE, UOMINI E VIOLENZA: "Parliamo di FEMMINICIDIO". Dalla democrazia della "volontà generale" alla democrazia della "volontà di genere". L’importanza della lezione dei "PROMESSI SPOSI", oggi. Una nota di Federico La Sala

IL MAGGIORASCATO. La crisi epocale dell’ordine simbolico di "mammasantissima" ("patriarcato": alleanza Madre-Figlio).
martedì 8 gennaio 2013 di Federico La Sala
Foto. Frontespizio dell’opera di Thomas Hobbes Leviatano.
[...] l’esame della vicenda della monaca di Monza “alle genti svela / di che lagrime grondi e di che sangue” una società basata sulla proprietà e sul maggiorasco e mostra di essere, senza alcun dubbio, un contributo critico di altissimo livello, degno di stare a fianco del Discorso sull’origine della disuguaglianza di Rousseau e della cosiddetta “accumulazione originaria” del Capitale di Marx (ma anche, se si (...)

In risposta a:

> DONNE, UOMINI --- IL DELITTO DI CARMELA.L’ultimo tema (di Felice Cavallaro).Violenza e possesso: se questi sono gli uomini (di Sara Ventroni). Cultura e coraggio per fermare la violenza (di Alessandro D’Avenia)..

domenica 21 ottobre 2012

L’ultimo tema di Carmela

«La sofferenza d’amore uccide le facoltà mentali»

di Felice Cavallaro (Corriere dela Sera, 21.10.2012)

PALERMO - Il balordo trasformatosi nel suo assassino non sa e forse non potrebbe nemmeno capire quanto Carmela Petrucci, pur a soli 17 anni, abbia riflettuto sul rapporto «fra la sofferenza amorosa e il desiderio che può uccidere le facoltà mentali». Lo ha fatto immergendosi nella letteratura, a scuola, con un saggio sul Petrarca, con un’analisi della ballata scritta per il Canzoniere, una sorta di testamento rimasto fra le carte della sua professoressa di italiano.

Un documento che fa venire i brividi dopo i due fendenti mortali subiti per difendere la sorella Lucia, la vittima designata, raggiunta da venti coltellate, ancora ignara in Chirurgia, all’ospedale Cervello, pronta a chiedere continuamente notizie di Carmela e a ricevere le bugie di genitori e medici: «È in un altro ospedale».

Pietosa menzogna per alleviare le sofferenze di tagli profondi, netti, «come quelli di un bisturi», dice il primario che l’ha salvata, Giuseppe Termine. Una carneficina. Con un coltellaccio a doppia lama recuperato ieri in via Giordano dagli uomini del questore Nicola Zito su indicazione dello stesso assassino, Samuele Caruso, il «tigrotto» di 23 anni, come si faceva chiamare su Facebook mostrando i muscoli a petto nudo. Un’arma presa da casa sabato mattina, prima di andare al liceo Umberto e poi piazzarsi nell’androne di casa di Lucia e Carmela. Quanto basta al sostituto Caterina Malagoli per contestare l’omicidio volontario premeditato, aggravato da «motivi futili e abietti». Perché tali restano anche se Samuele offre come folle attenuante «la paura che Lucia avesse un altro».

«Vedrete che gli troveranno un bell’avvocato capace di scoprire l’infermità mentale», tuonava dubbioso e schifato ieri mattina uno studente alto e biondo appena conclusa l’assemblea tenuta con tutti i compagni di scuola dal preside Vito Lo Scrudato, pronto a recepire la richiesta dei ragazzi di attribuire a Carmela il diploma di maturità alla memoria.

Prospettiva che non può consolare nemmeno la professoressa di italiano, Francesca Bucalo, depositaria dell’analisi sulla ballata dedicata da Petrarca a Laura: «Un testo che avevo deciso di stampare e distribuire per mostrare a tutti gli allievi come si analizza un poema. Un lavoro esemplare, un modello...».

