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Copernico, Darwin, Freud !!!

Lo specchio delle nostre (umane, troppo umane) brame continua a smentirci. NON SOLO LE SCIMMIE E I DELFINI MA ANCHE GLI ELEFANTI SI RICONOSCONO ALLO SPECCHIO ... Sul tema, "L’animale che dunque sono" di J. Derrida e una mostra, all’interno del FESTIVAL DELLA SCIENZA di Genova.

martedì 31 ottobre 2006 di Federico La Sala
[...] Alla conclusione Plotnik è giunto studiando, nello zoo di New York, il comportamento di tre femmine adulte di elefanti asiatici posti di fronte a uno specchio. Tutti e tre i pachidermi si sono comportati nello stesso modo: dapprima hanno voluto capire se c’era qualche loro simile dietro lo specchio, poi si sono strusciati lungo lo specchio stesso per verificare se l’immagine era di un altro animale e con la proboscide hanno ripetutamente compiuto movimenti per vedere se anche (...)

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> Lo specchio delle nostre (umane, troppo umane) brame continua a smentirci. NON SOLO LE SCIMMIE E I DELFINI MA ANCHE GLI ELEFANTI SI RICONOSCONO ALLO SPECCHIO ... "L’animale che dunque sono"(J. Derrida)!!!

martedì 31 ottobre 2006

L’arcivescovo: vade retro, scienza

di Pietro Greco *

«La fede non ha bisogno del Festival». Le parole di Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova, hanno rattristato ma non stupito molte delle persone giunte a migliaia nel capoluogo ligure per partecipare alla quarta edizione del Festival della Scienza, dedicato quest’anno alla scoperta. Le hanno rattristate per una certa gratuità. Alla gran parte di loro il Festival della Scienza di Genova, il più grande e variegato d’Europa dopo quello di Edimburgo, non è apparso affatto venato di quel laicismo - di quel pensiero unico - che invece vi ha scorto l’arcivescovo. E non solo perché tra le centinaia di relatori ve ne sono alcuni come il priore di Bose, Enzo Bianchi, che rappresentano al meglio il pensiero cattolico. Ma soprattutto perché la gran parte di quelle centinaia di relatori è giunta a Genova convinta di essere portatrice di un sapere provvisorio, non di un’ideologia politica o di una fede religiosa. Un sapere, quello scientifico, che per sua natura è fallibile e criticabile, fondato sullo scetticismo sistematico (nella scienza non vale l’ipse dixit). E che non accetta di essere cristallizzato in una dimensione assoluta, gelato in una logica di appartenenza.

D’altra parte è possibile dimostrare che le differenze, talvolta persino le divergenze, tra i protagonisti del Festival sono elevatissime. E non solo sui temi politici o religiosi, ma spesso anche sui temi culturali e persino scientifici. Differenze e persino divergenze che, tuttavia, con un metodo che costituisce il fondamento del principio e della prassi della democrazia, si confrontano - spesso anche duramente - ma non si combattono. A maggior ragione in una festa, una festa popolare, in cui la dimensione gioiosa rende inutile - persino ridicola - ogni tentazione militante.

Non è facile polemizzare con la scienza (sia chiaro, è invece possibile e talvolta utile polemizzare con gli scienziati). Ma è davvero difficile - un po’ sopra le righe - polemizzare con una festa della scienza. Per questo la sortita dell’arcivescovo ha rattristato molti. Ma non ha stupito. Non tutti, almeno. Quando, infatti, monsignor Angelo Bagnasco è entrato nel merito ha pronunciato parole - contro la ricerca scientifica che risponde al bisogno di utilità sociale o insegue la sua libertà, insofferente a vincoli esterni - che vanno oltre la (presunta) parzialità del Festival. E che non sono nuove.

