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Copernico, Darwin, Freud !!!

Lo specchio delle nostre (umane, troppo umane) brame continua a smentirci. NON SOLO LE SCIMMIE E I DELFINI MA ANCHE GLI ELEFANTI SI RICONOSCONO ALLO SPECCHIO ... Sul tema, "L’animale che dunque sono" di J. Derrida e una mostra, all’interno del FESTIVAL DELLA SCIENZA di Genova.

martedì 31 ottobre 2006 di Federico La Sala
[...] Alla conclusione Plotnik è giunto studiando, nello zoo di New York, il comportamento di tre femmine adulte di elefanti asiatici posti di fronte a uno specchio. Tutti e tre i pachidermi si sono comportati nello stesso modo: dapprima hanno voluto capire se c’era qualche loro simile dietro lo specchio, poi si sono strusciati lungo lo specchio stesso per verificare se l’immagine era di un altro animale e con la proboscide hanno ripetutamente compiuto movimenti per vedere se anche (...)

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> Lo specchio delle nostre (umane, troppo umane) brame continua a smentirci. ---- Chi ha paura dei neuroni specchio? (di A. Meldolesi)

lunedì 16 giugno 2014

Chi ha paura dei neuroni specchio?

di Anna Meldolesi (Corriere La Lettura, 15.06.2014)

Se piangi guardando un film drammatico la colpa è dei neuroni specchio. Se ti intenerisci davanti al bacio di due innamorati, il merito è di queste cellule dal nome suggestivo. Se le risate e gli sbadigli ti contagiano, gira gira il meccanismo è sempre quello. L’idea di avere dentro al cervello dei piccoli strumenti capaci di riflettere ciò che provano gli altri, generando empatia, è semplice e potente. Finora ne abbiamo sentito parlare come della scoperta più affascinante delle neuroscienze degli ultimi vent’anni e ne siamo andati orgogliosi, perché è avvenuta in Italia. Ma c’è una pattuglia di ricercatori che la descrive invece come la scoperta più sopravvalutata della psicologia e intende demolirla.

The Myth of Mirror Neurons («Il mito dei neuroni specchio») è il titolo di un libro che uscirà in agosto negli Stati Uniti. Lo firma Gregory Hickok, neuroscienziato cognitivo dell’Università della California a Irvine. Ma a fare rumore è soprattutto il sostegno espresso a questo libro dallo psicologo e linguista Steven Pinker, probabilmente la penna più brillante delle neuroscienze: «Ogni tanto - sostiene - c’è qualche scoperta che esce dai laboratori e prende vita propria». Sembra offrire «una spiegazione per tutti i misteri, una conferma dei nostri desideri più profondi» e diventa un’esca irresistibile per giornalisti, studiosi di altre discipline, artisti, affabulatori. Pinker ricorda che in passato è accaduto con alcune idee della meccanica quantistica e della relatività, fraintese e trasformate in suggestioni. Ed è convinto che stia succedendo anche con i neuroni specchio, a cui vengono attribuite funzioni immaginifiche e mai sperimentalmente dimostrate.

I sostenitori più ardenti di queste cellule, dentro e fuori l’accademia, le hanno incaricate di spiegare quasi tutto: dall’orientamento sessuale all’amore per la musica, dal linguaggio alla costruzione della pace. Era il 1992 quando un gruppo dell’Università di Parma riferì di aver trovato nella corteccia premotoria dei macachi una nuova classe di cellule «sensibili al significato delle azioni». Questi neuroni avevano la sorprendente capacità di attivarsi non solo quando una scimmia svolgeva un certo atto motorio, come afferrare un oggetto, ma anche quando vedeva un altro esemplare compiere lo stesso gesto. Giacomo Rizzolatti e colleghi, perciò, hanno ipotizzato che funzionassero come dei simulatori di realtà virtuale, che replicavano all’interno del cervello ciò che accadeva al di fuori, decodificando il comportamento degli altri.

Nel frattempo questo campo di indagine è cresciuto fino a contare oltre 800 articoli scientifici, anche se ripetere sull’uomo gli esperimenti invasivi svolti sulle scimmie non è possibile. Bisogna accontentarsi di spiare dall’esterno l’attivazione delle aree cerebrali o sbirciare dentro con il permesso dei pazienti operati al cervello per altri motivi. Ancora prima di riuscire a dimostrare la loro esistenza nella specie umana, comunque, i neuroni specchio erano già diventati il nuovo baricentro della nostra umanità. Vilayanur Ramachandran, neuroscienziato famoso per il suo lavoro sugli arti fantasma degli amputati, ha pronosticato che «i neuroni specchio avrebbero trasformato la psicologia come il Dna aveva fatto con la biologia». Ha tenuto una conferenza Ted intitolata I neuroni che hanno plasmato la civiltà. Ha attribuito loro l’ipotetico «big bang cognitivo» che centomila anni fa ci avrebbe fatto compiere il salto di qualità in quanto specie che parla, inventa, trasmette la propria cultura.

Lo scienziato di origine indiana non è il solo. In molti si sono abbandonati a speculazioni tanto seducenti quanto spericolate, perché prescindono dai fatti accertati in laboratorio. Lo stesso Rizzolatti, che quest’anno ha vinto il prestigioso Brain Prize, si è detto meravigliato su «Psichiatria online» per l’entusiasmo di «media, psicoanalisti, sociologi e persone che di solito non sanno nemmeno cosa sia la neurofisiologia». I critici invitano a fermare questo circo e puntano il dito su alcune debolezze intrinseche della scienza dei neuroni specchio. Ritengono che l’attivazione di queste cellule potrebbe non essere la causa ma la conseguenza della comprensione delle azioni degli altri e ipotizzano il coinvolgimento di reti neurali complesse. Giudicano poco convincente anche la teoria secondo cui la rottura del sistema dei neuroni specchio spiegherebbe l’autismo. «Non c’è ancora una ricerca che dimostri che questi neuroni siano vitali per l’empatia umana, e ci sono delle ragioni per credere che l’empatia sia possibile anche senza di essi», ha sostenuto su «Wired» Christian Jarrett, il cui libro Great Myths of the Brain («I grandi miti del cervello») uscirà ad ottobre in Gran Bretagna. Possiamo anche chiamarli i «neuroni di Gandhi», come fa qualcuno, ma nei prossimi mesi saranno loro a far litigare gli scienziati.


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