Carmela sottolinea come il poeta racconti che, quando egli stesso celava i suoi pensieri d’amore, «l’atteggiamento della donna verso di lui era gentile e il suo volto pieno di pietà», mentre «dopo la rivelazione del desiderio, Laura vela il volto e non osa più guardare il poeta». Un velo che domina, strazia e distrugge chi è privato «del "dolce lume" degli occhi dell’amata». Al centro della poesia campeggia proprio l’oggetto del desiderio sottratto al poeta, mentre chi legge oggi, dopo il massacro di via Uditore, può correre agli equivoci, all’ambivalente interpretazione di un sorriso, all’ossessione del rifiuto culminata nel disegno della vendetta per una malintesa idea di amore non corrisposto. E, mentre lievitava il perverso atteggiamento di quel ragazzotto verso Lucia, ecco Carmela analizzare il dramma del poeta, «la profonda sofferenza provata da Petrarca perché Laura non gli rivolge più lo sguardo». Un dramma in due fasi: dai «suoni aspri, usati per mettere in evidenza il tormento e l’angoscia di Petrarca», si passa «a toni meno aspri che simboleggiano la rassegnazione del poeta, abbandonato ormai al suo dolore». Ecco la rassegnazione che l’assassino non ha mostrato, scagliandosi contro Lucia, l’«oggetto» dello sconforto, brandendo il coltello che ha ferito a morte Carmela, la sorellina pronta a fare scudo.

È il momento della riflessione, ma anche della paura che ieri ha fatto comparire tanti genitori ai cancelli per accompagnare i figli, prova di dialogo sempre più complesso. «Dobbiamo aprirci, se avessimo raccontato quel che sapevamo...», ha ammesso una compagna di classe ieri mattina, «pentita di non avere avvertito i genitori».

Tema anche questo affrontato da centinaia di palermitani scesi in piazza ieri sera a piazza Politeama, presenti i giovani dell’Umberto pronti a una fiaccolata organizzata per domani sera e a interrogarsi sulla voce rilanciata da Bianca Giammanco, leader del Movimento studentesco a Palermo, su una presunta denuncia fatta da Lucia ma rifiutata in una caserma. È solo una voce. Smentita da polizia e carabinieri. Ma basta ad alimentare l’ansia sull’ultima vittima del «femminicidio» e su minacce spesso sottovalutate.


Violenza e possesso: se questi sono gli uomini

di Sara Ventroni (l’Unità, 21.10.2012)

«Ti sto osservando, stai studiando Kant», scrive Samuele a Lucia in un sms. Siamo a Palermo. I due ragazzi da qualche tempo hanno smesso di flirtare. Lucia ha rotto con Samuele ma lui non ci sta. Allora lui la controlla, la segue, la osserva anche durante l’ora di filosofia. La minaccia con frasi cariche di presagio: «cenere sei e cenere ritornerai». Il resto è cronaca.

Leggendo i dettagli che hanno portato all’omicidio di Carmela, 17 anni, la sorella minore di Lucia che si è frapposta con il proprio corpo alla furia di Samuele, in agguato per colpire l’ex fidanzata, ci sentiamo tutti un po’ «lurker», come si dice in gergo: guardoni affamati di storie, di litigi al sangue, di tragedie.

I lurker non si manifestano, non si espongono, non intervengono ma osservano, nutrendosi della vita degli altri. Un po’ come accade nel pomeriggio televisivo italiano, quando milioni di telespettatori si appassionano alle furiose litigate tra Teresanna e Francesco a «Uomini e donne» di Maria De Filippi o negli interminabili aggiornamenti di cronaca nera del primo pomeriggio di Raidue. I criminologi studiano i moventi dai profili facebook. Analizzano gli sms e la posta elettronica. Il pubblico in sala sbotta, applaude, parteggia, si indigna poi corre a dimenticare quello che non ha capito. Gli opinionisti adducono moventi, ma non hanno opinioni sulle cause dei fatti. Da un buon ventennio abbiamo l’impressione di assistere a una grottesca messa in scena delle relazioni tra uomini e donne. Lo diciamo senza giudicare, lo diciamo sentendoci tutti parte in causa, consapevoli che a questo siamo ormai abituati, anche se questo non ci corrisponde. In prima serata i tiggì non lesinano dettagli nell’annunciare la morte sensazionale, la numero 100, di una ragazza di Palermo che ha difeso la sorella dalla furia omicida dell’ex moroso. La cosa fa notizia.

Femminicidio è una parola che pronuncia anche Salvo Sottile nel suo popolare «Quarto Grado». Fa piacere constatare che gli anchor-man si aggiornino, ma non vorremmo che l’espressione diventasse ora rubrica di palinsesto: apprendiamo che su facebook Samuele si faceva chiamare «Tigrotto» in omaggio a un peluche comprato con Lucia; guardiamo le sue foto a torso nudo, gli addominali perfetti, una leggera miopia che lo costringe agli occhiali, scaviamo nella sua storia familiare: il ragazzo è diplomato ma disoccupato. Carmela sognava di diventare medico. Aveva le media del 9. Ci concentriamo su di lei. Era una brava ragazza.