Non aveva forse il papa, Joseph Ratzinger, espresso concetti analoghi la scorsa settimana a Verona, quando aveva paragonato la scienza a Icaro, che per amore di libertà si avvicina troppo al Sole e causa la sua stessa rovina? L’idea, legittima, di Ratzinger è che occorre applicare alla scienza dei principi etici che sono fuori dalla scienza. Che sono nella fede. Una posizione difficile da accettare per un laico, quando quella posizione esce dalla comunità dei credenti e si propone come regola sociale se non come legge dello Stato. Difficile da accettare soprattutto da chi crede che le capacità di esprimere valori etici non siano il frutto di una volontà trascendente, ma di quell’evoluzione biologica che la scienza studia e, per larga parte, spiega. Difficile da accettare, in definitiva, per chiunque tende a fondare l’etica su valori laici, accessibili all’uomo attraverso la ragione. E non necessariamente attraverso la fede.

E non era stato lo stesso Benedetto XVI un mese fa all’università di Regensburg a parlare dei limiti epistemologici della scienza, a suo dire incapace di rispondere agli interrogativi propriamente umani del «da dove» e del «verso dove», e a invocare una nuova razionalità che vada oltre le certe dimostrazioni matematiche e le sensate esperienze empiriche tipiche della razionalità scientifica? Una posizione ancora una volta legittima, sia chiaro. Ma difficile da accettare per ogni scienziato (e per ogni laico), che in quelle parole scorge la possibilità che - nell’era dei teocon e dei teodem - la teologia e, più in generale, la religione tornino a rivendicare con forza una loro priorità assoluta non solo in un confronto astratto con la scienza, ma nella quotidiana pratica scientifica.

Non stupisce, dunque, che l’arcivescovo di Genova attacchi la festa della scienza che da quattro anni porta lustro internazionale alla sua città. La sensazione è che, affermando che la fede non ha bisogno del Festival, il cardinale sia andato sopra le righe. Ma non troppo. Che abbia espresso, con toni duri, un clima - forse un progetto - culturale che va diffondendosi nella Chiesa di Roma ma anche in altri ambiti religiosi (tra i cristiani protestanti, come in America, e tra i musulmani, come succede in molti paesi islamici) che non fa bene né alla fede né alla scienza.

Sergio Cofferati si è trovato di fronte a un’altra manifestazione del medesimo progetto quando due giorni fa ha letto che la Curia di Bologna considera «un’invasione barbarica che oltraggia la fede e la ragione» una manifestazione artistica realizzata da omosessuali. E ha giustamente reagito, sostenendo che «la libera espressione nell’arte e nella cultura rappresenti una delle grandi conquiste dell’uomo nell’etica moderna e sia la ricchezza del vivere civile in uno stato laico. Solo la censura, il pregiudizio e l’intolleranza rischiano di riportarci al tempo dei barbari».

Non c’é né in Cofferati, né (più modestamente) in noi - e, per la verità, neppure nel Festival della Scienza di Genova - alcun atteggiamento laicista. C’è solo un atteggiamento laico. Simile a quello del cardinale Carlo Maria Martini, che qualche settimana fa ha avuto una laurea honoris causa presso l’Istituto San Raffaele di Milano di don Luigi Verzé.

Da tempo l’ex arcivescovo di Milano invita a fare quello che migliaia di persone stanno facendo in questi giorni a Genova: «guardare con stupore alla realtà in cui viviamo», prendendo atto «con timore e trepidazione, e insieme con ammirazione» dell’universo che la scienza va scoprendo. Carlo Maria Martini riconosce i limiti della scienza e della tecnica: le cui conquiste «destano da una parte meraviglia e gratitudine e dall’altra suscitano preoccupazione». Ma riconosce anche i limiti della teologia, che «non deve pretendere di colmare i "buchi neri" (della scienza, ndr) con ipotesi che introducono soluzioni trascendenti in problemi che vanno invece lasciati al controllo empirico, mediante osservazioni ed esperimenti».

Il cardinale consiglia di far conto soprattutto sull’uomo pensante «che accetta volentieri un orizzonte continuamente mutevole». Che «non vive di sole certezze, senza porsi dubbi, bensì, stupito e meravigliato». Che «si rimette ogni volta in gioco, facendo della domanda e del dubbio la molla vitale per una ricerca onesta, animata da interrogativi incessanti, nella speranza di una risposta che apra la porta a nuove domande». Un uomo che, dotato o meno della fede, ha bisogno della scienza. E anche dei suoi festival.

* www.unita.it, Pubblicato il: 31.10.06 Modificato il: 31.10.06 alle ore 8.47


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