Infine torniamo su Lucia: la studentessa voleva mollare Samuele, non ne poteva più delle sue attenzioni, per questo si era rivolta ai carabinieri e loro le avevano consigliato: cambia la scheda del cellulare. Noi che siamo semplici spettatori e, all’occorrenza, improvvisati ispettori di polizia sappiamo che la misura non è sufficiente. Un giorno forse ce lo spiegherà anche Barbara D’Urso, su «Pomeriggio Cinque», che interrompere la comunicazione non significa necessariamente spezzare una nèmesi culturale che vuole il maschio padrone della femmina. Giusto una settimana fa, a Torino, c’è stato un incontro sul tema del violenza sulla donne. Non si è parlato solo di femminicidio (esito estremo che giunge quando una donna decide di interrompere una relazione) ma del fondamento di possesso, di violenza e di esclusione che interroga gli uomini, le donne e la nostra democrazia.

«L’amavo più della sua vita», è il titolo della piéce teatrale scritta per l’occasione da Cristina Comencini. Il titolo si spiega da sé. Il suggerimento che ci arriva dalla due giorni torinese è di spostare lo sguardo. Come ha fatto Riccardo Iacona, che già anni fa si fece sentire con un’installazione alla Casa Internazionale delle Donne di Roma, e ora prova a fare un bilancio con il suo ultimo libro:«Se questi sono gli uomini». Nella discussione, evidentemente, va messo in conto che le donne non sono più disposte a vestire i panni delle vittime sacrificali. Lo sapeva bene Stefania Noce, giovane femminista di Se non ora quando, uccisa lo scorso 26 dicembre dall’ex fidanzato: «Le donne non appartengono a nessuno», diceva Stefania. Meditate, uomini, meditate.


Il delitto di Carmela

Cultura e coraggio per fermare la violenza

di Alessandro D’Avenia (La Stampa, 21.10.2012)

Conosco quel quartiere e quella via. Conosco la scuola di Carmela, uno dei licei classici migliori di Palermo, nel quale l’anno scorso ho incontrato gli studenti e chissà che non ci fosse anche lei, Carmela, con quel suo viso pulito, sereno, pieno di sogni, dilaniati e dissanguati dal fendente di chi, per spiegare l’accaduto, dice: «Ho perso la testa». Non avevo dubbi. Ma il punto è che quella testa non c’è mai stata. Non è stata persa. Piuttosto nessuno ti ha aiutato a entrarci dentro. La violenza è dentro ciascuno di noi e in questo non siamo diversi da Samuele. Tutto le volte che l’uomo non accetta di averla in se stesso, la esteriorizza, la proietta sugli altri.

Così è sempre stato e sarà, da Caino e Abele a Samuele e Carmela. Come spiega il grande antropologo René Girard, la violenza e il capro espiatorio (la sua vittima) sono un meccanismo da cui l’uomo non può liberarsi da solo e, infatti, proprio per salvarsi dall’autodistruzione costruisce attorno alla violenza le regole del sacro (i comandamenti) e del profano (le leggi), per arginarne (non risolverne) il deflagrare. La vittima perfetta, oggi più che mai, è la donna, innalzata da photoshop a icona di perfezione irraggiungibile e quindi a oggetto da dominare. Nella storia, per tentare di liberarsi dalla violenza che ha dentro, l’uomo ha sempre cercato di distruggere il nemico inventato all’occorrenza come bersaglio, quando invece di proiettarla fuori, questa violenza dovrebbe riconoscerla dentro se stesso e guardarla con coraggio, per poterla sgretolare da dentro, grazie a quella pietas (il riconoscimento della dignità altrui e propria), sempre più debole nella nostra cultura. Come recuperare la pietas, l’empatia per l’altro?

Purtroppo l’incapacità di dare senso alla propria vita porta inevitabilmente a cercarne la soluzione nel consenso. Il consenso dello sguardo altrui. L’altro viene investito di una carica di assoluto che si spera possa redimere e salvare la propria mancanza di identità: dal grande fratello con il suo occhio senza pietà, alle relazioni (di lavoro, d’amore...) senza pietà.

Perdere il consenso dell’altro, significa perdere in qualche modo se stessi. Senza l’altro non si è più nessuno. Questo porta all’ossessione in cui lo stesso Samuele è precipitato, con sms e minacce, precedenti al suo raptus. La sorella di Carmela, Lucia, sua ex-ragazza per lui aveva una colpa senza remissione possibile: essersi portato via Samuele, non solo se stessa, interrompendo la loro relazione. Samuele, forse, si sentiva qualcuno solo grazie o a spese di quella ragazza, non voleva tornare nel nulla di prima.

La beffa blasfema dell’amore, come l’ha definito perfettamente ieri su queste colonne Mariella Gramaglia, è il potere, il controllo, il dominio. L’amore dice «per me è bello che tu esista» e accetta anche di non essere ricambiato, magari. Il potere invece dice «è bello che tu esista solo per me» e con tutti i mezzi è pronto a nutrirsi dell’altro, pur di sopravvivere, senza alcuna pietà.

Ma perché arrivare alla follia della distruzione dell’oggetto amato o dell’autodistruzione di sé? Sono storie che assomigliano alle mantidi che decapitano il partner dopo l’accoppiamento o alle falene che trovano la morte nella luce che le attira. Non siamo falene né mantidi, abbiamo l’anima, ma assomigliano a mantidi e falene quando l’anima si svuota. Dove manca il senso da dare alla propria vita, si pretende che siano le cose e le persone a determinarlo, dall’esterno, generando dipendenze e schiavitù di ogni tipo, che spesso culminano in un’overdose che distrugge o chi dipende o ciò da cui si dipende, o entrambi. È la ferrea e drammatica logica degli amori che non liberano.

Samuele ha rovinato la vita di due famiglie e la sua. Il bilancio finale non sembra razionalizzabile, ma io testardamente ho bisogno di provare a trovarne uno, per arginare il dolore della morte di una ragazza che poteva essere una mia alunna, per non ripetere gli stessi errori. Chiunque, se è stato scaricato, vorrebbe costringere l’altro a tornare (e magari userebbe la violenza fisica o psicologica, tanto fa male, se non si vergognasse di averlo anche solo pensato): il «funerale» di una storia d’amore viene rimandato tanto più quanto più quella storia d’amore dava senso ad un’esistenza personale priva di autonomia ed equilibrio.

Dico sempre ai miei studenti di «mettersi» con se stessi, prima che con un ragazzo o una ragazza, altrimenti useranno l’altro per riempire i propri buchi e non per amarlo. Sono storie d’amore con il conto alla rovescia e spesso ad esserne vittime sono proprio le ragazze (più raramente i ragazzi), disposte a passare sopra uno strattone, uno schiaffo, una minaccia, pur di non perdere quell’amore che le protegge dalle loro debolezze, con le quali invece imparare a convivere anche da sole. È una dinamica interna all’amore, quella di poter regredire a «potere», e da questa possibilità non ci libereremo mai, se non cresciamo in autonomia e in cultura. E non è facile per nessuno, a partire da chi scrive.

Vorrei dire, soprattutto ai ragazzi che leggono queste righe, che un solo episodio di violenza in una relazione è un avvertimento: peggiorerà. L’unica cosa da fare è trovare il coraggio per troncarla, subito. L’altro non sarà salvato, cambiato, dall’amore: è quasi sempre un’illusione. Chi ha compiuto una violenza una volta, lo farà di nuovo. Ho ricevuto il racconto di una ragazza che, dopo aver rischiato di morire per le percosse ricevute dal suo ragazzo, ha accettato la proposta di lui: sparisco dalla tua vita se non mi denunci. Lei per paura di subire altro male, ha detto di sì. Quel ragazzo ora è la fuori a ripetere il giochetto con la prossima vittima.

Samuele è un ragazzo come tanti. Per lo più un sacco vuoto, muscoli da mostrare su Facebook e poca anima, un vuoto riempito momentaneamente da una ragazza più piccola e matura di lui, che magari sperava di cambiarlo. Ma poi lo aveva lasciato.

Il nichilismo affama le vite di un senso impossibile da trovare, e le nutre di risentimento, da scatenare contro la vittima più debole. E in una cultura maschilista ed erotizzata come la nostra, la donna è la vittima sacrificale perfetta, per redimersi dal vuoto in cui galleggiamo. Forse possiamo stupirci se a Mr. Grey, il personaggio più amato nelle classifiche librarie nostrane, sia possibile dire tra gli applausi: «Devi sapere che appena varchi la mia soglia per essere la mia Sottomessa, io farò di te quello che voglio. Devi accettarlo e desiderarlo... Ti punirò quando mi ostacolerai. Ti addestrerò a compiacermi»?



Questo forum è moderato a priori: il tuo contributo apparirà solo dopo essere stato approvato da un amministratore del sito.

Titolo:

Testo del messaggio:
(Per creare dei paragrafi separati, lascia semplicemente delle linee vuote)

Link ipertestuale (opzionale)
(Se il tuo messaggio si riferisce ad un articolo pubblicato sul Web o ad una pagina contenente maggiori informazioni, indica di seguito il titolo della pagina ed il suo indirizzo URL.)
Titolo:

URL:

Chi sei? (opzionale)
Nome (o pseudonimo):

Indirizzo email: